TIME Covers 1923 - 1949

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  Giovanni&Paolo

  EDITORIALI

  SPAZIO APERTO ALLE OPINIONI, AI CONTRIBUTI ESTERNI

 E ALLE MONOGRAFIE ORIGINALI

 

 

Papà non c’è più, è diventato una Verità Nascosta

L'ottica junghiana sul disagio giovanile

Non è un Paese per buoni

Non vestivamo alla marinara

Un atteggiamento eroico

Raccontare la Storia

Il quotidiano fra Cronaca e Storia

Napoleone e l'ultimo atto dell'Inquisizione

Giustizialismo versus Giudizialismo

La Fucina delle Idee

Il Bravo Calzolaio

La Riforma della Scuola

La polvere della Storia

La loro ora più bella

La Democrazia Imperfetta

Qualche parola sul Revisionismo e il buonismo italico

Il Primato della Cultura al tempo della Grande Rete

Compagno di Viaggio

Dieci anni dopo

28 Gennaio 2009 - Roma - Discorso di Salvatore Borsellino

L'intercomprensione fra le lingue romanze

Il Gangster Movie nell'America dei gangster

La vita di Winston Churchill

Presentazione del sito LA GRANDE CROCIATA (Agosto 2000)

1936 - 1939: Annali Africa Orientale Italiana

 

 

 

 

 

appello fini travaglio

 

 

 



La questione immorale
di Bruno Tinti
Collana: reverse
Pagine: 205 - euro 13,60
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Il sommario
La rassegna




Io sono il mercato
di Luca Rastello
Collana: reverse
Pagine: 176 - 12,00 euro
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La rassegna




Un paese di baroni
di Davide Carlucci e Antonio Castaldo
Prezzo: euro 14,60
Collana: principioattivo
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Il suono e l'inchiostro
A cura del
Centro Studi Fabrizio De André
Prezzo: euro 15,00
Collana: reverse
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La Finanziaria siamo noi
di Stefano Lepri
Prezzo: euro 13,60
Collana: principioattivo
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Strage continua
di Elena Valdini
Prefazione di Massimo Cirri e Filippo Solibello
Prezzo: euro 12,00
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ALZA LA TESTA!
di Piero Ricca
con Franz Baraggino, Diego Fabricio, Elia Mariano
Prefazione di Marco Travaglio
Prezzo libro + DVD: euro 16,60
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Un nuovo contratto per tutti
di Tito Boeri e Pietro Garibaldi
Prezzo: euro 10,00
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Evaporati in una nuvola rock
a cura di Guido Harari e Franz Di Cioccio
Prezzo: euro 37,00
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La paga dei padroni
di Gianni Dragoni e Giorgio Meletti
Prezzo: euro 14,60
Collana: principioattivo
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Bavaglio
di Marco Lillo, Peter Gomez e Marco Travaglio
Introduzione di Pino Corrias
Prezzo: euro 12,00
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I cinesi non muoiono mai
di Raffaele Oriani e Riccardo Staglianò
Prezzo: euro 14,60
Collana: principioattivo
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Il partito del cemento
di Marco Preve e Ferruccio Sansa
Prezzo: euro 14,60
Collana: principioattivo
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Il ritorno del principe
di Saverio Lodato e Roberto Scarpinato
Prezzo: euro 15,60
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Non chiamarmi zingaro
di Pino Petruzzelli
Prezzo: euro 12,60
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L'attentato
di Andrea Casalegno
Prezzo: euro 12
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Voglia di cambiare
di Salvatore Giannella
Prezzo: euro 13,40
Collana: principioattivo
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Se li conosci li eviti
di Peter Gomez e Maco Travaglio
Prezzo: euro 14,60
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Viaggio nel silenzio
di Vania Gaito
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Doveva morire
di Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato
Prezzo: 15,60
Collana: principioattivo
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Nostra eccellenza
di Massimo Cirri e Filippo Solibello
Prezzo: 12,00
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La giornata del risparmio energetico

 



Sparlamento. Vita e opere dei politici italiani

di Carmelo Lopapa
Prefazione di Dario Fo e Franca Rame
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La Repubblica del ricatto

di Sandro Orlando
Prefazione di Furio Colombo
Prezzo: 14,60
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Gli aggiornamenti












Mani sporche
di Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio
Prezzo: 19,60
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Sante ragioni
Autori: Carla Castellacci, Telmo Pievani
Prezzo: 13,60
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A piedi
Autori: Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro
Prezzo: euro 13,00
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Il giorno in cui la Francia è fallita
Autori: Philippe Jaffré, Philippe Ries
Prefazione di Francesco Giavazzi
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Capitalismo di rapina
Autori: Paolo Biondani, Mario Gerevini, Vittorio Malagutti
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Toghe rotte
A cura di Bruno Tinti 
Prefazione di Marco Travaglio
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Siamo Italiani
A cura di David Bidussa
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L'Agenda Rossa di Paolo Borsellino
Autori Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza 
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Prefazione di Marco Travaglio
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Il Paese della Vergogna
Autore Daniele Biacchessi
Prezzo 9,50
Prefazione di Franco Giustolisi
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Italiopoli
Autore Oliviero Beha
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Prefazione di Beppe Grillo
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12 Dicembre 1969 – 12 Dicembre 2009

  40° Anniversario della Strage di Piazza Fontana

 

“Papà non c’è più, è diventato una Verità Nascosta”

di Carlo Anibaldi

 

 Le celebrazioni delle ricorrenze storiche portano con sé il ricordo di quanti, coinvolti nell’evento, hanno perso la vita perché l’evento si dispiegasse. La Storia procede con un susseguirsi di immagini, non a caso il più delle volte cruente, a causa dei forti radicamenti che si vanno a sconvolgere; è dunque per l’aprirsi di nuovi scenari che gli eventi divengono Storia. Non è questo il caso, poiché questa non è Storia, ma una Verità Nascosta. 

 Sono molti coloro che datano l’inizio della cosiddetta ‘strategia della tensione’ o degli ‘opposti estremismi’ al 12 dicembre 1969, il giorno dell’esplosione della bomba alla BNA di Piazza Fontana a Milano, ma altrettanti sono convinti che questa datazione sia arbitraria ed emotiva, facendo infatti risalire l’inizio dei ‘Misteri d’Italia’  a qualche anno prima, quando ‘cadde’ l’aereo di Enrico Mattei, se non addirittura al 1° Maggio 1947, giorno della strage di Portella della Ginestra. La difficoltà di datazione di questo periodo oscuro della Storia d’Italia è probabilmente dovuta al fatto che la storia stessa della Repubblica è, fin dai primi giorni di vita, connessa alla storia dei nostri servizi di Intelligence che, come ogni Servizio di questo genere, non hanno, per definizione, la trasparenza fra i valori fondanti.                                                       

 Molti sono gli autori, giornalisti, osservatori e storici, che hanno scritto di questa orribile strage e del lunghissimo iter giudiziario che ne seguì. Quello che vogliamo invece fare qui oggi è rivolgere un pensiero alle vittime innocenti e ai loro familiari e cercare di vedere l’evento dal loro punto di vista, per quanto possibile. 

 Le vittime di eventi bellici o rivoluzionari e perfino le vittime di incidenti di ogni tipo ed i loro familiari, si fanno alla fine una ragione, se così mi posso esprimere, di quanto accaduto, secondo una scala di consapevolezza che va dal futile all’eroico, passando per una moltitudine di situazioni intermedie che alla fine sono quelle sintetizzate negli epitaffi.

Ma cosa è umanamente misericordioso e sensato scrivere sulla lapide delle vittime di quella odiosa strage? E in quella delle vittime di altre stragi di quegli anni, che a centinaia non hanno potuto avere giustizia né comprensione terrena? Se mai esistesse un’altra forma di giustizia, a quella varrebbe la pena di affidarsi, ma temo non ci sia nulla oltre la legge del contrappasso, talvolta. Questa è la vera pagina nera di questa Repubblica: ci sono dei morti, tanti morti, che non sono né partigiani né fascisti, né rivoluzionari né oppressori, né guardie né ladri e al tempo stesso ci sono degli assassini che non sono finiti nella polvere, né in galera né davvero liberi, se mai hanno avuto una coscienza.

Queste lapidi sono bianche e immacolate, di marmo vergine, o tali dovrebbero essere, perché solo quando le vittime avranno giustizia ci sarà un epitaffio da incidere. 

 Nel corso di vari processi penali è alla fine affiorata la dinamica scellerata dell’attentato e qualche manovale della morte e del dolore ha vissuto i suoi ultimi anni in prigione, ma questi processi sono stati utili, alla fine, per dare non giustizia, ma consapevolezza delle dinamiche e, attraverso queste, visione del disegno, questo sì, eversivo della volontà popolare.  

 Come tutti sappiamo, fu all’inizio seguita, o meglio, creata, una ‘pista anarchica’ che vedeva la cellula anarchica milanese del Ponte della Ghisolfa, rappresentata dal ferroviere Giuseppe Pinelli, come l’ideatrice ed esecutrice dell’attentato alla BNA, insieme a quello che avrebbe dovuto dispiegarsi nelle stesse ore alla Banca Commerciale e che non produsse un’esplosione ed altri attentati dinamitardi che in quel giorno, fra Roma e Milano nell’arco di una cinquantina di ore, si verificarono. Queste cellule anarchiche, come ogni movimento di questo tipo in Italia e nel mondo, perseguono attentati dinamitardi dimostrativi, contro ogni potere costituito che limiti le libertà fondamentali dell’individuo. Ideali di violenza, senza meno assai discutibili, ma che per statuto fondante, mai avevano avuto lo scopo di spargere sangue ritenuto innocente. Dunque l’accusa fatta al Pinelli di aver organizzato un attentato tanto sanguinoso, col concorso della cellula romana, rappresentata da Pietro Valpreda, sconvolse a tal punto Giuseppe Pinelli, che durante un drammatico interrogatorio nei giorni successivi alla strage, alla Questura di Milano, cadde, non si sa quanto volontariamente o in seguito a malore, dalla finestra e ne morì. Questa la versione ufficiale della Questura.  

 La contestazione alla versione ufficiale fu talmente accesa da parte degli ambienti dell’estrema sinistra legati all’organizzazione Lotta Continua, che ne scaturì la morte violenta del commissario Calabresi, ritenuto da questi il responsabile della morte, non creduta accidentale o suicidaria, del Pinelli. 

 Nel corso di un ventennio di udienze in diversi processi, emersero circostanze incredibili. L’attentato doveva essere dimostrativo come altri in quel periodo, e fu organizzato dagli anarchici per un orario successivo alla chiusura della banca, ma infiltrati neofascisti dell’organizzazione Ordine Nuovo raddoppiarono la borsa e dunque le bombe, all’insaputa degli anarchici e soprattutto ne anticiparono lo scoppio in un orario di apertura al pubblico. Le carte processuali ci dicono anche di depistaggi, pedinamenti e infiltrazioni organizzate da fronde deviate dei servizi di intelligence. La data del 12 dicembre fu scelta in coincidenza con un viaggio a Milano dell’anarchico Valpreda. Un sosia del Valpreda fu fatto scendere da un taxi davanti alla BNA con una borsa. Testimonianze incrociate portarono all’arresto di Valpreda e alla sua incriminazione. Ma questo era solo il primo atto di una marcia di avvicinamento alla verità che durò un ventennio, senza peraltro produrre certezze processuali definitive sui mandanti occulti e sui loro inconfessati scopi eversivi. 

 In questo 40° anniversario della strage, nel ricordare le diciassette vittime, il nostro pensiero va a questo modo di ‘diventare Storia’, un modo che toglie anche la dignità alla morte, che dissolve persone incolpevoli in una nuvola rovente e densa di verità nascoste. Questa nuvola è tutta italiana e purtroppo arriva da lontano, da quel dopoguerra che da noi è stato il più lungo del mondo intero. Un dopoguerra che per vili ragioni di realpolitik non ha potuto trovare pace, poiché non ha del tutto escluso dalla vita civile e dalle Istituzioni, personaggi e burocrati del disciolto partito fascista e della Repubblica di Salò, che per nulla avevano in animo amore per questa nuova Nazione, facendone anzi, in varie e documentate circostanze, i fondatori e gli alti funzionari dei neonati Servizi di Intelligence. Queste furono le scellerate premesse da cui derivò un sessantennio di Misteri d’Italia, che passano impuniti per la morte di Enrico Mattei, Mauro De Mauro, Pierpaolo Pasolini, Mino Pecorelli ed altri e che oggi ci costringono a commemorare queste ed altre vittime senza ‘parte’, senza ‘causa’, senza barricate, senza ideale o bandiera, di fronte alle quali altro non possiamo fare che chinare il capo per la vergogna.

 PERMALINK http://eDEMOCRAZIA.ilcannocchiale.it/post/2396808.html

 

 

INCONTRO SU “DISAGIO E RESPONSABILITA’”

Roma, 15 Aprile 2009 ore 18,00

Aula Magna dell’Università Valdese, Via P. Cossa, 42

  

L’OTTICA JUNGHIANA SUL DISAGIO GIOVANILE

 

Intervento del Dott. Carlo Anibaldi, medico, umanista, divulgatore scientifico.

 

 

  Alcuni attribuiscono le problematiche profonde della gioventù di questi anni ad una sorta di Pensiero Debole, privo cioè di forti richiami ideali ed etici, che si è sviluppato in epoca postmoderna, nella seconda metà del secolo appena finito. Con questa breve relazione cercherò di dimostrare che i nostri ragazzi sono tutt'altro che figli di un Dio minore, ma autentica aria del Terzo Millennio.

Ho scelto un titolo che contiene un'apparente contraddizione: l'ottica junghiana sul disagio giovanile. Molti infatti affermano che l’Opera di Jung è principalmente rivolta alla comprensione e al sollievo dei disagi della seconda parte della vita.

Va infatti per la maggiore che il lavoro di Jung sarebbe un esplorare il mondo che si apre agli individui quando gli affanni giovanili sono sopiti, quando le questioni affettive trovano quiete, quando le lotte per l’affermazione dell’Io e la conquista di una posizione sociale lasciano il campo a migliori capacità introspettive.

In questo scenario, che caratterizza l’aprirsi della seconda parte della vita, comparirebbero pulsioni nuove, diverse, che in una parola potremmo definire genericamente “spirituali”, se con questo termine possiamo significare il complesso delle esperienze profonde, e che sono rappresentate dall’aspirazione alla ricomposizione dei conflitti, alla ricongiunzione degli opposti, all’individuazione dei simboli e dei miti che sono stati l’inconsapevole motore della nostra vita, quel “tendere a …” che ci ha sospinto e ci sospinge fino a poter dire a noi stessi che la nostra vita è stata ben spesa e dunque “compiuta”.

 Questo processo, quando si compie, è lungo una vita intera, ed in verità nessuno ha mai specificato quando debba iniziare. La suddivisione dei campi di ricerca in periodi della vita, è infatti un mero espediente didattico, non fosse altro che per il fatto che la personalità non è un blocco compatto, ma alcune parti crescono in fretta, altre lentamente e altre spesso non vedono mai la maturità.

 - CENNI SINTETICI SUL VALORE UNIVERSALE DELL’OPERA DI CARL GUSTAV JUNG

  Prima di arrivare al nocciolo di questo intervento, e cioè in che modo l’insegnamento di Jung può alleviare il disagio dei nostri giovani, consentitemi di aprire una breve parentesi sul valore universale dell’opera di Jung. 

Il lavoro scientifico di Jung inizia all’alba del ventesimo secolo nell’ospedale psichiatrico di Zurigo, con studi assai originali su pazienti schizofrenici. Fu il più brillante allievo di Freud fino al 1913, quando sorsero insanabili divergenze scientifiche.

Si deve a Freud la fondamentale intuizione dell’esistenza di una zona del nostro immaginario che non è sottoposta alle regole della coscienza e che quindi sfugge alle categorie tipiche della mente cosciente quali il bene e il male e la definizione di un prima e un dopo; definì Inconscio questa zona colma delle rimozioni infantili, per lo più dolorose e che causarono sentimenti di vergogna e di indegnità. In questo ambito, tipico del mondo dei Sogni, degli Istinti e delle Emozioni, non abbiamo un diretto controllo da parte della parte “alta” della psiche, la Coscienza, ci troviamo piuttosto nella condizione di subirne gli influssi, talvolta in maniera problematica con lo sviluppo di nevrosi..

 Jung allargò questo concetto, definendo un ambito che si aggiunge all’Inconscio freudiano e va oltre, trascendendo l’esperienza personale; chiamò questa zona inesplorata Inconscio Collettivo. In questa zona del nostro complesso mondo psichico sono “scritte” le esperienze che l’essere umano, inteso come specie, ha compiuto fin dalla notte dei tempi. Tali Esperienze Fondamentali dell’Umanità sono, in questa concezione junghiana, strutturate nella psiche per diritto di specie, vale a dire che sono tipiche dell’essere umano e di nessun altro nel creato. Al pari dei processi filogenetici che hanno determinato l’evolversi della specie umana fino a giungere all’ Homo Sapiens, nell’Inconscio Collettivo sarebbero rappresentate le tappe del progresso psichico fino all’odierna complessità.  

  Sappiamo dallo studio dei sogni e dall’analisi degli stati di trance che la mente umana “funziona” per immagini e simboli, i “ragionamenti” vengono dopo, nel cervello evoluto, la corteccia, dunque per Jung lo studio della psicologia del profondo doveva prendere le mosse dall’osservazione dei simboli e delle immagini che l’essere umano ha creato lungo la sua storia. Per questa ragione, lungo tutta la sua vita, Jung studiò antichi trattati alchemici, la Mitologia classica e la storia delle Religioni, viaggiò nei Continenti, sempre alla ricerca dei simboli di antichissime civiltà.

Ad esempio, alcune migliaia di anni or sono, ai quattro angoli del mondo, popolazioni lontanissime e certo non in contatto fra loro, tracciavano sulle rocce, sui monumenti funerari e sacri, sugli utensili, disegni di forma quadrata e/o circolare (Mandala) di aspetto e contenuto straordinariamente simile tra loro.

Il Simbolo della Croce è parecchio antecedente all’era cristiana, e lo ritroviamo nella simbologia sacra di civiltà lontanissime tra loro, che nulla potevano avere in comune, se non qualche elemento psichico inconscio, appunto.

E che dire delle figure mitiche come l’Eroe, il Guerriero, la Grande Madre, il Vecchio Saggio, il Fanciullo, il Demone, la Fata, che ritroviamo nelle culture delle più antiche e disparate civiltà del Pianeta. Questi miti sono patrimonio dell’Umanità, dei veri contenitori delle esperienze profonde dell’essere Umano inteso come specie e dunque dalla sua comparsa su questo mondo. La Mitologia Classica racconta infatti storie che ci sono “familiari”, come la leggenda di Edipo, quella di Demetra, di Venere o di Enea, che ritroviamo, pur con nomi e contesti diversi, nelle vicende tramandate di antiche civiltà pellerossa, centroeuropee o asiatiche.

 Straordinari sono gli studi di Jung sugli eventi sincronici (premonizioni, veggenze e in generale tutti i fenomeni paranormali), che egli considera un’altra dimostrazione dell’esistenza dell’Inconscio Collettivo. Le categorie spazio-tempo sono artifici della mente, la Fisica delle nano particelle ha infatti dimostrato che il prima e il dopo non sono valori assoluti, ma relativi all’osservatore che, a sua volta, è soggetto a più variabili. Senza meno l’Inconscio è slegato da queste categorie “mentali” e allora accade che in particolari stati di abolizione della Coscienza (sogni, stati crepuscolari, trance, ecc…) ci si possa trovare in un “qui ed ora” che non ha inizio e fine, prima e dopo, al pari di un’immagine in un quadro e allora ci si può parare davanti quello che chiamiamo “futuro”, ma che invero appartiene alla dimensione senza spazio e senza tempo che tutto comprende e che rappresenta l’Esperienza dell’Umanità, percepibile dall’Inconscio.

 La conclusione cui giunge Jung è dunque che la psiche ha compiuto un lungo percorso evolutivo comune a tutta la specie umana, al pari del progresso della Specie dimostrato dalle scoperte evoluzionistiche di Darwin. Jung avrebbe allora scoperto l’esistenza di una “filogenesi psichica”, comune a tutti gli esseri umani. Esattamente come avviene per il corpo, anche la psiche tiene traccia del percorso compiuto e Jung chiamò questa “traccia” Inconscio Collettivo.

 

- IL CAMBIO DELLA WELTANSCHAUUNG  COME SOLUZIONE AL DISAGIO GIOVANILE

  Il termine tedesco Weltanschauung, del quale di qui in avanti dobbiamo fare uso per le ragioni che vedremo appresso, non è letteralmente traducibile in lingua italiana poiché non esiste nel nostro vocabolario una parola che le corrisponda appieno. Essa esprime un concetto di pura astrazione che può essere restrittivamente tradotto con "visione del mondo" e può essere riferito ad una persona, ad una famiglia, un gruppo o ad un popolo.

La "Weltanschauung" tende a trovare una collocazione in un ordine generale dell'Universo comprensivo di elementi di specie, geografici, linguistici e razziali; si tratta dunque di un concetto che trascende il singolo e attinge al collettivo condiviso, e l'uso di questo termine nel linguaggio italiano al posto di "visione del mondo" ha il significato di estendere il concetto ad una dimensione sovra personale di un determinato punto di vista.

Nei suoi numerosi scritti, Jung ha fatto molto uso di questo termine per descrivere la profonda trasformazione della Società e dei singoli individui allorché cambia la Weltanschauung e come, al contrario, senza un cambiamento della Weltanschauung diventi spesso impossibile ottenere una reale soluzione alla personale sofferenza psicologica o al disagio di un popolo, con ciò significando che spesso è salvifico riunirsi a quella parte che ha radici collettive di appartenenza, di specie, di razza, geografiche e di religione ed al contempo prendere le distanze dall'ego ristretto di un individuo (o dagli stereotipi di una Società).

 I giovani di questa nostra epoca hanno visto sgretolarsi, dopo i fascismi ed i comunismi, anche i capitalismi, i partiti politici portatori di ideali, la famiglia come nucleo solido e protettivo, il lavoro come artefice di benessere e dispensatore di dignità e motivazioni.

Rendiamoci conto che i giovani si ritrovano fra le mani null’altro che i cocci del nostro piccolo mondo antico. E cosa dovrebbero allora fare i giovani? Costruire un progetto con quei cocci che a malapena sostengono noi? Certamente no. Loro stanno infatti cambiando la Weltanschauung, sono costretti a questo da un ineluttabile destino di crescita che appartiene alla Specie e che certo non può arrestarsi per crisi contingenti. E’ già accaduto nel primo e nel secondo dopoguerra e prima ancora al tempo della Rivoluzione Industriale.

  Jung ci ha insegnato che la Weltanschauung, indipendentemente dall’accezione qualitativa, è il motore del benessere psicologico e che in condizioni di sofferenza la Weltanschauung deve giocoforza cambiare, non si può insomma impunemente stare in una condizione di “assenza di progetto” o di progetto raccogliticcio, poiché, in termini psicologici profondi, questa condizione porta spesso alla sofferenza individuale e sempre alla fragilità, al plagio e apre la strada alle malìe dei falsi profeti e dei ciarlatani.

Per certi versi e per le ragioni fin qui esposte, la condizione dei giovani della nostra epoca appare assolutamente non invidiabile, ma ci sono aspetti che, come vedremo più avanti e in conclusione, possono ribaltare la scena.

 

- CONCLUSIONI

  In che modo l’insegnamento del grande psicologo svizzero può aiutarci ad aiutare i giovani?

Tra di noi ci sono Insegnanti, intellettuali e Professionisti d’Aiuto, religiosi e laici, inutile dire che tutti siamo chiamati ad impedire che interessi di parte cavalchino il disagio giovanile. E forse questo è tutto quanto sia possibile fare. Intendo dire che secondo il punto di vista espresso qui oggi, il progetto evolutivo delle coscienze ‘cammina’ da solo. Gli educatori laici accompagneranno i giovani nei territori del sovra personale, poiché, per dirla con Jung, è là che incontriamo il Sé, vale a dire la regione più grande ed inespressa di noi. Il sovra personale è cosa ben diversa dal soprannaturale, che lasceremo ai confessionalisti.

Dal punto di vista della Conoscenza appare più opportuno ritenere che non ci possa essere nulla di realmente piccolo che ci riguardi, tenteremo infatti di far comprendere ai giovani che siamo parte di un grande progetto di Specie, quella Umana, che è portatore di quel destino ineluttabile di crescita cui abbiamo accennato poco fa.

Le esperienze fondamentali dell’Umanità sono tutte dentro di noi e con esse anche le soluzioni ai problemi. A questo proposito giova ricordare a noi stessi ed ai giovani che ci sono problemi che per loro natura non possono essere risolti, ma solamente superati, grazie a passi evolutivi della Coscienza, fino al passetto fondamentale che consente la visione di un orizzonte più ampio, oltre il muro.

L’ Inconscio Collettivo ha contenuti di infinita saggezza perchè sono il ‘distillato’ delle esperienze fondamentali dell’umanità. Ci sono scienziati che hanno dimostrato che ognuno di noi è portatore di una summa filogenetica, un lungo cammino fatto, e dunque nessuno è tanto piccolo da ‘meritare’ l’incoscienza, di rimanere cioè tagliato fuori dal progetto.

La mia opinione è che la  Weltanschauung che davvero farà fare un passo in avanti alle nuove generazioni e all’Umanità in generale, passa per l’abbraccio fra l’infinitamente intimo e l’infinitamente condiviso, fra gli opposti che tutto comprendono e che sono già un intero nella nostra natura. Se i giovani faranno un passo verso questa ‘visione del mondo’, e sono certo che lo stanno facendo,  spingeranno il piccolo mondo antico della nostra generazione fino al Medio Evo e sarà davvero l’inizio del Terzo Millennio.

Se ascoltiamo attentamente come ci raccontano il mondo i più avanzati fra i giovani di oggi, c’è da stupirsi. Solo pochi secoli fa certe intuizioni erano appannaggio esclusivo di Santi e Profeti. Oggi se ne parla all’uscita di un cinema o davanti ad un boccale di birra. E’ la nuova Weltanschauung che si affaccia. Il cammino filogenetico dell’essere umano non riguarda solo l’aver assunto la stazione eretta ed essere divenuto Homo Sapiens, ma l’aver continuamente cambiato la Weltanschauung.

Da questo punto di vista si intravede un altro modo di aiutare i nostri giovani: riconoscendo loro questo ruolo fondamentale e lasciando loro la scelta di cosa “mettere in valigia” dei nostri cocci e soprattutto smettendo di giudicare con metri di misura che sono oramai inservibili in quanto spesso addirittura incomprensibili. Grazie per l’attenzione.

                                                                                       

Bibliografia: Carl Gustav Jung – Opere (Boringheri 1983 vol. 1 – 19) 

               Carl Gustav Jung – Ricordi, Sogni, Riflessioni  (BUR 1981)

 

 

 

 

 

 

 

UN ATTEGGIAMENTO EROICO

(articolo di Carlo Anibaldi – dic. 2008)

 

Coloro, fra i miei quattro lettori, che nei loro studi un po' si sono occupati di come funziona la mente intesa come "organo", hanno capito dal titolo dell'articolo di cosa vado a parlare: l'urgenza di adottare uno stile di vita "eroico" come sola maniera per uscire dalla crisi. Non mi riferisco alla crisi economica, che è solo una delle conseguenze, ma alla crisi di riferimenti, valori, senso, che insieme caratterizzano questo inizio del terzo millennio.

Le cronache di questi giorni di fine 2008 sono un tale concentrato infernale di disvalori che, tutti insieme, vanno quasi a costituire un "vaccino" che tenderà ad immunizzarci per le nefandezze future, finiremo per non accorgerci nemmeno di quanto e in che direzione il mondo sta cambiando. L'inizio del secolo scorso ha visto polverizzarsi il "piccolo mondo antico" e nei primi anni di questo secolo stiamo assistendo alla distruzione di quel che di buono era risorto dalle ceneri di un mondo sconvolto: la dignità del lavoro, l'antifascismo, la democrazia, la libertà.

I furbi di tutto il mondo si sono come uniti contro l'intelligenza ed hanno intravisto la vittoria su valori ai loro occhi meno "remunerativi", hanno fatto quadrato e fatto scempio di principi che sembravano acquisiti: la solidarietà, una vita degna come frutto del lavoro, il progresso generazionale, la libertà, il merito, la giustizia, la cultura, l'onestà.

Il Presidente della Nazione più influente del mondo viene preso a scarpate alla fine di otto anni di mandato; un miliardario con al polso orologi che valgono appartamenti viene acclamato, nel bel mezzo della vecchia Europa, come Salvatore della Patria, dalle tasse e dai "comunisti"; fascisti ed ex fascisti disquisiscono in TV circa le Leggi Razziali del '38; milioni di persone costrette a lavorare per stipendi che non consentono la sopravvivenza economica; chi non gestisce la sua professionalità per arricchire, ma per condurre una vita onesta, degna e coerente viene deriso, tiranneggiato, emarginato, punito, sia esso magistrato, medico, giornalista o ricercatore; Santa Romana Chiesa non ha ancora fatto pace col suo passato e anzi continua a discriminare, condannare, scomunicare, senza aver mai messo fuori dai loro portoni un fascista, un tangentista, un mafioso, un faccendiere, e nemmeno un piduista; la percentuale di inquisiti e condannati è maggiore nel Parlamento che in qualsiasi condominio d'Italia; salvo eccezioni, non ancora verificate, ma il tempo è galantuomo, gli amministratori locali amministrano la cosa pubblica a vantaggio, in primis, proprio e di parenti e amici. Il nostro debito pubblico più grande del mondo è in gran parte dovuto alle ruberie delle numerose mafie di vario livello e per l'altra parte ad un'evasione fiscale da record, ciò nonostante nessun governante ha chiesto i voti per far piazza pulita di tutto questo, dimenticando che ci sono tanti mestieri più facili, cui nessuno chiede di contrastare i mafiosi e gli evasori. Questo è il quadro della situazione nella nostra bella Italia, ma il resto del mondo, stiamo vedendo in questi ultimi mesi, non ha molto da insegnarci, salvo forse che una giustizia dalle mani legate è roba da Repubblica delle Banane. La caduta di valori è universale ed è bene chiarire subito ai politici che ogni sera vanno in TV a "buttarla in caciara", che non c'è libertà senza libertà dal bisogno, non c'è democrazia senza informazione plurale, non c'è giustizia senza certezza della pena, uguale per tutti.

Dopo questo che abbiamo sotto gli occhi, qualunque persona di media intelligenza, medio senso etico, media onestà, comincia a chiedersi: come posso far sopravvivere la mia anima? Come posso fare qualcosa di buono per me, per gli altri, per la mia famiglia, in un mondo consegnato ai furbi e ai disonesti anche intellettuali? A mio parere, ma so di essere in buona compagnia, la sola salvezza ci proviene dall'assumere quell'atteggiamento, quello stile di vita eroico che dicevo all'inizio di questa chiacchierata. Ci sono lavori da apprendista e lavori da Maestro, ebbene in questi tempi di mare grosso gli uomini semplici, di buona volontà, il popolo sano, è obbligato a diventare Maestro ed assumere atteggiamenti eroici. L'Eroe, per definizione, è un uomo senza guida e senza altro riferimento che non sia se stesso, con quello che ha dentro, con quello che ha imparato, solo col suo bagaglio nell'affrontare compiti che sono diventati improvvisamente grandi. Evviva i mille e mille Eroi che ogni giorno riescono a mettere un mattone per la casa dei nostri figli.

 

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Il Bravo Calzolaio

 

 
 Per dirla con Jung: "....sulla lapide di un bravo calzolaio non si scriverà che non è stato un buon cappellaio". QUI GIACE UN MEDIOCRE CAPPELLAIO, no, non s'è mai visto! Questa è la definizione di disonestà intellettuale come la descrisse il grande psicologo svizzero, accusato da alcuni contemporanei di non essere stato un bravo filosofo. Di questo stesso genere di disonestà ne sono pieni i quotidiani e i notiziari in questi anni di campagna elettorale permanente.
(Carlo Anibaldi - 2009)

 

 

 

 

NON VESTIVAMO ALLA MARINARA

(articolo di Carlo Anibaldi – sett. 2008)

  

 Erano gli anni cinquanta, sui muri dei magazzini di periferia dove andavamo a giocare c’erano grandi scritte nere su fondo bianco che non capivamo, in particolare una che ammoniva: “La stasi debilita, l’azione rinfranca”, figuriamoci, non stavamo mai fermi un momento! E quell’altra: “Vincere e Vinceremo”, tutte sempre firmate con una M corsivo maiuscolo. 

 Eravamo figli di ferrovieri, piccoli commercianti, impiegati e operai, tanti operai e decisamente non vestivamo alla marinara. Molti di noi avevano indosso pantaloncini e magliette dei fratelli maggiori e poi ogni venerdì veniva il mercato americano e la mamma ci comperava strane camicie con i bottoncini sul colletto, sempre troppo grandi, buone anche per gli anni a venire.

 Il Caffè sotto casa aveva una saletta al piano superiore con un grande televisore e ogni sabato sera eravamo tutti lì a vedere il Musichiere, ma avremmo visto qualsiasi cosa, purché fosse venuta da quella scatola magica. La domenica mattina era sempre un po’ speciale: c’erano le attività parrocchiali, che per noi bambini avevano il significato di rendere ufficiale la nostra attitudine a giocare, sudare e sporcarci. E poi il passaggio con papà alla pasticceria per i bignè, talvolta rovinato da una precedente fermata dal barbiere, che ci faceva sfumature incredibilmente alte, così duravano di più.

 Gli anni della scuola non erano facili per noi: grembiulini neri, inverni lunghi, macchie d’inchiostro sulle dita, tanti compiti a casa e tante lacrime. Per i nostri genitori la scuola era la sola possibilità di offrirci un futuro migliore del loro presente, e allora niente sconti, serietà e senso del dovere erano le parole d’ordine, insomma una specie di “missione di famiglia” e allora per essere asini ci voleva davvero un fegato grosso così. Infatti a quei tempi gli asinelli si potevano contare sulla punta delle dita di una mano.

 Forse non eravamo proprio felici, ma nessuno ci aveva mai detto che la felicità era cosa di questo mondo, del nostro mondo e dunque come si fa ad essere davvero infelici se non conosci la felicità?

 Altri erano i percorsi e gli scopi, non certo perseguire la felicità, e allora le parole per dire della nostra vita erano poche, semplice e chiare e per lo più orientate al senso del dovere, del sacrificio e della moderazione. Tutte cose difficili da far proprie per dei ragazzi, ma la parola trasgressione non era stata ancora inventata, ci sarebbero voluti una decina d’anni ancora. 

 La nostra generazione ha genitori che hanno visto con i propri occhi la dittatura, la fame, la guerra, la distruzione, la morte e dare a noi anche molto meno della felicità era già tantissimo, un vero traguardo.

 Molto diverso il nostro punto di vista e infatti la cosiddetta Rivoluzione del ’68 nasce per il prepotente desiderio di aggiungere allo schema di vita che i nostri genitori avevano preparato per noi, quella che abbiamo giudicato un’assenza impossibile: la Ricerca della Felicità. Abbiamo insomma preso a pensare che una vita senza la possibilità di perseguire la Felicità non sia una vita degna, ma rassegnata e minimalista. Una vera rivoluzione rispetto ai sobri principi dei nostri padri.                                                                                             Per noi che non vestivamo alla marinara, la Ricerca della Felicità non era un dato di fatto come per quelli che vestivano alla marinara, ma una conquista da fare sulle barricate, non solo metaforiche. Quella Rivoluzione, dei costumi e degli ideali, ci ha delusi un po’ tutti ed in parte è rientrata, come spesso accade per i progressi sociali: due passi avanti e uno indietro.

 Un effetto collaterale importante però c’è stato. I nostri figli, in buona parte,  molto hanno assorbito del nostro anelito di Ricerca della Felicità, ma, vista la gran velocità di questi tempi, sono già arrivati in molti all’affermazione del Principio di Felicità, sopra ogni altro. C’è il legittimo timore che abbiano saltato qualche tappa, ma la ”colpa” sarebbe comunque la nostra e allora non dovremmo giudicare.

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Miniconferenza:

 

  Raccontare la Storia 

(di Carlo Anibaldi – Marzo 2008)

 

 Se dovessi fare una classifica di attendibilità del "racconto storico" metterei all'ultimo posto giornali, TV, cinegiornali e anche testi accademici e tanta parte di Internet. Solo qualche gradino più sopra metterei le ricerche e i documenti originali. Consideriamo infatti la Storia per quel che è: l'incessante e precipitoso scorrere del presente che ... è già passato. Alcuni documenti, suoni, immagini, sono giunti fino a noi, tutto il resto è racconto, talvolta onesto, talvolta fantasioso, talvolta manipolato; partendo da questo semplice assunto, tutto quanto appare interpretazione, formazione, e talvolta appunto manipolazione di opinione. Il solo momento autentico credo riguardi l'osservazione del fatto storico come in genere si fa con un'immagine alla galleria d'arte o quella che ci colpisce in un sogno, ma quando si tenta di descrivere, raccontare quell'immagine, troppo del narratore si mescola al "vero".

 C'è un esercizio didattico oramai classico che viene fatto fare agli studenti ai primi approcci alla Psicologia: ognuno viene invitato a descrivere su un foglietto ciò che vede rappresentato alla lavagna (ad esempio un oggetto oblungo con apice appuntito), ebbene non ci sono mai due descrizioni identiche: una pallottola, una supposta, la mitra del vescovo, la pala del contadino, un fallo, un razzo per la Luna. A questo punto l'insegnante introduce il concetto di "proiezione" dei propri contenuti personali, non sempre consci, sulla realtà, mistificandola.

 Immaginiamo ora di scrivere sulla lavagna di quella scolaresca parole da interpretare come, ad esempio, Vietnam, Mussolini, Churchill, Craxi, Kennedy, IRA, Solgenitsin, ecc... Nei foglietti degli studenti troveremo tutto e il contrario di tutto e se non lo troviamo, ebbene è già avvenuta la manipolazione. E' del resto esattamente questo il campionario che troviamo su giornali,TV e in certe interviste e articoli di "esperti" quando cerchiamo di farci un'opinione il più possibile oggettiva sui fatti, siano essi vicini o lontani nel tempo. Talvolta in buona fede, più spesso no, il racconto storico degli eventi risente pesantemente dell'indirizzo culturale, sociale e politico del narratore o studioso che sia. Quando addirittura non risponde ad una studiata logica mistificatoria degli Opinion Maker di professione, vale a dire tanta parte dei sedicenti "giornalisti".

 Ma allora? Cosa dobbiamo fare per farci un'opinione che sia almeno intellettualmente onesta? A questa domanda che storici, giornalisti e divulgatori si pongono da sempre, sono state date molte risposte, tutte convergenti sul concetto di "etica" professionale. Io mi concedo di essere piuttosto scettico su questo punto poiché non s'é mai visto che l'etica risponda a principi universali, come pure il concetto di "bene" e "male" o quello di "giusto" o "ingiusto". Del resto sappiamo anche che gli "Statuti" degli Ordini dei Giornalisti sono quotidianamente disattesi, senza conseguenze per alcuno per la ragione di cui sopra: l'etica professionale è fatta di gomma morbida.

 A mio parere dovremmo tornare all' "immagine" e alla potente carica di oggettivazione dei fatti che contiene. Non dimentichiamo infatti che la mente arcaica, il cervello filogeneticamente "antico", quello che abbiamo in comune con gli altri animali, "funziona" per immagini e non per "concetti" che sono solo le elaborazioni intelligenti, a posteriori, delle immagini. La nostra coscienza è in grado di "comprendere" le immagini in modo autentico, senza filtri "mentali" interpretativi. Il Racconto Storico di fatti ed eventi più vicino al "vero" sembra dunque essere quello che procede soprattutto per immagini e suoni che richiamino immagini. (su questi aspetti vedi anche "Il Simbolo" secondo Jung)

 Questo è quanto io credo e questa è dunque la ragione che vede in questo sito una maggior profusione di immagini e suoni che elaborazioni concettuali e opinionistiche su fatti che le immagini già ben descrivono ad una mente onestamente ricettiva.

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Miniconferenza:

 

Il quotidiano fra Cronaca e Storia

(di Carlo Anibaldi – Giugno 2008)

 

 Talvolta ci sono notizie sui giornali che a leggerle oltre il significato di cronaca del quotidiano, danno il segno dei tempi che cambiano, di valori che tramontano, di altri che sorgono e di altri ancora che ritornano. Non s'è mai visto che la società degli umani sia stata in perenne crescita evolutiva. Noti filosofi, vecchi e nuovi, hanno ben studiato il fenomeno e ai più appare chiara la discontinuità temporale e perfino geografica dei processi evolutivi. Per intenderci, è un processo evolutivo quello che, ad esempio, ha preso a considerare un'abnormità la schiavitù, la liceità dell'omicidio d'onore e della legge del "taglione" o anche fenomeni di minore impatto come il fumo nelle scuole e negli ospedali. I sociologi ci hanno spiegato che c'è una sorta di processo imitativo alla base dei fenomeni sia evolutivi che regressivi di un corpo sociale, anche ristretto, non necessariamente planetario. In Italia e in Francia, ad esempio, per tutto il Novecento si sono alternate vicende connotate da fenomeni di lotta di classe, che a seconda dei momenti storici, anche internazionali, hanno visto prevalere talvolta valori societari tendenti al conservatorismo e talvolta quelli tendenti al progressismo. Molta fortuna ebbe l'idea di poter dividere e classificare la società in una Destra storica e una Sinistra storica, con riferimento alle ali contrapposte dell'emiciclo del Parlamento, con l'intento di rappresentare immutabili tendenze individuali. A livello nazionale e internazionale entrambi gli schieramenti hanno toccato con mano, nel corso di un secolo, tutte le possibili aberrazioni dell'affermazione decisa di una parte sull'altra.

 Con la fine del Secolo Breve (1991) s'è fatta strada l'idea che una tale rappresentazione della società è artificiosa come è artificioso pensare che si possano suddividere gli individui in base alle loro tendenze in tema di egualitarismo, tolleranza, progressismo, conservatorismo. Questo errore è oggi (2008) evidente anche agli osservatori più disattenti. Quando la regressione economica è globale, quando il petrolio vola verso i 200 dollari al barile, che senso ha per la gente comune il concetto di progressismo? Come si può essere progressisti quando non c'è progresso e la crescita è zero e il futuro appare fosco? Per le stesse ragioni, che senso ha il conservatorismo quando non ci sono i soldi per fare la spesa? Nemmeno per il laureato 110 con lode? Conservare che cosa? Quali valori? Ci eravamo fatti l'idea che i "barboni" erano individui instabili psichici, alcolisti, ai margini della società per la soggettiva impossibilità ad inserirsi. Lo pensiamo ancora guardando al futuro dei nostri figli, molti dei quali senza casa, senza lavoro, senza pensione?

 Gli esseri umani sono creature assai complesse, le più complesse del Creato, viste le loro possibilità di discriminare, di trascendere gli istinti primordiali. In quanto creature complesse, appare ridicolo quel politico che si rivolge alla "gente", appellandosi a valori universali lontani dalla "pancia" e dunque dalle paure e dai bisogni. Come del resto appare inadeguato anche quel politico che si rivolge esclusivamente alle "pance" dimenticando la complessità degli individui. Ecco dunque spiegati "fenomeni" politici di massa che hanno determinato, in questo 2008, la sparizione quantitativa della sinistra idealista e il successo (3 milioni di voti alla Lega Nord) di partiti che promettono di sedare le paure della "gente", privi di ideali, ma vicini al territorio e dunque ai problemi del quotidiano.

 Con la scorta di queste osservazioni, tornando alle pagine di cronaca del giornale di oggi, non è difficile cogliere il senso del diffuso quanto inconsueto spregio di valori solidaristici, egualitaristici, etici. Leggiamo ad esempio che oggi lo stipendio di un manager pubblico, di quelli che lavorano con soldi pubblici, è quantificato mille e più volte quello di un suo dipendente che deve scegliere se pagare le bollette o mangiare. Leggiamo anche che alcuni medici in talune strutture private sono pagati 6-8 euro/ora, come colf, a meno che non accettino compromessi grandguignoleschi di pompaggio delle fatture alle ASL, possono allora anche arricchirsi.

 La Storia dunque sembra in questo momento andare all'incontrario: son tornati i "Padroni delle Ferriere" e i "negrieri", altro che progresso! Non dovremmo comunque spaventarci troppo, la Storia fa così: un passo avanti e mezzo indietro; è una questione di complessità, come abbiamo visto, ma forse soprattutto di disequilibri economici che rendono talvolta vincenti valori aberranti come il cinismo, l'ingiustizia sociale e l' egoismo, come è sempre accaduto.

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 LA FUCINA DELLE IDEE

 

Da un po' di tempo si sente sempre più esprimere il concetto che destra e sinistra pari sono, le distinzioni, si dice, sono altre, basate sul 'fare' e non sui principi. Qualcuno vuol togliere di mezzo i partiti politici e vedere costituirsi associazioni di cittadini 'per fare le cose'. Ovviamente gli apparati di partito fanno muro bipartisan contro queste idee 'qualunquiste' che minacciano le loro galline dalle uova d'oro.
Il fatto che in Italia i partiti politici siano diventati apparati incolori, costosi e disonesti, non dovrebbe cancellare dalla memoria storica di ciascuno il Partito Unico e il non-partito. Proviamo infatti a mettere intorno ad un tavolo anche solo tre persone e un problema da risolvere e constateremo che ci sono sempre almeno due soluzioni, ma spesso di piu'.
Dunque la questione di fondo non è mai stata tra il 'fare' e il 'non fare', ma sul 'come fare'. La politica è l'arte di 'trovare la strada' ed i partiti hanno la funzione di 'fucina delle idee'. Le idee hanno orientamenti di massima che sono stati definiti di destra o di sinistra e definiscono l'habitus mentale di chi propone le soluzioni ai problemi ed il consenso che si raccoglie tra persone dello stesso habitus, o cumulo di esperienze personali e sociali che dir si voglia.
A nessuno sarà possibile uniformare, amalgamare il cumulo di esperienze personali e sociali della gente, dunque rassegnamoci sin d'ora al fatto che, come l'araba fenice, i partiti risorgono dalle loro stesse ceneri, cambiano nome, cambiano leader, ma riprendono vita. Questo non è però da considerare il 'male assoluto', ma l'anima della Democrazia, anche quando i partiti ci deludono.
I partiti politici sono la sede naturale della Fucina delle Idee e, non foss'altro che per questo, non andrebbero ma minacciati di estinzione, poiché il Pensiero Unico non esiste a questo mondo, è solo la chimera dei ciarlatani e degli imbonitori, cui talvolta la Storia ha purtroppo affidato grandi responsabilità, seppur per breve tempo, tempo maledetto.
Come sappiamo, le idee non hanno di per sé una connotazione assoluta: esistono infatti idee giuste al momento sbagliato, idee sbagliate al momento giusto, idee giuste al momento giusto e, infine, idee sbagliate al momento sbagliato. Chi fra di noi ha più di 65-70 anni ha avuto l'avventura di saggiare sulla propria pelle tutta la gamma delle idee. Il Fascismo ed il Nazismo furono, ad esempio, il trionfo di idee sbagliate al momento giusto. Il tripudio delle idee giuste nel momento sbagliato furono invece quelle che animarono le lotte studentesche negli anni '60 e '70, ne approfittarono infatti gli estremisti senza scrupoli. Altro sanguinoso esempio di idee giuste che videro la luce nel momento sbagliato, probabilmente è la delibera dell'ONU del '48, che assegnava la terra araba di Palestina agli ebrei transfughi da mezzo mondo. Anche l'introduzione dell'Euro e l'allargamento della Comunità Europea vanno a costituire il mazzo delle idee giuste prese nel momento sbagliato. Invece le Leggi Razziali del '38 furono un tragico esempio di idea sbagliata presa, per sovrappiù, nel momento peggiore, cioè con i nazisti davanti alle porte di casa.
Il principio che in questi tempi difficili dovrebbe affermarsi, è l'opinione di molti, è quello di difendere piuttosto i partiti dall'irruzione di uomini sbagliati, uomini dalle vedute ristrette, uomini avidi, che in definitiva non hanno fatto mai nulla di buono e che, al contrario, hanno dato dimostrazione di servirsi dei partiti, piuttosto che servirli nel pubblico interesse.
Comunque sia, sono certo che è questa la linea evolutiva, ci sono i segnali di varia provenienza, bisogna solo attendere che i vecchi elefanti di un mondo vecchio si avviino al loro cimitero dorato. Non disperdiamo energie ad illuderci di vederli finire nella polvere, hanno lavorato una vita intera per evitarlo e di certo ci riusciranno.

 (Carlo Anibaldi - Dicembre 2008)
 

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Miniconferenza:

 

La polvere della Storia

(di Carlo Anibaldi – Luglio 2008)

 

 Ai nostri contemporanei dobbiamo tutto, il resto è solo la polvere della Storia che, pur inconsistente, tutto ricopre. Ci sono valori e circostanze che riteniamo centrali nella nostra storia personale; generalmente sono gli incontri, l'Amore, la Libertà, la Fortuna, gli affetti e poco altro. Con ciò tutto sembra detto. Per altri versi, anche a volerli mettere in fila, in ordine di importanza personale o anche in ordine alfabetico, par sempre che manchi qualcosa.

 Dico questo perché il nostro sentire più intenso è nell'unicità, eppure ci muoviamo all'interno di valori, sentimenti, azioni ed emozioni che sono universali e universalmente vissuti, senza distinzioni di luogo e di tempo. Ma allora, cos'è che ci fa sentire così unici fra i nostri simili? Ogni nostra esperienza, con ogni probabilità, è già stata sperimentata o lo sarà in futuro. Queste stesse mie parole non è impossibile che già siano state pronunciate. Io credo allora che il sentimento che ci è più caro, quello che avvertiamo come unicità nel Creato, sia un dono dei nostri contemporanei.

 I nostri contemporanei sono quattro o cinque generazioni di individui al massimo. Non sarà necessario stringere la mano a tutti per convincerci che stiamo compiendo insieme questa traversata. Dovremmo infatti, al pari dei passeggeri di una nave da crociera, essere tutti pervasi da un sentimento di magica empatia verso i nostri compagni di viaggio con cui stiamo condividendo esperienze. Per molti è proprio così, e quelli sono i migliori, perchè al di là di queste parole c'è davvero la possibilità di stringerci in un abbraccio con i contemporanei, a patto di considerarli compagni di viaggio quali sono.

 In queste considerazioni sull'unicità che ci viene dalla contemporaneità, non posso fare a meno di soffermarmi sulla qualità dei nostri compagni di viaggio, che è la stessa cosa che considerare la qualità della nostra vita. Intendo dire che, ad esempio, essere ebrei ed aver avuto Hitler come compagno di viaggio è stato determinante per milioni di persone che aspiravano legittimamente ad una vita degna. Alla stessa maniera, per tanti uomini di colore fu determinante per le loro vite aver avuto Abramo Lincoln come Presidente, un contemporaneo di alta qualità.

 Nel privato le cose non vanno molto diversamente. Il meglio e il peggio della nostra esistenza sta più nelle mani degli altri che nelle nostre. A dispetto di pur affermate teorie psicologiche, io penso che nella formazione della qualità della nostra vita, il ruolo centrale è affidato ai nostri contemporanei. Non mi riferisco in modo esclusivo ai contemporanei prossimi, che pur hanno un ruolo importante, ma in definitiva un marito manesco lo si può abbandonare. Diverso è prendere le distanze da un'autorità disonesta o dai mandarini di un regime, ma questo è un'altro discorso.

 Non fosse per i nostri contemporanei, saremmo, come del resto alla fine saremo, un puntino indistinto in una moltitudine di lapidi di sconosciuti, come negli antichi cimiteri di campagna che ci è capitato di visitare. Nel bene e nel male sono loro a conferirci unicità e irripetibilità, i contemporanei. Per convincercene in maniera definitiva dovremmo sfogliare quei vecchi album di foto al mercato delle pulci: quelle persone di cent'anni fa sono morte due volte, anche nella loro unicità che hanno perduto con la perdita di tutti i compagni di viaggio e dunque con l'oblio sentimentale. Perfino gli artisti e i grandi personaggi, quelli che sembravano i padroni degli eventi e delle genti, non hanno un destino diverso, infatti ciò che sopravvive è solo la polvere della Storia, quella sottile patina che contiene i rumors, le tracce, nei Movimenti e nelle opere, ma l'unicità dovuta allo scambio di sensazioni e sentimenti con i contemporanei è finita col finire dell'ultimo compagno di viaggio. Fintanto che erano in vita i superstiti del Titanic, ebbene quella era una forte esperienza che emozionò i contemporanei per decenni, poi è divenuta Storia, polvere impalpabile, irraggiungibile come sa esserlo un racconto d'altri tempi.

 Queste considerazioni non dovrebbero scoraggiarci o renderci un po' più cinici, al contrario rappresentano, particolarmente per coloro che non godono di una radicata Fede Cristiana, una possibile base su cui costruire un diverso rapporto con i contemporanei, che non dovremmo mai considerare nemici, non fosse altro perchè alla fine essi sono tutto quanto di reale abbiamo in questa traversata, la nostra unica, irripetibile possibilità di affermare: "Io c'ero".

 

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Riflessione:

 

La loro ora più bella

(Their Finest Hour)

(di Carlo Anibaldi – ottobre 2008)

 

 

 

Qualche anno fa, sfogliando un vecchio album di fotografie ingiallite che si trova da sempre nella casa che fu dei miei genitori, mi soffermai sulle espressioni dei volti delle persone cui era stato colto quell’attimo delle loro vite.

 Alcuni  erano volti  conosciuti, altri no, e per la maggior parte, credo, erano raffigurate  persone  oramai non più tra noi vivi.

Guardare quei filmati dell’inizio del secolo o delle vecchie fotografie  al mercato delle pulci mi ha sempre affascinato e intristito allo stesso tempo, e una delle ragioni di questo sottile disagio l’ho compresa quel giorno, davanti a quell’album.

Nel guardare quei visi cercavo di carpirne il loro grande segreto: sapevano che la loro ora più bella era oramai alle loro spalle o pensavano di doverla ancora vivere?

Ero insomma quasi ossessionato da questo impalpabile sbarramento che divideva drammaticamente in due la vita di tutti: ed eccomi, di volta in volta, cogliere negli occhi della gente quel sottile velo di rassegnazione che l’accompagnerà per il resto della vita. Vite oramai segnate dall’aver riconosciuto, in un fugace attimo di un brutto giorno, l’ora più bella passare ed allontanarsi alle loro spalle.     

Altre volte vedevo chiaramente espressa nei volti la baldanza della gioventù o dell'incoscienza, e negli occhi la certezza di andare incontro all’ora più bella: perché tanta fretta, mi dicevo con un velo di preoccupazione.

Questo modo di vedere non mi dava pace perché la migliore delle ipotesi, in questo teorema, era costituita da una specie di stoltezza che impedisse  di riconoscere, nell’arco della propria vita, che ora fosse.

 

 Col passare degli anni ho 'dimenticato' le ragioni della tristezza sottile che continuava ad assalirmi davanti a vecchie foto o filmati, almeno fino al giorno in cui mi imbattei in un libricino di aforismi Zen. Uno in particolare attrasse la mia attenzione:

un discepolo si presenta al Maestro con il seguente grande problema : “ Maestro, da molti anni seguo i Tuoi insegnamenti, ho cercato in ogni modo di mettere i miei passi sui Tuoi passi, della Tua saggezza ho fatto la mia religione... ma ora sono confuso, indicami la Via che ho di fronte, guida i miei passi nel mondo ...”.

Il Maestro guardò le mani del discepolo che stringevano una ciotola e disse: " Hai finito il tuo riso. Dunque lava la tua ciotola.”  

 

Questo semplice aforisma contiene un potente richiamo a ciò che possiamo, credo, definire la summa di tutte le filosofie e dottrine: la vita di noi tutti e fatta del qui ed ora, lo sanno bene i bambini e molte persone anziane, ma nel corso dell’esistenza siamo proiettati in avanti dalle aspettative o ricacciati indietro dalle difficoltà di affermazione dell’Io e, per lo più,  ci capita di assaporare fugacemente il gusto della vita intanto che  siamo indaffarati a fare qualcos’altro.

 

 In un attimo mi è apparso chiaro che 'la loro ora più bella ' e quella di noi tutti è adesso, mai come adesso. Le vecchie fotografie non mi angosciano più: la Loro Ora più Bella è stata una vita intera e forse più.

 

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Miniconferenza:

 

Ancora qualche parola sull'Olocausto, il Revisionismo

e il cosiddetto buonismo italico

(di Carlo Anibaldi – Luglio 2005)

 

 

 Il sito La Grande Crociata (Anibaldi.it@Educational) è un sito di testimonianza della barbarie nazifascista, che certo non è la sola barbarie della Storia, ma di quella si vuole ora parlare, nel senso che il noto e abusato teorema "tutti barbari, dunque nessun barbaro" è qui giudicato infantilismo storico e/o qualunquismo. In altre sezioni in preparazione e in altri siti web sono trattate le barbarie e i genocidi staliniani, cambogiani, bosniaci, armeni, russi e americani, ma è da questa che ha segnato le vite dei nostri padri e madri che vogliamo cominciare, perchè la coscienza cui bisogna avvicinare i giovani è troppo importante per rischiare di diluirla con le "lontane" vicende di Pol Pot.

Inoltre riteniamo che L'Olocausto sia, per caratteristiche storiche (vedi Conferenza di Wannsee), un evento unico che ha in comune con altri genocidi solo il silenzio della ragione e della pietà.

Gli opposti estremismi sono stati gli indiscussi protagonisti delle peggiori tragedie dell'Umanità, ma se nessuno appassiona i giovani allo studio della Storia, molti saranno tentati a riconoscerli come scorciatoie alla soluzione di problemi personali e sociali.

 

 Il cosiddetto Revisionismo Storico è in questo sito ritenuto un atto "creativo" e spesso speculativo dell'ingegno e dunque assolutamente estraneo al metodo scientifico di ricerca storica. Per questa ragione nemmeno vi faremo cenno. Trattato dunque al pari di un comizio elettorale, che notoriamente è l'ultimo luogo dove ricercare le verità storiche.

 

 Si vuole anche ricordare che a oltre 60 anni dal dopoguerra è certamente suonata l'ora di rompere il velo di bugie sul "buon italiano" con cui, dagli anni '50 a tutt'oggi, per ragioni legate alla politica della Ricostruzione e a quelle dell'allora nascente "guerra fredda", furono coperti i crimini della cosiddetta "Guerra sporca di Mussolini"" in Albania, Grecia, Slovenia e Etiopia.

 

 In quei Paesi, fino all'8 Settembre del 1943, furono compiuti dagli italiani contro le popolazioni civili, atti non meno efferati (infanticidi, stupri, esecuzioni sommarie), di quelli perpetrati dalle orde naziste, però non vi fu mai una Norimberga italiana. Ci provarono gli inglesi, la pretese Roosevelt fino alla sua morte nell'Aprile del '45, ma non si volle sporcare la faccia degli italiani che "dovevano" comunque apparire diversi dai tedeschi*. Di questo ulteriore crimine e della sua impunità, le centinaia di ufficiali e sottoufficiali e soldati fascisti italiani responsabili, debbono ringraziare De Gasperi e molti altri fra i bipartisan padri costituenti della neonata Repubblica stracciona e suddita dei vincitori che, in nome di superiori interessi legati alla guerra fredda, che vedeva gli ex nemici, Germania e Italia, in prima linea nella lotta al comunismo sovietico (senza contare che dall'altra parte della cortina la ex Jugoslavia chiedeva a gran voce di rinviare a giudizio i criminali di guerra italiani), alla ricostruzione del nostro Paese e Dio solo sa a cos'altro (vedi i riferimenti all'"Armadio della vergogna", ritrovato nel 1994 con le ante rivolte al muro da 40 anni), hanno concesso libertà (Badoglio fu Senatore della neonata Repubblica e Graziani ebbe condonati 17 dei 19 anni di condanna, ad esempio), onori, pensioni e soprattutto rispettabilità a tanti criminali i cui eredi ancora godono di ingiustificati privilegi. Ebbene non qui, dove v'è pari indegnità fra i criminali di guerra tedeschi e quelli fra gli italiani che non hanno nemmeno avuto necessità di riparare in Sud America o altrove in quanto protetti dalla massoneria, dalla "ragion di Stato" e dalla politica dei compromessi. Ovviamente non ci si riferisce ai cosiddetti Ragazzi di Salò, animati almeno da adolescenziali ideali patriottici, incolpevoli per ignoranza di Stato, ma ai comuni criminali di guerra, prima e dopo il '43, sia fascisti che quelli implicati nelle vendette sommarie post-belliche (vedi foibe - Volante Rossa).

 

 Credo che senza improbabili distinguo, storicamente inconsistenti, l'Italia avrebbe dovuto avere dagli Alleati lo stesso trattamento post-bellico che ebbe la Germania e il Giappone, insomma un netto voltare pagina, non di facciata e allora non avremmo avuto gli infiniti compromessi catto-comunisti e post-fascisti e forse saremmo stati la grande potenza economica e industriale, senza gli italici risibili "inciuci" e malcelate nostalgie, che oggi sono la Germania e il Giappone.

 Qualcuno invece, in nome della realpolitik e del timore di cadere nell'orbita sovietica, ha ritenuto e forse addirittura creduto che 500 giorni di guerra partigiana potessero riscattarci, davanti alla Storia, da 23 anni di autentico Fascismo ad enorme consenso di popolo, dove furono soppresse le libertà fondamentali, perseguitati e imprigionati o peggio gli oppositori  e renderci per questo "migliori" dei nazisti, dei quali siamo stati ispiratori e poi imitatori di ideali e azioni (vedi Leggi Razziali e Manifesto della Razza - vedi anche tra i Firmatari e aderenti nomi di personaggi che hanno costituito l'intellighenzia post-bellica della nostra Nazione).

 

Vedi anche: Dopoguerra: la "defascistizzazione" fallisce in Italia  e  l'Armadio della vergogna

 

Approfondisci ai seguenti link: 1 - 2

 * "Non si ammazza abbastanza!", ammonisce nel 1942 il generale Mario Robotti, comandante dell'XI Corpo d'Armata italiano in Slovenia e Croazia. Nello scenario drammatico e complesso dei Balcani, infatti, l'Italia fascista reagisce alla resistenza jugoslava, albanese e greca con brutale durezza: rastrellamenti, villaggi incendiati, esecuzioni sommarie, internamento di migliaia di civili. In questo saggio Gianni Oliva prosegue la sua rivisitazione delle pagine dimenticate della storia nazionale affrontando il tema, ancora oggi poco noto, dei 1857 ufficiali e soldati di cui fu chiesta l'estradizione per crimini di guerra. Dall'analisi di queste vicende emergono le strategie di controguerriglia, le atrocità inferte e quelle patite, ma, soprattutto, affiorano le ragioni che hanno determinato sessant'anni di oblio creando lo stereotipo degli "italiani brava gente". (da "Si ammazza troppo poco" di Oliva Gianni, 2007 Mondadori Editore)

 

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Miniconferenza:

 

GIUSTIZIALISMO VERSUS GIUDIZIALISMO

(di Carlo Anibaldi – Agosto 2008)

 
 

 Pur senza entrare qui nel significato storico o anche solo etimologico del termine Giustizialismo, ma limitandosi al senso comune che ha assunto in questi tempi, si può azzardare la seguente definizione: giustizialisti sono coloro che, in barba alle garanzie di libertà degli individui di una società liberale e democratica, perseguono, in via anche sommaria, la pena per i sospetti di reato. Sono insomma coloro che convintamente ignorano saggi assunti come quello che afferma essere più opportuno lasciare in libertà un colpevole che toglierla ad un innocente.

 Purtroppo molti giornalisti e opinionisti, un po' per ignoranza tout court, un po' per convinzione o convenienza politica, fanno una marchiana confusione di termini. Si ostinano infatti a definire giustizialisti molti di coloro che sono semplicemente giudizialisti, vale a dire quelli fra i cittadini, i magistrati, i politici, i giornalisti, che credono fermamente nel potere di giudizio della magistratura secondo un principio di assoluta non sudditanza ad ogni altro potere. Un concetto in apparenza semplice, ma bisognerebbe forse essere un po' più 'luterani' per comprenderlo appieno, senza distinguo.

 Il principio garantista cui si attengono i giudizialisti è quello, assai caro agli ordinamenti delle democrazie avanzate, secondo cui i reati definiti dai codici civile e penale non hanno colore, non sono né progressisti né conservatori, né di destra né di sinistra. Il colore insomma attiene ai rei e mai ai reati e dunque, per definizione, sottoporre a giudizio o semplicemente ad indagine un cittadino, non è mai un atto "di parte", ma un atto dovuto da chi, per conto dei cittadini, amministra la Giustizia. Alla stessa maniera del medico che combatte la malattia, incurante della fede politica o religiosa del malato.

 I giudizialisti sono certi che l'indipendenza del magistrato dall'influenza di altri poteri costituisca il baluardo oltre il quale finisce la Democrazia e l'uguaglianza di tutti davanti alla Legge. Per questi stessi principi i giudizialisti non sono favorevoli a forme di immunità per i rappresentanti eletti. Questo principio, largamente diffuso senza quasi eccezioni nelle democrazie avanzate, vede gli eletti dai cittadini come affidatari di un mandato che ne rappresenti gli interessi nel Parlamento e nelle Istituzioni.

 Nulla a che vedere dunque con un mandato "incondizionato" che consentirebbe agli eletti di trasgredire le leggi, perfino a corrompere ed arricchire illecitamente, tradendo il mandato stesso. Infatti, essere votato dai cittadini a rappresentarli nell'esercizio del potere esecutivo e legislativo, non è esattamente come essere eletto Pontefice, giova ricordarlo, e dunque mai dovrebbe venir meno il controllo dei cittadini stessi sull'operato degli eletti e sulla loro trasparenza.

 Coloro che si appellano all'investitura elettorale del popolo per dirsi sottoponibili solo al giudizio del popolo, sembrano non tener in alcun conto che questi sentimenti di "onnipotenza" sono chiaramente previsti e cassati dalla Costituzione attraverso l'istituzione di poteri indipendenti e del fatto notevole che la Giustizia è amministrata in nome e per conto del popolo, che generalmente è restio a fare eccezioni. Nella Carta infatti non è scritto, non a caso, che gli eletti sono sovrani, ma che il Popolo è sovrano ed esercita il potere attraverso gli eletti.

 In definitiva i giudizialisti ritengono che gli eletti siano potenzialmente fallaci come ogni altro essere umano e allora sono certi di potersi affidare solo alle leggi che alla fine vengono discusse e promulgate da molti secoli allo scopo di arginare questa fallacità intrinseca alla natura umana ed è per questo che hanno in gran conto gli organi costituzionali di controllo sull'esercizio del potere.

 

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Miniconferenza:

 

Non è un Paese per buoni

(di Carlo Anibaldi – Ottobre 2008)

 

 E' pur vero che buoni e cattivi sono categorie della mente, piuttosto che un reale distinguo fra opposti che si fronteggiano all'interno di una società e fra società, ma ciò premesso, appare importante mettere qualche pietra per contribuire a togliere di mezzo quel che resta di un pregiudizio: l'Italia è un Paese 'buono', fatto per lo più di gente con buone intenzioni e opere.

 Come spesso capita, è il punto di vista che fa la differenza. Si può infatti considerare l'Impero Romano come un formidabile evento storico che ha creato le premesse di una rapida civilizzazione del continente europeo, introducendo i pilastri fondanti del mondo moderno: il diritto, le comunicazioni, il commercio, la politica. Le popolazioni italiche di quel tempo sono state il seme di forme straordinariamente intelligenti di organizzazione della società. Questo è il punto di vista prevalente, ma non il solo. Infatti questo popolo di condottieri ha assoggettato, distrutto, amalgamato, ucciso tutto quanto nel mondo conosciuto di allora stava germogliando, aprendo la strada ad un lungo, oscuro e sanguinoso medio evo della storia di enormi popolazioni. Questo è un altro punto di vista, non prevalente, ma radicato. Del resto nessuno può dire nulla di certo su ciò che sarebbe stato il mondo senza l'Impero Romano e dunque nulla impedisce a molti di farsi la convinzione che oggi avremmo un mondo migliore se circa 2500 anni fa Enea avesse toccato terra in Bretagna anziché nel Lazio.

 Mi rendo conto che non è procedendo in questa maniera che si pondera la Storia, ma questo non è un ragionamento storico, che in questo contesto non ci tornerebbe utile, ma  una disanima fantasociale  che per paradossi ci consenta di smontare un fantasioso quanto radicato teorema, il cosiddetto buonismo italico, che di storico infatti non ha nulla, come ben sanno gli storici, appunto.

  La Chiesa di Cristo, nata in terre lontane nel bel mezzo dell'Impero Romano, quando giunge a Roma perde per lunghi secoli il Messaggio, perde la misura, la tolleranza, la fraternità, la carità. Non sono pochi coloro che pensano seriamente che la grandezza del Cristianesimo sia più nel Messaggio di Cristo che nei grandi numeri acquisiti dopo la conversione di Costantino e la successiva enorme diffusione nel Sacro Romano Impero, dopo le Crociate e più tardi ancora nelle terre d'oltremare. La Storia del Cristianesimo appare fatta di molti grandi numeri e, in proporzione, di pochi grandi uomini.    Anche in questo caso sono molti a chiedersi come sarebbe la Chiesa di Cristo se Pietro l'avesse fondata a Norimberga anziché a Roma, ma sappiamo che nel mondo di allora non avrebbe avuto alcun senso fondarla in un posto che non fosse Roma.

 La dissoluzione dell'Impero Romano lascia sul terreno il meglio e il peggio di sé. Le fondamenta del Diritto insieme a strade, porti e mercati. Lascia anche corruzione e clientelismo in spaventosa diffusione. Martin Lutero non fece solo una riforma religiosa, ma una vera ribellione socio-culturale a quella che oggi verrebbe definita "Roma ladrona", un cataclisma delle coscienze di cui, ancora oggi, si avverte la distanza profonda presa nei confronti di un certo modo "romano" di intendere la società civile, una ventata chiarificatrice circa i diritti e i doveri inderogabili dei cittadini e la lotta alla corruzione e al clientelismo senza ipocrisie. Se da una parte è verità storica che il popolo ebreo ha ucciso Cristo, è anche vero che i Cattolici di Roma cercano riscatto per averlo per secoli ucciso ogni giorno attraverso il relativismo etico di cui si son fatti portatori.

 La nascita e la successiva esportazione della mentalità "mafiosa" prende origine in quei secoli, quando il relativismo etico di una dottrina finisce per permeare il tessuto sociale e contaminarne gli strati più indifesi, ignoranti e poveri, paventando una possibile via di riscatto dalle ingiustizie secolari patite. Se ti penti di fronte a Dio attraverso il tuo confessore, sei comunque un buon cristiano e le porte del Paradiso non saranno per te sbarrate, anche se hai rubato, tradito, malversato e perfino ucciso. Questo è il Relativismo che oggi la Chiesa di Roma sconfessa, ma che è stato per secoli il pane "etico" e companatico "spirituale" di intere moltitudini.

 Non a caso il Fascismo, inteso come via sociale all'affermazione dell'Io, al culto della personalità e alla negazione della molle Democrazia, è nato in Italia e coltivava idealmente nostalgie, singolarmente divenute "politica", nei confronti di Legioni, Imperi, Dux, populismo, disprezzo del debole (ricordate la Rupe Tarpea?) e Fasci Littori. Gli italiani hanno insomma mostrato di avere serie difficoltà a rinnegare la propria Madre, quella Roma Imperiale che ha dominato il mondo. Non fu Mussolini a scimmiottare il Nazismo o il Franchismo, semmai il contrario, fatta salva la superiorità in mezzi, armamenti ed efficienza che ha messo Hitler e non Mussolini sul piedistallo del peggior leader del Millennio.

 Dal dopoguerra ad oggi questo nostro popolo non ha visto reale pacificazione. Ora come allora siamo divisi in modo netto, incivile. Abbiamo avuto Anni di Piombo di incredibile ferocia. Il fenomeno appare solo sopito per questioni contingenti, non certo per progressi nell'evoluzione delle coscienze.

 Per concludere, il cosiddetto buonismo italico (vedi articolo di approfondimento) appare pura ipocrisia, di cui non gli storici, ma i nostri politici del dopoguerra e anche successivi, sono, per diverse ragioni, complici. Con altrettanta esagerazione, ma con qualche fondamento, qualcuno potrebbe perfino arrivare ad affermare che siamo un popolo fra i meno "buoni" di questo mondo.

(Carlo Anibaldi - Ottobre 2008)

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Napoleone e l'ultimo atto dell'Inquisizione
 

  Talvolta l'interpretazione dell'attualità necessita di uno sguardo all'indietro. Ci accade in questi tempi ricchi di avvenimenti, a tutta prima incomprensibili ad una mente liberale, Mi riferisco all'irrigidimento della Chiesa, per la parola di Papa Ratzinger, su temi di notevole impatto sociale quali il testamento biologico e la depenalizzazione della condizione omosessuale che la Francia ha chiesto all'ONU di ratificare, solo per citare gli ultimi moniti, naturalmente 'contro'. Facciamo ora un passo indietro per cercare di capire di dove viene la 'saggezza' di un'istituzione che sembra sorda all'evoluzione della mentalità almeno quanto alle cannonate che aprono le brecce nelle loro alte muraglie.
Duecento anni fa Napoleone potè liberarsi di una sua ossessione: rendere pubblici gli archivi dell'Inquisizione. Nel 1808 ci riuscì nella Spagna appena occupata e ciò che fu reso di pubblico dominio fu di tale impatto che l'effetto sulla Chiesa fu devastante. Padre Lorente fu insignito da Napoleone di un'alta onoreficenza per aver reso praticamente possibile questo atto. Goya iniziò a rappresentare gli orrori dell'Inquisizione nei suoi dipinti in quel periodo. Ma non fu per il Papa di Roma l'ultimo atto dell'Inquisizione, che infatti ebbe inizio solo 50 anni dopo, durante il pontificato di Pio IX. Nel 1858 un bambino ebreo di Bologna, tale Edgardo Mortara, fu sottratto ai genitori dai gendarmi del Santo Ufficio delle Inquisizioni per ingiunzione papale. L'accusa che rendeva indegni i genitori di allevare il figlio si basava sul fatto che una domestica cattolica e analfabeta aveva di nascosto battezzato, sette anni prima, il bambino creduto in fin di vita. lo fece con un bicchiere d'acqua e la formula che aveva sentito pronunciare ai preti: ego te battizzo, in nomine patri, ecc... Di qui inizia l'inutile odissea del padre del ragazzo, che potè riabbracciarlo solo dopo la presa di Porta Pia, nel 1870. Pio IX subì senza batter ciglio le pressioni, anche di alto rango come quella del (suo) banchiere Rotschild, ma solo le cannonate sui bastioni ebbero ragione su quel rapimento che sino alla fine dei suoi giorni il Papa ritenne la giusta azione di un padre e pastore che mette in salvo il figlio-pecorella. Giova ricordare che durante la Campagna d'Italia di Napoleone, paese dopo paese, città dopo città, gli ebrei furoni restituiti alla dignità di Cittadini, uscirono finalmente dai ghetti e poterono togliersi quel ridicolo copricapo giallo che le guardie papaline li obbligavano ad indossare. Ricordiamo anche che fu Pio IX che pensionò il boia Mastro Titta per anzianità di onorato servizio. Tutto questo accadeva in piena Rivoluzione Industriale in Europa e intanto che la Francia si avviava verso quella Belle Epoque che segnò l'apice del progresso materiale e delle idee in quel tempo che solo a Roma era fermo al medio Evo. I piemontesi nel 1870 trovarono nel Lazio tanti analfabeti totali quanti non ce n'erano in tutto il resto del nuovo Regno d'Italia. Dovettero inventare la figura del "Maestro itinerante", una specie di Non è mai troppo tardi ante litteram.
Queste sintetiche parole per fare il punto e per dare a Cesare quel che è di Cesare. A molti di noi risulta infatti ostico comprendere le parole di Ratzinger, se non alla luce di un tempo che si è fermato all'Uomo senza dignità, senza discriminazione, senza arbitrio, alle 'pecorelle' del suo gregge insomma.  (Carlo Anibaldi - Dicembre 2008)

 

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Miniconferenza:

 

La Democrazia Imperfetta

(di Carlo Anibaldi – Agosto 2008)

 

 

  La Democrazia è un'"invenzione" molto antica, probabilmente non solo un'esigenza organizzativa di umani evoluti, ma filogeneticamente determinata dalle caratteristiche complesse dell'"animale corticodotato" Uomo. Le specie più evolute fra gli animali sono organizzate in sistemi "gerarchici" dove i parametri vincenti sono la forza fisica, la resistenza allo stress, il sesso degli individui, in una parola l'insieme di capacità atte ad assicurare continuità alla specie. Fra gli umani questi parametri sono stati validi fino a che l'ambiente era ostile e la sopravvivenza un rebus quasi insolubile. Con lo stabilirsi di condizioni climatiche più favorevoli e la messa in campo delle doti di intelligenza, l'essere umano ha compreso e assoggettato l'ambiente e gli altri animali, in maniera crescente fino allo svilupparsi di società evolute, dove il sottomettersi ad un "capobranco" forte e resistente era oramai deprivato delle originarie esigenze. Bisogna anche dire che questo enorme passo avanti dell'Umanità non comportò l'automatico nascere delle democrazie, ma solo la nascita di quel concetto, fino ad allora inconoscibile per causa di forza maggiore: la sopravvivenza della specie.

 Questa lunga premessa sulle origini del concetto di Democrazia ha lo scopo di ricordarci di dove veniamo, il che non guasta quando ci si accinge a studiarne i cambiamenti.

 A mio avviso quel momento della Storia dell'Umanità che ha visto la nascita del concetto di Democrazia, ma non la sua automatica affermazione nei secoli a seguire, segna uno spartiacque formidabile fra un prima e un dopo. Un Prima in armonia con la Natura e un Dopo in contrasto crescente con essa. Dico questo poiché appare evidente che la svettante e incontrastata evoluzione degli esseri umani ha in sé i semi della Grandezza e della Miseria di specie. Questa affermazione appare come un'ovvietà solo se non si considerano attentamente le conseguenze. E' vero che la Democrazia non esisteva in Natura, ma nemmeno il Potere senza altro fine che quello di accrescere il Potere.

 Il leone, quando è sazio, non uccide la gazzella. Così era l'essere umano prima di trovare dentro di sé i semi della sua Grandezza incontrastata e, insieme, quelli della sua infinita Miseria. Comunque sia, nel corso dei secoli il concetto di condivisione del potere si è fatto strada fra le menti più illuminate e insieme a quello di maggiore "giustizia sociale", ha "contagiato" milioni di individui, tanto che alcuni Paesi si autodefiniscono Democrazie Avanzate, per differenziarsi da altri dove si deve registrare un ritardo, anche di secoli, nell'affermazione dei diritti civili e dell'equità sociale e dunque di una legiferazione attenta ai diritti e doveri individuali.

 Per ragioni che i sociologi e i politologi ci hanno ben spiegato, la Democrazia Rappresentativa dei Paesi cosiddetti avanzati, ha mostrato, dove più dove meno, i suoi limiti. Limiti connessi allo strapotere del sistema bancario mondiale; limiti connessi al persistente Primato della Cultura in società costituite prevalentemente dalla Working Class;  limiti connessi a non casuali contiguità fra capitale e mezzi di informazione; limiti connessi ad una sbilanciata distribuzione della ricchezza e del Potere. Per tutte queste ed altre ragioni si sta dunque assistendo alla cosiddetta virtualizzazione della Democrazia, vale a dire un ritorno alla Carta a proposito dei diritti fondamentali degli individui (salute, lavoro, libertà, istruzione, ecc...), con grave scollamento di questa dalla realtà dei singoli.

 A queste dotte affermazioni di "specialisti" mi sento di aggiungere la mia personale opinione secondo cui una Democrazia inizia a mostrare la corda quando i suoi rappresentanti non somigliano più ai rappresentati, ma si auto-rappresentano e si auto-referenziano come Classe Dirigente. In questo modo aumenta il senso indistinto di appartenenza ad una classe "a parte" e non "di parte" e dunque finiscono per scomparire le differenze di rappresentatività, le sole in cui possiamo riconoscerci.

 Siamo in molti a riporre speranze di miglioramento della qualità della Democrazia, e dunque della vita dei singoli, nelle potenzialità della Grande Rete Internet, dove, nello spazio di un mattino, le autoreferenzialità immeritate si sciolgono come neve al sole.

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Miniconferenza:

 

Il Primato della Cultura vacilla, al tempo della Grande Rete

(di Carlo Anibaldi – Luglio 2007)

 

 

 Tornando indietro anche solo fino agli anni ’50 vediamo alti tassi di analfabetismo e scolarizzazione mediamente bassa. Economia prevalentemente agricola. La diffusione capillare di televisione, telefono ed automobile erano ancora di là da venire. In una società così configurata (e più ancora nei decenni precedenti) il bene impagabile, il riferimento per chiunque, in Italia e altrove, era la Cultura. Gli ambienti privilegiati e le persone di grande riferimento all'interno della società avevano solide basi culturali. Dunque non il primato del danaro o del potere politico o del lavoro, ma il primato della Cultura. Il ricorrente tentativo dei poteri forti di amalgama con questo elemento ed il fenomeno del mecenatismo stanno qui a sottolineare questo concetto. Tutto ciò è stato vero per centinaia di anni, con diversi accenti, sfumature e tentate rivoluzioni. Quello che qui si vuole evidenziare è il lento, ma costante declino di questo primato, da qualche decennio a questa parte.

 

 Che cosa ha potuto scardinare una base societaria tanto solida? La risposta, oramai evidente, è nella novità di un’enorme massa di informazioni oggi a disposizione e la capillarità della loro penetrazione, fenomeno inimmaginabile fino all’avvento delle tecnologie e dei metodi informatici. I tradizionali santuari della Cultura hanno visto i loro tesori trasformarsi in dati asciutti, sintetici, circostanziati, verificabili in tempo reale e soprattutto largamente disponibili. Presto ci si è dovuti render conto che l’informazione puntuale costituisce potere, in ogni campo, in un mondo dinamico, profondamente cambiato, come quello di oggi. Per dirla in altro modo: è la larga disponibilità dei dati, più che la loro quantità, che ha determinato la perdita di potere della cultura tradizionale che, per definizione, è elitaria. Tanto è vero che la politica, il potere e l'economia, da secoli a tutt'oggi, lusingano e "arruolano" esponenti del mondo culturale e accademico.

 Ma il mondo sta cambiando ad una velocità inconsueta. Gli -ismi  del XX° secolo si frantumano sotto l'evidenza di enormi quantità di Dati diffusi capillarmente.

 In ogni campo i professionisti di oggi, qualche volta loro malgrado, devono quotidianamente confrontarsi con questa nuova realtà che vede il primato della Cultura cedere sotto il peso di un invadente quanto salutare  primato dell’Informazione. Quale Direttore di Scuola caldeggerebbe oggi metodiche che si discostino dai dati delle evidenze internazionali?  Quale Casa Farmaceutica o Industria Alimentare proporrebbe prodotti e procedure non ampiamente validate a livello internazionale? Ogni consumatore oggi può avere in pochi minuti sul proprio computer il meglio delle evidenze mondiali su ogni anfratto del conoscibile.

 E che dire dell'informazione erogata dai Media nazionali e locali? Gli interessi di Partito, di cordata, economici e di Fede, continuano a cercare di "Fare Opinione", lo hanno sempre fatto perchè è la strada maestra per esercitare e amministrare il Potere, ma oggi è più difficile "Fare Opinione" perchè la Grande Rete Internet è costituzionalmente restia a farsi imbrigliare su "polpette" preconfezionate nelle sedi di Partito, la sua capillarità non lo consente, nemmeno ai più astuti e ricchi Opinion Maker.

 

 Ultimo, ma non ultimo, il Terzo Mondo. Hanno potuto di più i semplici SMS da cellulare che decenni di politiche di aiuti umanitari. Con un solo SMS è possibile informare della disponibilità di pesce pescato il mercato con maggiore domanda e vendere la partita in tempo utile. Con un solo SMS si informa di tonnellate di mais disponibili a trovare un compratore fuori dal proprio comprensorio. Il vero aiuto al Terzo Mondo è l'abbattimento del Digital Divide. Infatti le maggiori organizzazioni mondiali (OMS, ONU, FAO, UNESCO, ecc...) si stanno muovendo in questo senso.

 

 Contro questo dato di fatto si infrangono pregiudizi, opinioni e poteri consolidati. I primati crollano e se ne ergono di nuovi. Inutile opporsi, inutile resistere, in quanto attiene a quel tipo di cambiamenti non contrastabili, ma solo assecondabili oppure cavalcabili, a seconda del temperamento e dell'interesse per le nuove cose e del tempo che possiamo dedicarvi. Allo "zoccolo duro" dei tradizionalisti, idiosincratici verso le tecnologie avanzate, potremmo sottoporre, per trasposizione, questa riflessione: cosa costituì vero progresso nei trasporti alla fine del XIX° secolo? Aggiungere cavalli al tiro della carrozza oppure l’invenzione della macchina a vapore?

 

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Discorso di Salvatore Borsellino in occasione della manifestazione indetta dall'Associazione dei Familiari delle Vittime della Mafia -  Piazza Farnese - Roma

(di Salvatore Borsellino – 28 Gennaio 2009)

 

 

"Grazie a tutti.
Ringrazio soprattutto quei tanti ragazzi, quelle tante persone che ho incontrato oggi qui e che vengono da tutte le parti d'Italia. Sono quei ragazzi che incontro quando vado in giro per l'Italia a gridare la mia rabbia e a cercare di suscitare nella gente quella indignazione che ritengo che tutti dovrebbero avere nel vedere il baratro nel quale stanno facendo precipitare il nostro Paese.
Vedete, ieri Sonia Alfano mi ha telefonato e mi ha detto: “dobbiamo proiettare un video nel quale si vedranno delle immagini crude, delle immagini della strage di Paolo”.
Mi ha chiesto se poteva farlo, se sarei stato in qualche maniera colpito, sconvolto. Quelle immagini non mi sconvolgono affatto, vorrei che venissero proiettate ogni giorno in televisione, perché la gente si rendesse conto di quello che è stato fatto. Si rendesse conto di qual è il sangue sul quale si fonda questa disgraziata Seconda Repubblica, che capisse che è fondata sul sangue di quei morti. Vedere quelle immagini non mi sconvolge. Una cosa mi sconvolge: vedere le immagini di quelle stragi dopo aver visto quelle due persone che prima parlavano di Dell'Utri, delle bombe che metteva Mangano, e ridevano.
Ridevano, ghignavano rispetto a quelle cose: questo mi sconvolge.

Come Arancia Meccanica

Vorrei che quelle due persone venissero messe in una cella come mettevano quegli assassini di Arancia Meccanica, aprirgli gli occhi e costringerli a vedere, vedere, vedere, vedere in continuazione quelle stragi. Ecco quello che vorrei.
Io ho visto oggi quelle stragi e mi sono ricordato di una cosa che mi ha detto Gioacchino Genchi, che è arrivato sul luogo della strage due ore dopo il fatto. Io ci misi cinque ore a sapere che mio fratello era morto perché la televisione dava notizie contraddittorie: forse è stato ferito un giudice, forse sono stati feriti uomini della scorta. Fu mia mamma che, cinque ore dopo, mi telefonò dall'ospedale e mi disse: “tuo fratello è morto”.


C'era qualcuno, però, che si chiamava Contrada che lo seppe ottanta secondi dopo che mio fratello era stato ucciso e io vorrei, io chiedo, io grido: voglio che queste cose vadano a finire nelle aule di giustizia!
Che ci siano processi per queste complicità che ci sono state all'interno dello Stato!
L'avete sentito di cosa parlavano Berlusconi e Dell'Utri: ecco perché vogliono impedire le intercettazioni, perché quelle cose non possiamo, non dobbiamo sentirle.
Non dobbiamo sentirle se no ci rendiamo conto di quella che è la classe politica che ci governa, ci rendiamo conto di chi oggi ha occupato le istituzioni. Il più grande vilipendio alle istituzioni è che queste persone indegne di occupare quei posti occupino le istituzioni. Questo è il vilipendio alle Istituzioni e allo Stato.
E' il fatto che una persona che è stata chiamata “Alfa”, in un processo che non è potuto andare avanti perché è stato bloccato, come tutti gli altri processi che riguardano i mandanti occulti e esterni, possa occupare un posto così alto all'interno delle nostre Istituzioni.
Genchi arrivò in quella piazza due ore dopo la strage, mi ha raccontato che aveva conosciuto Emanuela Loi un mese prima perché faceva da piantone alla Barbera.
Era una ragazza che non era stata addestrata per fare il piantone, per fare la scorta a un giudice in alto pericolo di vita come Paolo Borsellino. Eppure quel giorno era lì a difendere con il suo corpo, e nient'altro che con quello, Paolo Borsellino. Questi sono gli eroi, non quelli di cui parlano Berlusconi e Dell'Utri, dicendo che Vittorio Mangano è un eroe.

Eroi in fila per andare a morire

Gli eroi sono questi ragazzi che il giorno dopo la morte di Falcone, ce n'erano cento tra poliziotti e Carabinieri, si misero in fila dietro la porta di Paolo per chiedergli di far parte della sua scorta.
Se erano messi in fila per andare a morire, perché Paolo sapeva che sarebbe morto. Quei ragazzi, mettendosi in fila dietro la porta di Paolo, sapevano che sarebbero morti anche loro.
Gioacchino Genchi mi raccontò che due ore dopo la strage, arrivando in via D'Amelio vide i pezzi di Emanuela Loi che ancora si staccavano dall'intonaco del numero 19 di via D'Amelio.La riconobbe perché c'erano dei capelli biondi insieme a quei pezzi.
I pezzi di quella ragazza vennero messi in una bara, vennero riconosciuti perché era l'unica donna che faceva parte della scorta, vennero mandati a Cagliari.Sapete cosa venne fatto? Quello che chiamiamo Stato ha mandato ai genitori di Emanuela Loi la fattura del trasporto di una bara quasi vuota da Palermo a Cagliari. Questo è il nostro Stato. Questo è lo Stato che ha contribuito ad ammazzare Paolo Borsellino e io vi racconto queste cose non per farvi commuovere, non per farvi piangere. Non è il tempo di piangere.
E' il tempo di reagire, di lottare, è il tempo di resistenza! Il tempo di opporsi a questo governo che sta togliendo il futuro ai nostri ragazzi, che ci sta consegnando un Paese senza futuro. E la colpa è nostra che abbiamo permesso che tutto questo succedesse.
Quando Cossiga dice - dopo la manifestazione degli universitari che hanno capito che in Italia si sta cercando di distruggere l'istruzione perché l'istruzione può portare alla resistenza, anche durante il fascismo le scuole erano centri di resistenza e i ragazzi l'hanno capito - e Cossiga cosa ha detto? Ha detto che bisogna mettere infiltrati in mezzo a quei ragazzi perché rompano vetrine, perché vengano distrutte macchine perché le ambulanze sovrastino le altre sirene. Si augura addirittura che venga uccisa qualche donna, qualche bambino perché si possano manganellare quei ragazzi.
Dobbiamo essere noi a metterci davanti a loro, siamo noi che ci meritiamo quelle manganellate per avere permesso che il nostro Paese diventasse quello che è diventato. Un Paese che non è degno di stare nel mondo civile, siamo peggio della Colombia.
Genchi è arrivato in via D'Amelio due ore dopo la strage, ripeto, si è guardato intorno e ha visto un castello. Ha capito che non poteva essere che da quel posto fu azionato il telecomando che ha provocato la strage.
Genchi allora è andato in quel castello, ha cercato di identificare le persone che c'erano dentro, mediante le sue tecniche. Ha capito che da quel castello partirono delle telefonate che raggiungevano cellulari di mafiosi. Perché Genchi ha quelle capacità, le sue conoscenze tecniche sono enormi, egli è in grado, dagli incroci dei tabulati telefonici e non dalle intercettazioni, di riuscire a inchiodare i responsabili di quella strage.
Ecco perché si sta cercando di uccidere Genchi, ecco perché così come hanno ucciso i magistrati si cerca di uccidere anche Genchi. Questo è il vero motivo: per togliere un'altra arma a quello che è la parte sana di Stato che è rimasta.
Cercano di uccidere Genchi, hanno ucciso dei magistrati. Io ieri ho sentito un magistrato – uno di questi uccisi senza bisogno di tritolo – che mi ha detto: “avrei preferito essere ucciso col tritolo piuttosto che così, giorno per giorno, come stanno facendo”. I magistrati oggi, chi ancora cerca di combattere la criminalità organizzata, non viene più ucciso con il tritolo, viene ucciso in maniera tale che la gente non se ne accorga neanche, non reagisca.

Quel fresco profumo di libertà

Le stragi del 1992 portarono a quella reazione dell'opinione pubblica, a quello che mi ero illuso di riconoscere come quel fresco profumo di libertà di cui parlava Paolo. Quel profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e fin della complicità. Quel puzzo che oggi ci sta sommergendo. Il puzzo dal quale oggi non possiamo stare lontani perché sta permeando tutto il nostro Stato, tutta la nostra vita politica, tutte le nostre istituzioni.
Io, dopo la morte di Paolo, arrivai a dire che se Dio aveva voluto che Paolo morisse perché il nostro Paese potesse cambiare allora avrei ringraziato Dio di averlo fatto morire. Questo era il sogno di Paolo, Paolo sarebbe stato felice di sapere che era morto per questo. Oggi, guardate il baratro nel quale siamo precipitati: io ringrazio Dio che Paolo sia morto, che non venga ucciso come stanno uccidendo De Magistris, Apicella, Clementina Forleo. Io ringrazio Iddio che Paolo non venga ucciso in questa maniera. Che messaggi ci arrivano dalla magistratura? Il presidente dell'Anm dice: “abbiamo dimostrato che la magistratura possiede gli anticorpi per reagire”. E' una vergogna che un magistrato possa dire queste parole! La magistratura ha dimostrato, semmai, di avere al suo interno quelle cellule cancerogene che la stanno distruggendo, e così come hanno vissuto e pervaso tutte le istituzioni, la classe politica. La magistratura, nei suoi organi superiori, ha dimostrato di essere corrotta al suo interno.
Ormai il cancro sta entrando in metastasi anche negli organi di governo della magistratura.

Mancino mente

Non è difficile, se pensiamo che a vice presidente del Csm, quello che dovrebbe essere l'organo di autogoverno della magistratura, c'è una persona indegna, indegna!, come Mancino! Una persona che mente! Mente spudoratamente dicendo di non avere incontrato Paolo Borsellino il primo luglio del 1992, quando sicuramente a Paolo Borsellino venne prospettata quella ignobile, scellerata trattativa tra lo Stato e la criminalità organizzata per cui Paolo Borsellino è stato ucciso. Perché Paolo non può aver fatto che mettersi di traverso rispetto a questa trattativa, questo venire a patti con la criminalità che combatteva, con chi poco più di un mese prima aveva ucciso quello che era veramente suo fratello, Giovanni Falcone. Paolo non può che essere rimasto così sdegnato da opporsi a questa trattativa e a quel punto andava eliminato, e in fretta.
Tant'è vero che il telecomando della strage di via D'Amelio fu premuto. Queste cose non sono potute arrivare al dibattimento perché tutti i processi sono stati bloccati.
Genchi ha dimostrato che quel telecomando era nel castello Utveggio, dove c'era un centro del Sisde, i servizi segreti italiani, è da lì che è arrivato il comando che ha provocato la strage.
Ecco perché Genchi deve essere ucciso anche lui. Hanno ucciso Paolo Borsellino, hanno ucciso Giovanni Falcone e adesso uccidono anche Genchi, De Magistris, tutti i giudici che cercano di arrivare alla verità.
Così qualunque giudice che arriva a toccare i fili scoperti muore, non si può arrivare a quel punto perché oggi gli equilibri che reggono questa seconda repubblica sono basati sui ricatti incrociati che si fondando sull'agenda rossa.
Un'agenda rossa sottratta dalla macchina ancora in fiamme di Paolo Borsellino, in cui queste trattative, queste rivelazioni che in quei giorni gli stavano facendo pentiti come Gaspare Mutolo, come Leonardo Messina erano sicuramente annotate. Quell'agenda doveva sparire, è questo uno dei motivi della strage. Quell'agenda doveva sparire, su quell'agenda io credo che si basano buona parte dei ricatti incrociati su cui si fonda questa seconda repubblica.
E allora Mancino non può venirmi a dire che non ricorda di aver incontrato Paolo Borsellino! Non può soprattutto adoperare quel linguaggio indegno che adopera. Dice: “Io non posso ricordare se fra gli altri giudici c'era anche Paolo Borsellino, che non conoscevo fisicamente”. Ma Mancino non hai visto chi era quel giudice vestito con la sua toga che trasportava la bara di Falcone? Non l'hai visto? Non ti interessavano quelle immagini? Eri ministro dell'interno e non ti interessava che cosa stava succedendo in Italia in quei giorni?
Non ti interessava, a fronte di quell'agenda che ho mostrato e nella quale c'è scritto: “ore 19.30 Mancino” scritto di pugno autografo da Paolo? Lui ha mostrato un calendarietto in cui non c'era scritto niente, l'ha mostrato semplicemente e c'erano tre frasi con gli incontri della settimana.
E' questo quello che fanno i nostri ministri, oltre che cercare di accordarsi con la criminalità organizzata. E' per questo che è stato ucciso mio fratello: perché mio fratello si è messo di traverso rispetto a questa trattativa, per questo doveva essere ucciso. Io chiedo, e non smetterò di chiederlo finché avrò vita, che sia fatta giustizia, che vengano cacciati dalle istituzioni quelle persone che sono complici di quello che è successo. Non che venga data l'impunità a chi dovrebbe essere sottoposto a processi e invece non può essere neanche indagato, intercettato, non si può fare nulla.
Dobbiamo subire, stanno adottando la tecnica della frana, per cui ci hanno infilato in un'acqua che a poco a poco si riscalda e la gente non si accorge il punto a cui arriviamo.
Attenzione! Attenti! Stiamo precipitando nel baratro e da questo baratro dobbiamo uscire perché lo dobbiamo ai nostri morti. Lo dobbiamo a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino, a Emanuela Loi, a questi che veramente sono eroi. Dobbiamo riappropriarci del nostro Paese, questo Paese è nostro, lo Stato siamo noi! Non queste persone che indegnamente occupano le istituzioni.
Vi lascio con tre parole che un altro dei giudici che hanno tentato di uccidere ha detto, ed è quello che dobbiamo fare, l'unica cosa che ci resta da fare prima di cadere in un regime dal quale non ci potremo più districare: resistenza! Resistenza! Resistenza!"

 

 

 

 

Miniconferenza:

 

La riforma della Scuola: i perché di una priorità

(di Carlo Anibaldi – Aprile 2008)

 

 Per molte ragioni, non tutte casuali e innocenti, la scuola italiana è vicina al fallimento del suo obbiettivo primario: favorire la crescita culturale di una Nazione attraverso l’abbattimento degli ostacoli che la rallentano.

 Sono in molti ad osservare questo fenomeno, alcuni addirittura sostengono che oggi la Scuola sia ad un passo dal divenire, al pari di quanto avviene per altri soggetti implicitamente o esplicitamente "educatori", una fucina di disvalori, e comunque tutti sono concordemente preoccupati poiché la crescita culturale è il motore della crescita civile, economica e sociale, in una parola, la Coscienza di una Nazione. La coscienza che ha di sé e degli altri popoli, la coscienza dei propri errori e del proprio valore, la coscienza delle proprie potenzialità e la coscienza della propria Storia. Ebbene tutti quelli elencati sono elementi che dobbiamo immaginare in evoluzione, solo in questa ottica la Scuola ha una funzione cardine nella Società in quanto portatrice della Coscienza dinamica di una Nazione e dunque del suo divenire. Troppi giovani hanno superato la maturità nella certezza che Giacomo Matteotti sia il titolo di un film noioso. Non è un problema di cultura che non c'è, ma di imbarazzante assenza di una coscienza nazionale.

 Quando la Scuola non ce la fa a ricoprire questo ruolo, inevitabilmente viene vicariata, e la Coscienza dinamica di un popolo diviene inconsapevole appannaggio di entità che non sono nate con indirizzi evolutivi, ma manipolativi, rispetto alle genuine esigenze culturali e identitarie di un popolo. In queste condizioni i giovani evolvono secondo schemi di fidelizzazione commerciale, confessionale, politica, e dunque per definizione tendenti alla “massificazione” in quanto, come è ovvio ma forse poco noto, è più semplice manipolare una massa omogenea che un solo individuo dotato di coscienza critica.

 Sono gli aspetti evolutivi della Coscienza storica quelli che effettivamente contano nella Cultura di un Paese. Proviamo a fare un esempio: i libri di Storia scritti in Inghilterra nel 1901 trattavano ovviamente della Rivoluzione Industriale e ne evidenziavano alcuni aspetti. Anche i libri scritti nel 1980 trattano della Rivoluzione Industriale, ma sono evidenziati altri aspetti. In quelli scritti nel 1901 veniva posto l’accento sull’enorme incremento dell’industria carbonifera inglese che si ebbe fra il 1840 e il 1890, ne venivano indicate le proporzioni e le ragioni industriali, l’incremento delle esportazioni e del benessere che ne derivò. Nel libro di Storia scritto nel 1980 a questi aspetti è sempre accompagnato il dato oggettivo di un incremento abnorme del lavoro minorile nelle miniere inglesi del XIX° secolo. In pratica è accaduto che quello che era considerato un normale aspetto evolutivo nel 1901 (il lavoro minorile) e dunque neanche menzionato, nel 1980 è divenuto un aspetto abnorme, a causa dell’evolversi della Coscienza civile di una Nazione che nel frattempo aveva legiferato contro lo sfruttamento dei minori.

 Lo studio della Storia deve dunque sempre tener conto degli aspetti dinamici poiché, per continuare nell’esempio, quello che era considerato un buon padre di famiglia nel 1880 probabilmente meno di cento anni dopo sarebbe solo un farabutto e viceversa.

 Tornando al fallimento educativo dell’istituzione scolastica, vediamo bene i pericoli insiti nel sottovalutare le enormi potenzialità evolutive che ci fornisce quel formidabile strumento di misura della Coscienza collettiva quale è la Storia e l’istruzione in generale. Quando priviamo un giovane di questi strumenti, la sua critica diviene superficiale, ondivaga, soggetta alle mode. Lo stesso concetto di “bene” e “male” non è statico, ma, come sappiamo, altamente dinamico; quello che era immorale negli anni’50 oggi non lo è più, ma la misurazione di un fenomeno è impossibile senza punti di riferimento certi e allora diventa possibile lanciare un sasso sull’autostrada solo per vedere l’effetto che fa e riempire in questo modo una serata fra amici o attraversare un incrocio a 160 Km/h o minarsi la salute con sostanze deleterie. Senza riferimenti dinamici certi (conoscenza della Storia) si aprono scenari dove in maniera quasi incolpevole l’esperienza si sostituisce alla critica intelligente e questo avvicina pericolosamente lo schema di comportamento tipico del mondo animale, e nel peggiore dei modi. Ma come si può esercitare una critica intelligente se non sei stato allenato all'esercizio di questa funzione superiore? La Scuola non è di certo il solo strumento che la società possiede per favorire il progresso delle coscienze, ma di sicuro è quello oggi maggiormente delegato a questo scopo dalle altre istituzioni.

Qui puoi commentare l'articolo: http://eDEMOCRAZIA.ilcannocchiale.it/post/1950446.html

 

 

 

Racconto breve

IL COMPAGNO DI VIAGGIO

"Il Terzo Millennio ci mette a portata di mano quella coscienza che solo pochi secoli fa era esclusivo privilegio di santi e profeti"

         (ovvero: Aria del Terzo Millennio)                      

Questo Racconto breve di Carlo Anibaldi (1998) ha avuto un buon piazzamento in un concorso letterario ed è stato pubblicato, in edizione elettronica e cartacea, nella raccolta:

I Destrieri: Antologia di Racconti

Editore: Gullivertown. Com

Genere:  letteratura italiana

Autore: Autori vari

Curatore: De Luca L. - Stamegna A.
ISBN: 8875160031
Data pubblicazione: 2004

 

 La nebbia a Venezia non è certo una rarità in questa stagione, ma nei miei quasi cinquant’anni non avevo mai visto nulla di simile. Sono oramai cinque giorni che si vive in un gomitolo di lana candida, sono spariti il giorno e la notte, il sole ed i colori, anche la gente allegra sembra sparita in quel gomitolo, ma soprattutto è sparita l’autostrada ed è per questo che mi trovo a passeggiare in Piazzale Roma in attesa del treno che mi porterà a Verona.

  Il mio orologio, e null’altro per la verità, dice che è oramai giorno fatto, ma sul piazzale e nell’atrio della stazione si contano solo pochi viaggiatori infreddoliti.

  L’atmosfera di questo giorno che è cominciato non mi piace per niente, c’è però di buono che non ho difficoltà a trovare una sistemazione in treno: lo scompartimento è addirittura vuoto come pensavo capitasse oramai solo sui trenini di provincia o in certi film quando serve alla scena.

  Non è un viaggio lungo fino a Verona, ma dato che sono solo e di cattivo umore, provo a dormire un po’. E’ una questione di pochi minuti, credo, quando l’aprirsi della porta dello scompartimento mi fa sobbalzare: un uomo alto, ben vestito, suppergiù della mia età, posa una valigetta sul sedile e mi porge la mano nell’atto di sedersi di fronte a me.

  Esordisce con un cenno del capo ed un sorriso cordiale.

- Salve, spero di non aver disturbato, ma io non amo viaggiare in solitudine e questo treno è davvero deserto. Mi chiamo Adriano e, se non è un problema, potremo conversare un po’ dandoci del tu.

- No.....Nessun problema... certo. Di cosa ti occupi? Viaggi per lavoro?

- Diciamo pure per lavoro, certo. Vado a Milano per la presentazione di un libro in una libreria del centro. Sei anche tu diretto a Milano?

- Verona, vado a Verona per un problema di forniture di materiali. La mia fabbrica è praticamente ferma, inutile telefonare, devo rendermi conto di persona di quello che succede. Tu vendi libri, se ho capito bene .....

- Sarà la libreria, spero, a vendere il libro, io l’ho scritto e ora vado a presentarlo al pubblico.

- Presentalo intanto a me, questo libro, così ti ripassi il discorso e poi mi ricorda la gioventù questa faccenda dei libri, perché io, sai, sono di quei pochi che i libri non li scrive .... e da parecchi anni nemmeno li legge. Chi mi da il tempo di leggere libri? Figurarsi scriverli, i libri !  E poi cosa ci potrei scrivere dentro un libro? Che il fisco mi strozza, gli operai mi mandano in bestia, il Governo se ne infischia di noialtri e il fegato mi scoppia? E il tuo libro, invece, di che tratta?

- Io faccio parte di un gruppo di lavoro che esplora nuove possibilità per la soluzione di problemi antichi, abbiamo qualche idea che ci sembra buona e questo libro è un modo per aprire un dibattito e confrontare le opinioni.

- Scusa la franchezza, ma io sono un uomo pratico, abituato a lavorare sodo, lontano dalle chiacchiere fumose che fanno in televisione, in poche parole: io mi alzo presto la mattina e produco materiale elettronico per l’aeronautica, tu ti alzi la mattina e che cosa produci?

- Una risposta potrei azzardarla, ma temo che sul termine “produzione” dovremmo chiarire .....

- Ho capito, è già tutto chiaro, ora ti spiego con parole mie: io lavoro da una vita a schiena curva ed ho prodotto un sacco di cose; e sai perché l’ho fatto? Per far stare quelli come te, nulla di personale, per carità, quelli come te, dicevo, a schiena diritta, col naso per aria a pensare cosa scrivere in un libro per altri come te!

- C’è qualcosa di vero in quello che dici a proposito delle nostre schiene. Anche di questo scrivo nel libro ....

- Sarebbe a dire?

- Mi riferisco alla possibilità di vivere e lavorare tutti in modo diverso, senza curvarsi su se stessi, infatti ....

- Non c’è modo di lavorare sodo a schiena diritta! Sarebbe il Paese dei Balocchi. Ti illudi.

- E se fosse tutto da rivedere? Sai meglio di me che un motore per quanto sofisticato e potente , rende poco e consuma molto se il carburante ed il lubrificante sono sbagliati e ti assicuro che sono oramai suonati tutti i possibili campanelli d’allarme e, a meno di essere sordi ....

- Non v’è dubbio che nella tua testa ci sono campanelli che suonano all’impazzata, ma se tu provassi a spegnere un momento il carillon e ti guardassi intorno, ti accorgeresti che siamo immersi nel benessere creato dal lavoro duro: tutti ci spostiamo con facilità, automobili, treni, aerei; tutti abbiamo case ben riscaldate, con telefono, computer e carte di credito; la vita è più facile per tutti, caro mio, altro che campanelli! Tu non ti rendi conto di come si viveva solo trenta o quaranta anni addietro. Tutto questo lo dobbiamo al lavoro, quello onesto e ... a schiena curva, naturalmente!

- Sono troppi anni che stai a schiena curva ed oramai vedi con chiarezza solo la punta delle tue scarpe! Io ho il massimo rispetto per il lavoro onesto, tuo e di tutti, quello che invece porto in discussione è la logica viziosa che schiaccia anche le buone cose, ma certo dovrai alzare un po’ la testa per rendertene conto.

- Spiegati meglio, Professore !

- L’elenco dei beni e servizi che hai fatto ci ha reso indubbiamente la vita più comoda, potrei azzardare che insieme alla comodità non è aumentata la serenità, il rispetto di sé e degli altri: il tuo fegato sul punto di scoppiare sta lì a dirti che negli ultimi trent’anni, in definitiva, non ci hai guadagnato poi molto; potrei anche tentare di farti notare che oltre le nebbie della Padana c’è un tre quarti di mondo che del telefonino e delle carte di credito non sa che farsene, a meno che non siano cose buone da mangiare..... potrei dirti queste e molte altre cose, ma non è tanto di questo che vorrei discutere con te, quanto piuttosto ......

- Un comunista, un Professore comunista, ecco con chi mi tocca viaggiare oggi! Del resto che potevo aspettarmi da una giornata cominciata così male, questa nebbia poi ....

- La nebbia, si, dici bene .... Se non fosse per questa nebbia a quest’ora staresti sfrecciando sull’autostrada con la tua Mercedes con telefono, gongolandoti con le tue quattro idee oramai inutili! T’è toccato invece confrontarti con altre idee ed eccoti pronto ad erigere barriere pseudo politiche; non cadrò in questa tua trappola della discussione “politica” , la tua è la politica che divide, io sono per una politica che unisce e che serva ....

- Ma di che trappola cianci, quali barriere! Ho affrontato ben altro nella mia vita che una discussione con un comunista! Che sarebbe poi questa storia delle mie quattro idee inutili ?

- Nulla di personale, non devi prendertela. Io so che sei in buona fede, onesto e leale, è solo che il mondo non andrà meglio esasperando, tirando oltre ogni ragionevole limite, le idee che erano buone negli anni trenta o prima : occorrono idee nuove, di quelle che fanno fare un giro di boa, oppure pensi, ad esempio, che dopo la carrozza con tiro a sei cavalli, il progresso sarebbe stato inventare il tiro a dodici ? No! Il progresso vero fu l’invenzione della macchina a vapore !  Egoismo, cinismo, sopraffazione, disprezzo per la vita, in tutto questo sono degenerate le buone idee dell’inizio di questo secolo che ora sta finendo.  Io credo che tutto ciò possa cambiare: serve un allargamento della coscienza....

- Belle parole ! Ma tu lo sai che oggi, alla fine di ogni discorso realista c’è il danaro e ti assicuro che senza danaro non si muove nulla . Il danaro non è servo , ma padrone con molti servitori e , che ci piaccia o no , uno di questi è la logica del profitto ; tanto più questa logica è serrata , tanto più danaro per far girare il mondo c’è  !

- Purtroppo quello che hai detto è oggi in parte vero ed è grazie a riflessioni di questo tipo che sono giunto alla conclusione che siamo all’interno di un circolo vizioso che non porta più da nessuna parte,  in quanto lo sai bene anche tu che è ben altro che fa girare il mondo ......

- E’ un discorso da Oratorio Salesiano questo . Abolire la logica del profitto significa niente più danaro che circola , le fabbriche si fermano, le luci  si spengono e ci incontriamo tutti intorno al fuoco a leggere il tuo libro !

- Quello che dici sembra vero esattamente come sembrava vero il discorso del proprietario terriero della Virginia di più di un secolo fa:"Dare ai negri un salario , abolire la servitù !  Tutte idiozie ! Sarebbe la rovina per tutti , negri compresi."  Anche il lavoro dei bambini nelle miniere inglesi della fine del secolo scorso appariva un caposaldo dell'economia mineraria di quel tempo. I sostenitori di queste tesi erano senz'altro brave persone come te , ma le loro idee stavano oramai invecchiando con loro e invece i tempi nuovi si stavano affacciando con la forza di una diversa e più ampia coscienza : inutile opporsi, inutile sottrarsi , la scelta possibile era ed è solo una e sempre la stessa :  partecipare al processo evolutivo o rimanerne tagliati fuori .

- Insomma , se ho capito bene , i tuoi campanelli ti dicono che siamo a ridosso di una svolta epocale ed io starei qui a far da zavorra dell'umanità .

- Se fosse così , sarebbe in fondo semplice e non varrebbe la pena  parlarne . Il problema è che senza di te non ci sarà nessuna svolta , ma solo la deriva , verso chissà cosa .

- Non pensavo di essere così importante. Dunque è per quelli come me che hai scritto il tuo libro !

- Presto o tardi arriverà fino a te , tuo malgrado e per strade che nemmeno immagini .

- Il Professore è anche Profeta !

- Ma non capisci che ora non si tratta di colonialismo , schiavitù o lavoro minorile : ora si tratta di liberare noi stessi: liberi da... , piuttosto che liberi di ... , e in ciò ci aiuterà solo la nostra personale presa di coscienza.

- No , fermati , fammi capire ... Come puoi sostenere che io non sia padrone di me stesso , e quand'anche fosse , come può la mia liberazione interessare le svolte dell'umanità ?

- Tu devi essere di quelli che credono sia stato Cesare , Carlo Magno , Napoleone , Hitler e pochi altri a determinare le svolte epocali , come le chiami tu , che dalla preistoria ci hanno portato fino ad oggi .  Questi personaggi hanno avuto la straordinaria opportunità di determinare gli eventi di interi popoli ed hanno per questo scritto la Storia degli eventi , ma la storia dell’evoluzione della Coscienza la scrive gente come te e me .... e se ci sarà o meno ancora un  Hitler a scrivere un altro pezzo di Storia dipende anche da te . Capisci ora per chi l’ho scritto il mio libro ? 

- E  va bene , smettiamo di aggiungere cavalli al tiro della carrozza e inventiamo la macchina a vapore !  Hai qualche idea ?

- Le idee nuove non si fanno strada finché siamo attaccati a quelle vecchie , è una questione affettiva, irrazionale, che prescinde dalla bontà delle une o delle altre . Per prima cosa è quindi importante entrare in una fase di  stanchezza rispetto ai propri ritmi ; poi è necessario riconoscere come ingannevole la sicurezza che ci dà il percorrere strade conosciute, solo a questo punto, che potremmo chiamare " ritorno al punto zero " , siamo pronti a dare uno sguardo di là dal muro ed accorgerci che c'è tutto un mondo che aspetta i nostri primi passi, un mondo dove gli alberi nascono, crescono, danno fiori e frutti e poi accettano di rinsecchire e tornare alla terra, perché questo è l’ordine delle cose: non c’è tristezza, depressione, angoscia e paura se comprendi di cosa sei fatto e non pretendi di fiorire per l’eternità!  

- Forse mi sbaglio , ma cose di questo genere non le ha già dette meglio di te qualcun altro ? San Francesco , tanto per fare un esempio fra i tanti ?

- Infatti la novità non è in quello che dico , ma nel fatto che sono io che ne parlo con te ; io che certo non sono San Francesco  ne parlo a te che non sembri per niente beneficiare della vocazione francescana . Capisci la straordinaria novità ? Gente comune come noi sente pulsioni spirituali ! Il Terzo Millennio ci mette a portata di mano quella coscienza di noi stessi, di tutto quanto siamo, che solo pochi secoli fa era esclusivo privilegio di santi e profeti.

 - Intuisco che le cose che dici  non sono del tutto scemenze , ma resta pur sempre il fatto che la vita di noi tutti è fatta per lo più dalla maledetta quotidianità , quella secondo cui ti devi alzare presto per andare a lavorare o a cercare lavoro , quella che se non sei furbo ti mangiano in un boccone, quella che se ti viene l’ulcera, e ti viene, devi andare dal dottore , quella che se non stai attento non arrivi   al  ventisette , quella ......

- quella che ti uccide ! E’ evidente che questa quotidianità dopo averti  impoverito lo spirito ti annienterà letteralmente e il peggio è che avrai pure tanti rimpianti per tutto quanto hai tralasciato : vivere la totalità del tuo essere.

- Quello che dici ha il sapore agrodolce dell'utopia e per questa ragione nasconde un pericolo : il cinismo non è forse figlio del naufragio di facili illusioni?

- Le facili illusioni le incontri se percorri strade spianate da altri , ma se hai faticato e pagato di tua tasca per aprirti un varco che ti ha condotto più avanti , se hai un po' sofferto per allargare la tua coscienza , ebbene a quel punto il nuovo orizzonte che ti si para davanti sarà tuo e parte di te più delle tue mani o dei tuoi occhi  , altro che illusioni .....

 Il rumore secco della porta scorrevole mi fa trasalire.

- Biglietto , signore . Biglietto per favore .

- Dove siamo ..... Devo essermi addormentato intanto che conversavo . Dov’ è andato Adriano ? Ha visto un signore alto , distinto , uscire dallo scompartimento.....?  Magari è sceso a una stazione.......

- Tra dieci minuti saremo a Verona e posso assicurarle che ha viaggiato da solo:  ero seduto qui fuori e non ho visto nessuno entrare o uscire . Ha dormito e ..... forse ha sognato . Arrivederci .

(Copyright © 1998 -2008 by Carlo Anibaldi)

 

Appendice a "Compagno di Viaggio" dieci anni dopo

 

 Quando, dieci anni fa, scrissi il racconto breve "Compagno di viaggio" misi in campo, nella forma letteraria di confronto onirico con la propria Coscienza, alcuni fermenti della fine del secolo scorso. Appariva allora evidente la profonda insoddisfazione per la perdita di valori, per l'onnicomprensiva monetizzazione del nostro stare al mondo. In quelle poche pagine prospettavo la soluzione del conflitto attraverso l'attingere salvifico al proprio destino evolutivo, inteso come approdo filogenetico a possibilità superiori dell'essere umano, cioè la ritrovata spiritualità come costituente intrinseco dell'Uomo e non come scelta soggettiva. In questa luce il Terzo Millennio che si iniziava a percorrere appariva foriero di enormi cambiamenti nell'approccio a Valori che rendono finalmente il percorso della Vita un dono molto più grande di quanto comunemente si percepisce nel quotidiano. Cose grosse a portata di mano insomma, non più ossessivamente distratti da un "qui ed ora" di livello medio basso.

 A dieci anni da quelle riflessioni mi sento di dover sottolineare che il cammino filogenetico avviene per gradini e le nostre intuizioni non ci faranno purtroppo saltare le tappe. Non si è passati, per quanto riguarda ad esempio l'apparato respiratorio, dalle branchie ai polmoni senza un'infinità di passaggi intermedi.

In particolare noi italiani, per ragioni storiche di non semplice interpretazione, ci troviamo in contraddizioni che sono macigni che sbarrano la strada. Mi riferisco alla secolare convivenza tra valori opposti in perenne conflitto: da una parte è vero che siamo la Patria di molti Santi, Eroi, Pensatori, Inventori e via lodandoci, dall'altra è anche vero che siamo la Grande Madre del pensiero parassitario, clientelare, suddito. Siamo il Paese dove tanta gente pensa serenamente che sia buona cosa guadagnarsi da vivere taglieggiando il barbiere sotto casa. Questo connubio secolare tra Miserie e Nobiltà ha creato mostri dalle tante teste che hanno infestato il mondo con il pensiero mafioso, dalle americhe all'Australia. Quando oltremare e oltralpe si affermava il senso di Nazione e il primato del Diritto, in tanta parte dell'Italia si radicava l'appartenenza al Clan e alla Famiglia intesa come unica "patria" cui rispondere e dare rispetto e legalità.  In Italia ci sono persone, forse milioni, che credono che rubare alla collettività o parassitarla, non sia cosa malvagia, ma una battaglia vinta per il Clan a dispetto del "nemico". Non basteranno una o due generazioni per sradicare questa forma mentis mafiosa, non necessariamente malavitosa, anzi, radicata spesso perfino nelle Istituzioni, trasversalmente, sia in senso geografico che politico. Questa affermazione, che può sembrare azzardata, è al contrario confermata dal fatto che troppo spesso si fanno buone leggi senza che siano previsti i pur costosi ma indispensabili sistemi di controllo. Non credo nelle "sviste" del Legislatore. In Italia c'è infatti il vezzo di importare i "contenitori" dai Paesi anglosassoni avanzati (legge sulla Privacy, privatizzazione della Sanità, finanziamento all'Editoria e ai Partiti, ecc...) per poi riempirli dei soliti contenuti clientelari, autoreferenziali, privi di controlli da parte del cittadino-suddito. La nostra si dice essere la Patria del Diritto, poi veniamo a sapere da fonti di stampa che in tutta la Lombardia, che gestisce miliardi di euro pubblici, gli Ispettori per la Sanità sono 10 (dieci), stipendiati dalla Regione stessa e dovrebbero controllare migliaia di Cartelle Cliniche al giorno. I controllati e i controllori sono della stessa parrocchia, dunque se il tuo capo invia 50 milioni ad una clinica convenzionata, diventa un atto "eroico" fargli le pulci, non la norma. Ma è solo un esempio tra i tanti di italica applicazione del Diritto dei cittadini.

Permango ottimista sul destino evolutivo dell'Italia e degli essere umani in generale, ma temo che dovremo vederne ancora tante e che forse il fondo non è stato ancora toccato. (Carlo Anibaldi - 2008)

 

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Miniconferenza:

IL SIMBOLISMO JUNGHIANO

di Carlo Anibaldi (© 2000 - 2008)

 

Nel corso della sua lunga vita (1875 – 1961) Carl Gustav Jung ha esplorato molti ambiti riguardo l’animo umano ed i suoi segreti, ci ha lasciato infatti contributi che sono tutt’oggi riferimento fondamentale per chiunque voglia cimentarsi nello studio delle umane cose, particolarmente riguardo la psicologia del profondo, la filosofia e la storia dei Simboli dell’essere umano. 

 In estrema sintesi, mi soffermo ora su alcuni aspetti riguardo la definizione e la genesi del Simbolo, dal punto di vista junghiano.

 Si deve a Freud la fondamentale intuizione dell’esistenza di una zona del nostro immaginario che non è sottoposta alle regole della coscienza e che quindi sfugge alle categorie tipiche della mente cosciente quali il bene e il male, un prima e un dopo: l’Inconscio. In questo ambito, tipico del mondo dei Sogni, degli Istinti e delle Emozioni e dunque del cosiddetto “cervello arcaico”, non abbiamo un diretto controllo da parte della Coscienza, parte “alta” della psiche, ci troviamo piuttosto nella condizione di subirne gli influssi. Gli studi di Freud conclusero che in questa zona inconscia della psiche confluiscono le esperienze, per lo più infantili, che in qualche modo la mente ha rifiutato e rifiuta in quanto percepite come dolorose e/o fonte di vergogna e non accettazione da parte di se stessi e degli altri. La percezione di queste esperienze come dolorose e di vergogna è ovviamente riferita all'età in cui furono fissate. Tali contenuti, qualora irrisolti, cioè non portati alla luce della coscienza adulta, sono in grado di produrre quella sofferenza del mondo psichico individuale chiamata “nevrosi”, variamente espressa e comunque in grado di condizionare l’esistenza, se non altro per le enormi quantità di energia psichica imprigionata nei nuclei “infantili” dei conflitti nevrotici (fantasie di "indegnità" e incongruenti distonie fra "desiderato" e "posseduto", o il pretendere "capra e cavoli", sono tre esempi tipici di nuclei nevrotici).

  Quella appena descritta è, in sintesi, la definizione freudiana di Inconscio Personale e della possibilità che questo ha di interagire con l’individuo tramite la “nevrosi”. Jung allargò questo concetto, definendo un ambito che si aggiunge a quello e va oltre, trascendendo l’esperienza personale; chiamò questa zona inesplorata Inconscio Collettivo. L’Essere Umano, inteso come Specie, accumula, fin dalla notte dei tempi, esperienze che sono caratteristiche della specie e di nessun altro nel Creato. Tali Esperienze Fondamentali dell’Umanità sono, in questa concezione junghiana, strutturate nella psiche per diritto di specie, al pari dei processi filogenetici che la caratterizzano, come l’aver assunto la stazione eretta, l’aver modificato la dentatura, l’aver perso la pelliccia di pelo, ecc…

 I Simboli per Jung sono il linguaggio attraverso cui la mente si esprime, un linguaggio dunque molto antico che va inteso come nutrimento ed espressione della mente stessa e va a costituire l’essenza dell’Inconscio Collettivo, come lui stesso lo ha definito. Proverò a fare qualche esempio per rendere più chiaro il concetto espresso.

 Alcune migliaia di anni or sono, ai quattro angoli del mondo, popolazioni lontanissime e certo non in contatto fra loro, tracciavano sulle rocce, sui monumenti funerari e sacri, sugli utensili, disegni di forma quadrata e/o circolare di aspetto e contenuto straordinariamente simile tra loro.

Il Simbolo della Croce è parecchio antecedente all’era cristiana, e lo ritroviamo nella simbologia sacra di civiltà lontanissime tra loro che nulla potevano avere in comune, se non qualche elemento psichico inconscio, appunto.

Figure mitiche come l’Eroe, il Guerriero, la Grande Madre, il Vecchio Saggio, il Fanciullo, il Demone, la Fata, le ritroviamo nelle culture delle più antiche e disparate civiltà del Pianeta. Questi miti sono figure archetipiche patrimonio dell’Umanità, vale a dire “contenitori” delle esperienze profonde dell’essere Umano inteso come specie e dunque dalla sua comparsa su questo mondo. La Mitologia Classica racconta infatti storie che ci sono “familiari”, come la leggenda di Edipo, quella di Demetra, di Venere o di Enea, che ritroviamo, pur con nomi e contesti diversi, nelle vicende  tramandate di antiche civiltà pellerossa, centroeuropee o asiatiche.

Gli eventi sincronici (premonizioni, veggenze) sono per Jung un’altra dimostrazione dell’Inconscio Collettivo. Le categorie spazio-tempo sono artifici della mente, la Fisica delle nano particelle ha infatti dimostrato che il prima e il dopo non sono valori assoluti, ma relativi all’osservatore che, a sua volta, è soggetto a più variabili. Senza meno l’Inconscio, che come abbiamo visto appartiene al cervello arcaico, è slegato da queste categorie “mentali” e allora accade che in particolari stati di abolizione della Coscienza (sogni, stati crepuscolari, trance, ecc…) ci si possa trovare in un “qui ed ora” che non ha inizio e fine, prima e dopo, al pari di un’immagine e allora ci si può parare davanti quello che chiamiamo “futuro”, ma che invero appartiene alla dimensione senza spazio e senza tempo che tutto comprende e che rappresenta l’Esperienza dell’Umanità, percepibile dall’Inconscio.

 La conclusione cui giunge Jung è dunque che la psiche ha uno straordinario contenuto energetico connesso ai Simboli e, semplificando un importante postulato junghiano, si potrebbe dire che la vita di ognuno di noi è inconsciamente sospinta da un destino realizzativo che, a ben vedere, è già tracciato in un simbolo affondato nel nostro inconscio e che tendiamo a rappresentare nel corso della nostra vita. Guardando con questi occhi gli esseri umani che ci circondano, possiamo ben riconoscere tanti Edipo, tante Demetra e gli Eroi come El Cid o Giovanna D’Arco, i Demoni come Hitler e quelli votati al Male. Le tante Grandi Madri per antonomasia e i Vili, gli Avari, gli Eroi e i Puer di ogni epoca stanno lì a dirci che forse Jung ha intuito qualcosa di davvero grande che è la nostra stessa Essenza.

 

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Agosto 2000: Presentazione al sito LA GRANDE CROCIATA

 (dal 2008 compreso nel sito IL NOVECENTO)

 

Un altro sito su questo argomento non era forse nelle necessità della Grande Rete, infatti sono numerosi i siti web che ricordano e documentano l'Olocausto e che cercano di contrastare i mestieranti del revisionismo storico, quelli che sempre si affacciano quando si abbassa il livello di attenzione, quando i problemi contingenti accecano la visione d'insieme. Comunque sia, le ragioni che mi impegnano in questo lavoro di ricerca sono, almeno in parte, più personali. Il mio viaggio-pellegrinaggio ad Oswiecim (Auschwitz - Birkenau), Polonia, insieme a mia figlia allora tredicenne, ha lasciato un segno indelebile nella mia memoria e nel modo di sentire; il sangue ti ribolle pure se non sei di cultura ebraica, vivaddio! Inoltre, insieme a molti altri sono convinto che la storia tende a ripetersi solo se la dimentichiamo, nel senso di pensarla come cosa che riguardi gli storici, gli studenti ed i professori. Ciò che conta infatti sembra essere il presente, possibilmente il presente molto prossimo a noi e alla nostra quotidianità. Ma questo modo di vedere porta in sé la delega in bianco a prendere per noi decisioni in grado di sconvolgere le nostre vite. Cosa del resto accaduta assai spesso in passato..... a volerlo ricordare, appunto.

Pensiamo per un momento ai milioni di uomini e donne che negli anni trenta erano affaccendati nella loro quotidianità, in ogni angolo d'Europa e oltreoceano: chi mai avrebbe potuto dire che c'era nell'aria qualcosa che li avrebbe presto convinti, loro malgrado, che la preparazione del matrimonio di una figlia, il nuovo lavoro da incominciare, la tesi di laurea da preparare, il raccolto buono di quest'anno, il nuovo parroco che arriva, la gita fuori porta, che tutto questo insomma sarebbe stato travolto dagli eventi e cancellato, perché le loro stesse vite e quelle dei loro cari sarebbero state in pericolo. E poi la miseria e la fame per molti dei sopravvissuti. Chi poteva immaginare tutto questo in un caldo pomeriggio di fine estate dell'ultimo degli anni trenta?

Tutto questo invece è accaduto, molto vicino a noi, una o due generazioni al massimo. Molti di noi sono cresciuti tra i racconti di tante vicende vissute. Storie troppo spesso strazianti, misere e luttuose. Eppure le nuove generazioni, i nostri figli, per intenderci, non sembrano mostrare particolare interesse per tutto ciò, non più di quanto in genere ne nutrano per le campagne di Napoleone......... storie d'altri tempi.                       

Io sono certo che anche negli anni trenta non ci si occupasse troppo delle storie d'altri tempi e che la quotidianità fosse, per la maggioranza della gente, tutto quanto di cui fosse sensato occuparsi, proprio come accade oggi. 

Ovviamente, come vedremo in questo stesso sito, il contesto socio-politico, economico e culturale degli anni venti e trenta ha poco in comune con l'aria che respiriamo oggi, ma il solo cambiamento che ci potrebbe davvero mettere al sicuro dalla barbarie, purtroppo, non è ancora avvenuto, e attiene a qualche angolo della natura stessa dell'uomo, indipendentemente dal vestito che indossa e se comunica col telefono cellulare o col vecchio telegrafo. E' in quell'angolo che si annida la barbarie, intesa come intolleranza, disprezzo per il bene supremo della vita, razzismo, egoismo, cinismo e sopraffazione; insomma tutto quello che ci differenzia profondamente dalle altre bestie di questo mondo.

Per conforto a questa affermazione, proviamo ora a fare una specie di gioco: immaginiamo, fra le persone che, direttamente o indirettamente, conosciamo (e magari diamo un'occhiata anche dentro noi stessi!) alcune da poter calare per un momento in una realtà assai diversa da quella che ora sembra circondarci, in una realtà priva di garanzie, di diritti assoluti, di protezione, in una realtà dove i valori sono sovvertiti, dove ci fanno credere che Cristo è morto in croce per garantire i privilegi dei potenti della terra, ebbene in questa realtà avreste parecchie sorprese: schiere di mediocri, violenti, frustrati, ignoranti, sarebbero i nuovi mandarini di questa società dove da un giorno all'altro sui muri si potrebbe leggere, in manifesti autoritari, che i calabresi e i marchigiani sono gente ignobile e per questo saranno privati dei loro diritti, poi della loro libertà personale ed infine deportati. In questa nuova società trovereste senza meno il vostro attuale capoufficio, sì, quello arrogante, raccomandato e inetto, con una divisa fiammante da farlo sembrare un dio, con funzioni superiori di coordinamento della deportazione dei calabresi........ e dei marchigiani. Se vi sembra che sto esagerando con l'immaginazione, guardate poco o tanto indietro nella Storia e vedrete che è già successo, troppe volte. L'ultima di queste, in Italia, accadde il 17 Novembre 1938 (vedi Leggi Razziali e Manifesto della Razza), allora si trattò di ebrei.

Il sito The Great Crusade è dunque uno STRUMENTO DELLA MEMORIA E DELLA COSCIENZA, uno dei tanti, le cui pagine sono trovate dai motori di ricerca del web e visitate migliaia di volte ogni mese, a disposizione di coloro che vogliano per qualche momento ricordare la Grande Crociata che fu combattuta, e che oggi ci permette di vivere serenamente della nostra quotidianità.

 

                                                                     Carlo Anibaldi  2000

 

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