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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA

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LE ANEMIE NON EMOLITICHE

 

  Nell'uomo adulto normale la massa eritrocitaria totale ammonta in media a circa 330 per 10 alla nona cellule per kg peso corporeo (ovvero 27 più o meno 3 ml/kg peso corporeo nel maschio e 26 più o meno 3 ml/kg peso corporeo nella donna). Pertanto il contenuto emoglobinico totale del sangue circolante è, in media, di circa 750 g (ovvero 16 più o meno 2 g/dl sangue nel maschio e 14 più o meno 2 g/dl sangue nella donna).

In condizioni fisiologiche la sopravvivenza media degli eritrociti circolanti è di circa 120 giorni, il che equivale ad una perdita catabolica giornaliera di 6,25 g (750/120) di emoglobina. L'omeostasi è garantita da una sintesi emoglobinica di pari entità.

Il mantenimento dei valori fisiologici della massa eritrocitaria e del contenuto emoglobinico totale del sangue circolante è affidato quindi ad un equilibrio dinamico fra distruzione e produzione di eritrociti e di emoglobina

Alla realizzazione di tale equilibrio concorrono molteplici elementi:

1)esistenza di un territorio midollare ("microambiente") che per estensione e per caratteristiche anatomo-funzionali sia adeguato allo svolgimento di tutte le attività differenziative, proliferative, maturative inerenti al processo eritropoietico;

2)normalità quantitativa e funzionale del compartimento di cellule staminali e dei fattori umorali deputati alla regolazione del loro orientamento in senso eritropoletlco;

3)normalità dei processi metabolici che presiedono alla proliferazione cellulare (sintesi del DNA);

4)normalità dei processi metabolici che portano alla sintesi di emoglobina (porfirine, ferro, globina);

5)normalità strutturale e metabolica degli eritrociti;

6)normalità dei processi emocateretici;

7)assenza di perdite abnormi di eritrociti per lesioni delle pareti vasali.

L'alterazione di uno dei predetti elementi, se supera i limiti dei numerosi meccanismi di compenso, porta alla rottura dell'equilibrio omeostatico e ad una diminuzione del patrimonio eritrocitario ed emoglobinico circolante (anemia).

Per anemia, quindi, si intende la diminuzione della concentrazione di emoglobina (Hb) nel sangue circolante. Nella tab.01x sono riportati i valori medi ed il valore soglia di Hb per la definizione di anemia in funzione dell'età e del sesso, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Poiché la concentrazione di Hb non riproduce sempre fedelmente la quantità totale di emoglobina circolante nel corpo, la definizione più corretta di anemia è quella che si basa sul volume eritrocitario totale o massa eritrocitaria. Con questo criterio distinguiamo l'anemia assoluta dalla anemia relativa (o pscudoanemia o anemia spuria): nella prima condizione la massa eritrocitaria è diminuita rispetto ai valori attesi; nella seconda la massa eritrocitaria è normale e la diminuzione della concentrazione di Hb circolante è dovuta ad aumento del volume plasmatico (anemia da emodiluizione).

 

Le anemie possono essere classificate su base morfologica o fisiopatologica.

1)La classificazione morfologica fa riferimento al volume globulare medio (MCV, mean cell volume) e distingue tradizionalmente le anemie in: microcitiche (MCV < 82 fl), normocitiche (MCV compreso fra 82 e 92 fl) e macrocitiche (MCV > 92 fl). Se invece si considera la concentrazione di emoglobina nell'interno del globulo rosso (MCHC, mean cell hemoglobin concentration) le anemie possono essere distinte in ipocromiche (MCHC < 30 g/dl) e normocromiche (MCHC > 30 g/dl).

I metodi di citometria a flusso per il conteggio automatico dei globuli rossi e degli indici eritrocitari hanno non solo consentito una valutazione più precisa e rapida della concentrazione eritrocitaria ed emoglobinica e del volume globulare, ma hanno reso disponibili nuovi parametri diagnostici.Un parametro utile per l'affinamento della classificazione morfologica delle anemie è la distribuzione del volume eritrocitario che è espressa dal coefficiente di variazione della distribuzione dei volumi, chiamata ampiezza della distribuzione dei globuli rossi (RDW, red cell distribution width). Questo parametro, che equivale alla anisocitosi delle emazie osservabile sullo striscio di sangue periferico, permette, ad esempio, di distinguere nell'interno delle anemie microcitiche le forme omogenee, cioè con RDW normale (es. la talassemia eterozigote), dalle forme eterogenee, cioè con RDW elevato (es. l'anemia sideropenica).

2) La classificazione fisiopatologica (tab.02x) considera rilevante a scopo classificatorio l'alterazione di due caratteristiche distinte dell'eritropoiesi: a) la potenzialità proliferativa del compartimento delle cellule staminali; b) la maturazione intramidollare, citoplasmatica e nucleare, delle cellule eritropoietiche e la durata

di vita in circolo delle cellule eritroidi prodotte. Le anemie con inadeguata proliferazione eritropoietica (o anemie da insufficienza eritropoietica) possono in tal modo essere distinte da quelle con adeguata proliferazione eritropoietica, nelle quali la riduzione dell'Hb circolante sarà riconducibile alla distruzione intramidollare degli eritroblasti (eritropoiesi inefficace) o alla riduzione della sopravvivenza in circolo degli eritrociti (emolisi o emorragia).

 

 

 

L'approccio diagnostico al paziente anemico può essere operativamente distinto in tre fasi, cui corrispondono differenti "obiettivi" diagnostici:

1)La prima fase si propone di ottenere una definizione fisiopatologica o funzionale qualitativa, cioè una definizione del meccanismo principale dell'anemia utilizzando i parametri ematologici semplici: MCV, conteggio dei reticolociti, misura della concentrazione sierica della bilirubina indiretta, valutazione dello stato corporeo del ferro, esame morfologico del midollo osseo.

L'MCV è un dato facilmente disponibile e che indirizza immediatamente alle cause più frequenti di anemia. Infatti la microcitosi eritrocitaria esprime un difetto di sintesi della emoglobina per alterata disponibilità di uno dei suoi componenti: ferro (anemie iposideremiche), anello tetrapirrolico dell'eme (porfirie ed anemie sideroblastiche) e globina (sindromi talassemiche). La macrocitosi eritrocitaria si produce invece, nella maggior parte dei casi, per difettosa sintesi del DNA (anemia da carenza di folati o di vitamina B12).

Il numero dei reticolociti circolanti permette di distinguere due fondamentali situazioni fisiopatologiche: anemia con efficace eritropoiesi compensatoria, nella quale il numero dei reticolociti sarà aumentato proporzionalmente alla severità dell'anemia, e anemia iporigenerativa, nella quale il gettito dei reticolociti è sproporzionatamente basso rispetto al grado di anemia.

L'esame morfologico del midollo osseo fornisce informazioni qualitative sulla maturazione della linea eritropoietica ed è il metodo primo di valutazione dell'entità dell'eritropoiesi usato nella pratica ematologica.

Gli indici dello stato corporeo del ferro (sideremia, TIBC e ferritinemia) e la concentrazione della hilirntina non coniugata circolante completeranno questa fase diagnostica.

2)La diagnosi clinica ha l'obiettivo di inserire la diagnosi funzionale qualitativa nel contesto clinico del paziente. L'anemia, infatti, può essere presente come sintomo e segno associato ad altra patologia (anemia secondaria) oppure può rappresentare l'evento patologico fondamentale ed unico (anemia primitiva).

3)La diagnosi fisiopatologica quantitativa, infine, è necessaria per orientare la prognosi e la terapia del paziente. Giunti alla diagnosi clinica di anemia primitiva o secondaria, è infatti a volte utile una specificazione fisiopatologica accurata e quantitativa del meccanismo dell'anemia. Questa è indispensabile nelle situazioni in cui la patogenesi dell'anemia nell'interno della stessa entità clinica è variabile e solo un dettagliato studio funzionale dell'eritropoiesi (con studi cinetici in vivo o colturali in vitro) può fornire la sua corretta definizione. A tale fine ci si avvarrà soprattutto di tre parametri ottenibili con studio di ferro- ed eritrocinetica: il turnover midollare del ferro, misura della eritropoiesi totale; il turn over del ferro inefficace, misura della eritropoiesi inefficace e la durata di vita media delle emazie, misura dell'emolisi periferica.

 

 

 

Oggetto di questa trattazione sono le sole condizioni anemiche da diminuita produzione di globuli rossi e/o di emoglobina (anemie iporigenerative), cioè le anemie che secondo la classificazione fisiopatologica sono dovute ad una risposta eritropoietica inadeguata oppure ad eritropoiesi inefficace. La caratteristica ematologica che accomuna tutte le anemie iporigenerative è una inadeguata dismissione di reticolociti nel sangue periferico.

Una più precisa definizione di anemia iporigenerativa è fornita dagli studi di eritrocinetica (ferrocinetica associata alla determinazione della durata di vita delle emazie). I movimenti del ferro nel plasma sono infatti influenzati primariamente dalla sintesi e dal destino dell'emoglobina, in modo che i parametri di cinetica del ferro radioattivo possono essere utilizzati per la quantificazione dell'eritropoiesi. Il profilo funzionale distintivo delle anemie iporigenerative è la diminuzione del turnover del ferro dal midollo verso gli eritrociti (frazione efficace della eritropoiesi), che si esprime nella grande maggioranza dei casi con una diminuzione della percentuale di incorporazione eritrocitaria del radioferro.

Anemia iporigenerativa può essere determinata sia da disturbi quantitativi che qualitativi dell'eritropoiesi. Nel primo caso il midollo è povero di eritroblasti e il turnover del ferro verso l'eritropoiesi è diminuito rispetto al normale (insufficienza eritropoietica assoluta), oppure modestamente aumentato ma inappropriato per compensare l'anemia (insufficienza eritropoietica relativa); nel secondo caso, la cellularità midollare è abbondante ed il turnover del ferro verso l'eritropoiesi è aumentato fino a 8-10 volte il normale, ma risulta in grande parte inefficace (eritropoiesi inefficace).

L'eterogeneità dei meccanismi patogenetici e la molteplicità dei possibili fattori etiologici comportano ovviamente una vasta gamma di espressione cliniche nell'ambito delle anemie iporigenerative; ciò consente l'individuazione di numerosi quadri nosografici di cui nelle pagine seguenti tracceremo le linee essenziali.

 

 

Anemie iporigenerative da occupazione dello spazio midollare (anemie mieloftisiche)

 

Un grave e sistemico sovvertimento della struttura midollare (per alterazione delle sue componenti angioreticolari e/o per infiltrazione delle lacune midollari da parte di cellale neoplastiche) è proprio delle malattie leucemiche, della mielofibrosi idiopatica, di taluni linfomi, del mieloma multiplo e dei carcinomi metastatizzanti nel midollo osseo (prostata, mammella, polmone, neuroblastoma ecc.); raramente consegue a processi di mielite granulomatosa (ad esempio mielite tubercolare).

Peculiare di tutte queste forme morbose è un'anemia di tipo variabile, più spesso di tipo normocitico normocromico, più raramente di tipo diverso (macrocitico normocromico o microcitico ipocromico), con anisopoichilocitosi delle emazie, emazie a lacrima e frequente comparsa in circolo di cellule immature della serie eritroblastica e granuloblastica. Nella maggioranza dei casi, l'anemia è modesta e ben tollerata; raramente è severa tanto da obbligare a trasfusioni ripetute. In una frazione di pazienti più elevata dell'atteso l'anemia ha caratteri macromegaloblastici per concomitante carenza di vit. B12 o acido folico. La leucopenia è poco comune e la piastrinopenia è eccezionale.

La patogenesi della anemia risiede in un sovvertimento del compartimento delle cellule staminali. Il numero e la crescita in vitro dei precursori emopoietici (CFU-GEMM, BFU-E, CFU-C e CFUM) sono significativamente ridotti rispetto ai soggetti normali. Gli studi di eritrocinetica dimostrano che il turnover del ferro midollare (misura di eritropoiesi totale) è significativamente ridotto e che la sua diminuzione si accentua progressivamente con l'avanzare della malattia. In talune condizioni, come nelle diffuse mielofibrosi secondarie a metastasi carcinomatose oppure a gravissime miliari tubercolari, la fibrosi reattiva comporta una vera e propria occupazione di spazi midollari con conseguente scomparsa delle normali componenti emopoietiche (anemie mieloftisiche), con quadro eritrocinetico di insufficienza eritropoietica assoluta, indistinguibile da quello della aplasia midollare. Questa concezione puramente meccanicistica, tuttavia, non è certamente invocabile quale unica interpretazione patogenetica di queste condizioni. Infatti, la semplice riduzione degli spazi midollari quale si può osservare in talune osteopatie (m. di Albers-Schonberg) non comporta di solito insufficienza midollare ed anemia.   È inoltre generalmente palese che né il numero dei progenitori emopoietici né l'eritropoiesi residua si correlano con l'entità dell'invasione midollare da parte delle cellule neoplastiche.   È stata avanzata l'ipotesi che l'inibizione dell'emopoiesi in queste condizioni sia dovuta ad una soppressione umorale mediata dalle cellule maligne o dai linfociti T.

Accanto alla inibizione della proliferazione dei precursori emopoietici sono stati descritti numerosi meccanismi di tipo periferico (quali l'emolisi periferica, l'emodiluizione e la difettosa produzione di eritropoietina) che rendono complessa la patogenesi dell'anemia da infiltrazione midollare.

La terapia di queste forme risiede essenzialmente nel controllo della malattia di base e nella somministrazione di testosterone od è puramente sostitutiva (emotrasfusioni). Recenti esperienze con eritroproteina umana combinante hanno permesso di dimostrare la possibilità di correggere parzialmente l'anemia in queste condizioni, ma limitata ai pazienti in cui è presente eritropoiesi residua e in cui l'insufficienza eritropoietica è in parte dovuta all'uso di farmaci citostatici, come si osserva nei mielomi e nei linfomi in trattamento.

 

 

Anemie da alterazioni del compartimento staminale

 

 

Il principale evento omeostatico atto a mantenere una normale popolazione di cellule midollari e quindi una normale popolazione di cellule ematiche circolanti è rappresentato dalla capacità delle cellule staminali totipotenti di autoreplicarsi e di differenziarsi in cellule staminali orientate verso l'eritropoiesi, la granulocitopoiesi e la megacariocitopoiesi. L'alterazione della omeostasi del compartimento delle cellule staminali può derivare da una riduzione del numero delle cellale staminali stesse, da una difettosa regolazione ormonale o cellulare della loro proliferazione o da disturbi del microambiente midollare.

Tali alterazioni possono dare origine: a)a sindromi in cui prevale dal punto di vista clinico ed ematologico la deplezione del compartimento staminale, con difetto quantitativo di tutte le linee cellulari derivanti (anemie aplastiche), oppure b)a sindromi in cui prevale l'aspetto disemopoietico delle popolazioni cellulari maturanti, che presentano peculiari alterazioni morfologiche e biochimiche (sindromi mielodisplastiche). Pur non essendo ancora perfettamente chiaro il limite biologico e patogenetico di queste due sindromi, è facile, nella grande maggioranza dei casi, distinguerle dal punto di vista morfologico e clinico.

 

 

ANEMIE APLASTICHE

 

I meccanismi che alterano il gioco omeostatico necessario per mantenere un adeguato pool di cellale staminali normofunzionanti possono operare a livello della cellula staminale totipotente oppure soltanto a livello delle cellule staminali orientate verso l'eritropoiesi. Ovviamente nel primo caso l'alterazione dell'eritropoiesi costituisce solo una delle espressioni di un più ampio sovvertimento che concerne pure le altre linee differenziative mieloidi, la granuloblastica e la megacariocitaria, sicché si realizzano quadri di pancitopenia (anemie aplastiche globali). Nel secondo caso, più raro, è compromessa la sola eritropoiesi, e si instaura eritrocitopenia pura (anemie da eritroblastopenia pura).

 

 

Anemie aplastiche globali

 

In questo gruppo di anemie l'evento fondamentale risiede verosimilmente nella riduzione quantitativa delle cellule staminali multipotenti. I recenti successi terapeutici ottenuti nelle anemie aplastiche con trapianto di midollo osseo, costituiscono un importante elemento a favore della tesi di un difetto intrinseco delle cellule staminali. Tuttavia, osservazioni cliniche (risposta alla globulina antilinfocitaria) e prove di laboratorio hanno suggerito che, in una parte almeno dei pazienti affetti da anemia aplastica, operino meccanismi immunologici di soppressione dell'ematopoiesi.

Una conferma della patogenesi immunitaria è fornita pure dall'esperienza del trapianto di midollo in questa malattia: nel trapianto di midollo da gemello geneticamente identico al ricevente, in cui la procedura di trapianto non comporta terapia immunosoppressiva, la ricostituzione di emopoiesi normale avviene in un numero di casi inferiore che nell'allotrapianto, in cui il trapianto è preceduto da immunosoppressione.

Conseguenza della deficienza quantitativa e qualitativa del compartimento staminale è comunque la riduzione del patrimonio midollare di cellule emopoietiche e la pancitopenia periferica. Istologicamente il midollo osseo attivo è sostituito da un tessuto adiposo, diffuso a tutte le lacune midollari in cui possono talora residuare piccole isole di tessuto mielopoietico.

L'anemia è in genere di tipo normocitico ma talora presenta note macrocitiche; grave è sempre la reticolocitopenia. L'evoluzione maturativa dei pochi eritroblasti presenti appare normale, ma l'emoglobinosintesi, per motivi non ancora chiariti, risulta spesso parzialmente alterata per una attivazione di catene globiniche gamma, sicchè il contenuto eritrocitario di emoglobina fetale (HbF) è aumentato.

Il turnover del ferro verso l'eritropoiesi, indice di eritropoiesi totale, può essere molto diminuito, ma in alcuni casi raggiunge valori fino a due volte il normale. Questa condizione di insufficienza eritropoietica relativa esprime la capacità proliferativa residua del tessuto eritropoietico stimolato dalla eritropoietina, ed ha l'equivalente morfologico nelle cosiddette "tasche calde", focolai di tessuto emopoietico iperplastico circondati da midollo grasso.

Costante è la grave leucopenia, preponderantemente di tipo neutropenico. Il numero dei linfociti circolanti è all'esordio usualmente normale, e normali appaiono di solito le funzioni immunitarie umorali e cellulari. In fasi avanzate di malattia è però spesso rilevabile linfopenia ed una riduzione del livello di B e T linfociti con diminuita risposta ai mitogeni è precocemente presente nelle aplasie associate ad epatite virale. Non è accertato tuttavia se questo disturbo dell'immunità cellulare sia una conseguenza o faccia parte del momento patogenetico della aplasia.

Sempre cospicua è la piastrinopenia. Elevato è il contenuto nel plasma di eritropoietina. A causa della malattia stessa e della terapia trasfusionale si sviluppa costantemente cospicua siderosi dei macrofagi (midollari, splenici, epatici), mentre scarsi sono i sideroblasti.

Il quadro clinico comporta manifestazioni strettamente correlate alla pancitopenia. Si notano pertanto i segni dell'anemia (pallore, dispnea da sforzo, astenia), i sintomi inerenti alle complicazioni infettive legate alla grave neutropenia, le manifestazioni emorragiche purpuriche da piastrinopenia. Epatomegalia e splenomegalia non fanno parte dei segni tipici ed iniziali delle anemie aplastiche globali: tuttavia ripetuti episodi infettivi possono provocare l'insorgenza di una modesta splenomegalia ed epatosplenomegalia può manifestarsi tardivamente per la frequente siderocromatosi. Il decorso può essere acuto o cronico e la malattia lasciata a sé comporta quasi sempre prognosi infausta.

Un'utile suddivisione clinica distingue i pazienti con malattia moderata (ipoplasia midollare) da quelli con malattia severa. L'aplasia severa è definita da un numero di granulociti inferiore a 0,5*10 alla nona/1, di piastrine inferiore a 20*10 alla nona/1, di reticolociti inferiore a 20*10 alla nona/1 e da un midollo ipoplastico o aplastico. I pazienti con aplasia severa hanno prognosi peggiore e pongono problemi terapeutici diversi da quelli dei soggetti con aplasia moderata.

L'etiologia e la patogenesi delle anemie aplastiche globali non sono certamente univoche (vedi tab.03x).

Nella maggior parte dei casi si tratta di forme acquisite: talora idiopatiche (e sono quelle che più strettamente riproducono il quadro clinico-ematologico generale dianzi delineato), ma più spesso riconducibili a ben individuati fattori, tra cui spiccano per la loro importanza numerosi farmaci e agenti infettivi (forme secondarie).

I farmaci e le sostanze chimiche potenzialmente tossiche per il compartimento di cellule staminali si possono suddividere in due gruppi:

1)il primo comprende sostanze ed agenti ad azione citopenizzante obbligata, dose-dipendente (tutti i citostatici antitumorali ed immunodepressori, benze ionizzanti);

 

2)il secondo gruppo riguarda farmaci ad azione citopenizzante occasionale: emergono qui la bassa percentuale di casi di aplasia rispetto all'enorme numero di fruitori dei medicamenti, la non stretta e costante correlazione fra dosaggio terapeutico ed effetto citopenizzante, l'aplastizzazione spesso tardiva rispetto all'epoca dell'esposizione al farmaco.

Esempio tipico di questa categoria è il cloramfenicolo, ma ad essa appartengono

anche altri antiinfiammatori, diuretici, antidiabetici orali. Deve essere quindi ipotizzata una compartecipazione di situazioni intrinseche a determinati individui (meiopragia delle cellule staminali, difetti metabolici di disintossicazioni, sensibilizzazione al farmaco) e tali da renderli particolarmente suscettibili all'effetto nocivo del medicamento.

L'anemia aplastica si può sviluppare durante il decorso o dopo infezioni virali, quali mononucleosi infettiva, rosolia, herpes zoster, HIV, parvovirus ed epatite virale. Notevole rilievo ha quest'ultima: le aplasie meta- o post-epatitiche si sviluppano più spesso nei giovani entro 6 mesi dalla malattia virale e frequentemente sono causate dal virus della epatite C. Sono forme di aplasia sempre grave con mortalità del 90% entro un anno.

Oscuri sono i rapporti fra i processi di aplasia midollare globale e l'emoglobinuria parossistica notturna: le due malattie possono combinarsi o succedersi in vari rapporti cronologici.

Certamente basi immunologiche hanno le aplasie che talora conseguono alle emotrasfusioni in bambini gravemente immunodeficienti, in cui si può ravvisare un GVHD con rigetto immunologico delle cellule staminali dell'ospite.

L'aplasia in rapporto a gravidanza, evento insolito, può migliorare dopo il parto o dopo l'interruzione della gravidanza.

Le forme di aplasia midollare congenita sono molto rare. Esse hanno note di costituzionalità e di familiarità e trovano il loro prototipo nella anemia congenita di Fanconi; il quadro clinico ed ematologico si discosta per qualche aspetto dalle anemie aplastiche globali acquisite. L'anemia di Fanconi è caratterizzata da grave congenita insufficienza midollare (più spesso di tipo aplastico, ma talora con midollo parzialmente cellulato) e da pancitopenia periferica associata a malformazioni di vario tipo (iperpigmentazione cutanea, anomalie scheletriche e renali, microcefalia, ritardo sessuale e mentale). Caratteristica è la presenza di rotture cromosomiche nei linfociti stimolati con fitoemoagglutinina: dimostra l'esistenza di ipersensibilità del DNA cellulare agli agenti ionizzanti ed alchilanti con difetto dei meccanismi di riparo. L'anemia di Fanconi è ereditata legata ad un gene recessivo.

Ancor più rare sono le altre forme costituzionali menzionate nella tab.03x.

Il trattamento dell'anemia aplastica acquisita è fondato su tre cardini maggiori: sospensione o allontanamento dei fattori etiologici documentati o potenziali; ricostituzione di una emopoiesi normale; terapia di supporto (trasfusioni e prevenzione delle infezioni).

Il trapianto di cellule emopoietiche normali è un approccio terapeutico razionale della anemia aplastica. Il paziente candidato al trapianto dovrà essere trasfuso il meno possibile e mai con sangue dei fratelli possibili donatori per evitare alloimmunizzazioni che peggiorano il decorso post-trapianto. Il condizionamento prima del trapianto si effettua fondamentalmente con ciclofosfamide e la profilassi della GVHD con metotrexate e/o ciclosporina A.

Le percentuali di sopravvivenza globali a 2 anni sono del 40-60% ma nei soggetti giovani e che non hanno ricevuto trasfusioni prima del trapianto si può ottenere l'80% di sopravvivenza a 2 anni. GVHD cronica è presente in circa il 1015 % dei casi e la sua incidenza e gravità aumentano con l'età. Considerando che la terapia con il trapianto di midollo si è dimostrata superiore alla terapia con farmaci immunosoppressori solo nei pazienti con età inferiore a 20 anni, il trapianto deve rappresentare la prima scelta terapeutica dell'aplasia midollare solo nei pazienti con età inferiore a 20 anni che abbiano un fratello aploidentico.

La presunta o accertata esistenza di una componente immunologica tra i fattori patogenetici dell'anemia aplastica hanno giustificato tentativi di trattamento immunosoppressore con globulina antilinfocitaria o antitimocitaria. Questa terapia porta ad una parziale o completa ricostituzione della emopoiesi nel 40-60% dei pazienti. I dosaggi sono di 15-40 mg/ kg e.v. per 4-10 giorni. La risposta si manifesta entro il terzo mese e in caso di mancata risposta la somministrazione può essere ripetuta.

Gli androgeni hanno un sicuro effetto stimolante sull'emopoiesi in vitro. I risultati con testosterone e con androgeni semisintetici (ossimetolone, metenolone, nandrolone) a dosaggi elevati e per periodi prolungati sono soddisfacenti nelle aplasie moderate, mentre in meno di un terzo dei pazienti con aplasia severa si ottiene una risposta favorevole.

Il cortisone pur avendo un effetto favorevole sulla diatesi emorragica da piastrinopenia, si è dimostrato poco efficace sulla ricostituzione del midollo e sulla sopravvivenza dei pazienti se usato a dosi basse o medie. Esperienze recenti hanno documentato buone risposte a dosi molto elevate di metilprednisolone nella aplasia severa.

 

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Anemie da disordini delle cellule staminali "commissionate" eritropoietino-sensibili

 

Le forme pure di aplasia eritroblastica ("pure red cell aplasia") costituiscono una sindrome caratterizzata da totale assenza o spiccatissima riduzione degli eritroblasti nel midollo e dei reticolociti nel sangue periferico, gravissima anemia di tipo normocromico e normocitico, diminuzione delle espressioni metaboliche della degradazione della emoglobina (bilirubina e bilinogeno fecale), ipersideremia. Granulocito- e megacariocitopoiesi sono invece normali; non esiste mielopoiesi eterotopa. A seconda che si tratti di forme congenite o acquisite, primitive o secondarie, acute o croniche (vedi classificazione, tab.03x), la fenomenologia clinico-ematologica può presentare alcune caratteristiche particolari rispetto al quadro generale dianzi delineato.

 

Eritroblastopenia cronica idiopatica dell'adulto (ECIA). -   È una rara emopatia, propria dell'età adulta o senile, forse più frequente nel maschio, ad inizio subdolo e decorso cronico progressivamente ingravescente, con il quadro di anemia arigenerativa. La prognosi è estremamente riservata, benché siano possibili remissioni spontanee o risposte favorevoli alla terapia (cortisonici, testosterone).Frequenti cause di morte sono l'insufficienza cardiaca, le complicanze epatitiche (virali) e la siderocromatosi da ripetute trasfusioni.

Si ritiene oggi che tale emopatia sia inquadrabile tra le forme autoimmuni e se ne distinguono due forme:

a)ECIA tipo I o A, caratterizzata da presenza nel siero di elevata benché inefficace attività eritropoietinica e di un inibitore di natura immunoglobulinica (IgG) attivo a livello midollare;

b)ECIA tipo II o B. caratterizzata da assenza di attività eritropoietinica nel siero e presenza nel siero di un inibitore IgG con attività anti-eritropoietinica.

 

 

Eritroblastopenie secondarie acute.- Sono rappresentate da episodi acuti e transitori di eritroblastopenia, insorgenti nel corso di anemie emolitiche congenite o acquisite, quali la sferocitosi ereditaria, la falcemia, l'emoglobinuria parossistica notturna (eritroblastopenie acute tipo Owren), oppure nel corso di malattie infettive o di condizioni di insufficienza renale acuta o a seguito di assunzione di farmaci, quali noramidopirina, carbimazolo, barbiturici, fenilidantoina, carbutamide ecc. (eritroblastopeniencute tipo Gasser).

Dal punto di vista clinico il primo gruppo è sempre segnato dall'instaurarsi di grave anemia, preceduta talora da sindrome febbrile, a volte estesa ad altri membri della famiglia, con sintomatologia bronchitica acuta o gastroenteritica, a denotare l'etiologia infettiva dell'episodio. La grave anemizzazione manca invece o è meno appariscente nel secondo gruppo, in quanto la normale durata di vita degli eritrociti maschera la transitoria deficienza eritrocitopoietica.

La patogenesi è oscura e certamente non univoca. In alcuni casi è stato accertato un effetto inibente l'eritropoiesi da parte del Parvovirus, che risulterebbe l'agente etiologico di crisi aplastiche in corso di anemie emolitiche. Un meccanismo immunomediato, in cui il farmaco agirebbe da aptene, è invece sospettato in talune eritroblastopenie acute tipo Gasser.

La terapia comprende trasfusioni, cortisonici, acido folico.

 

Eritroblastopenie secondarie croniche. -Sono più frequenti nell'età senile o presenile e nelle femmine ed appaiono per lo più in corso di timoma (con o senza associazione di miastenia grave), di deficienze immunologiche, di malattie del collageno o autoimmuni, di carcinomi broncogeni, di leucemia linfatica cronica. Si presume che siano in gioco fattori immunologici, con autoimmunità diretta verso i precursori eritroidi o verso l'eritropoietina.

 

Eritroblastopenla congenita di tipo Dlamond-Blackian.-  È una rara condizione che si manifesta abitualmente prima del IV mese di vita con ingravescente anemia arigenerativa ed eritroblastopenia. Si prospetta un'eredità autosomica recessiva, ma una familiarità è solo eccezionalmente documentabile (a differenza dell'anemia di Fanconi). La patogenesi della malattia non è chiara. Due meccanismi sono stati prospettati: un difetto congenito intrinseco della cellula staminale orientata all'eritropoiesi con perdita della sensibilità all'eritropoietina; un'alterazione del sistema immunitario. Questa seconda ipotesi è sostenuta dalla sensibilità della malattia ai corticosteroidi, che correggono spesso, almeno temporaneamente, l'anemia. L'anemia è per lo più macrocitica con caratteristiche eritrocitarie che ricordano quelle dell'eritropoiesi fetale: aumento della HbF e presenza dell'antigene i sulla superficie dei globuli rossi.

Il trapianto di midollo osseo può essere effettuato nei pazienti che si dimostrano refrattari alla terapia steroidea.

 

 

SINDROMI MIELODISPLASTICHE (SMD)

 

Vengono raccolte sotto questa denominazione alcune complesse emopatie acquisite, di ignota etiologia, non ancora completamente chiarite nel loro fondamento patogenetico, che sono definite dalla presenza variamente associata di una serie di caratteristiche: l'anemia, quale espressione ematologica prevalente; il coinvolgimento delle altre serie emopoietiche con piastrinopenia e leucopenia; il midollo normo- o ipercellulare; i segni morfologici di disemopoiesi; l'evoluzione frequente verso la leucemia acuta mieloide.

In passato queste condizioni venivano riportate sotto differenti denominazioni quali: anemie refrattarie, per indicarne la refrattarietà alla terapia con vit. B12 e acido folico; anemie diseritropoietiche idiopatiche acquisite, per evidenziarne un fondamentale substrato patogenetico; pancitopenie a midollo ricco, per caratterizzarne l'aspetto morfologico ed ematologico; infine di sindromi preleucemiche.

Le sindromi mielodisplastiche interessano ambedue i sessi e in prevalenza gli anziani (età media superiore ai 50 anni). Possono tuttavia comparire in età più giovane come evento prodromico di una leucemia acuta in pazienti che hanno ricevuto chemioterapia antineoplastica o terapia radiante.

L'anemia, il più frequente sintomo di esordio della malattia e problema clinico e terapeutico prevalente, è di tipo arigenerativo, macrocitico e solitamente grave. Nelle cellule eritroidi sono presenti difetti enzimatici, modificazioni antigeniche della membrana e disturbi della sintesi dell'emoglobina (comparsa di HbF e di HbH). Granulocitopenia e piastrinopenia sono frequenti e si associano ad anomalie morfologiche dei granulociti (iposegmentazione nucleare e ipogranularità citoplasmatica) e delle piastrine (anisocitosi). Anomalie cromosomiche sono, presenti in un terzo dei pazienti (monosomia 7, trisomia 8, delezione 5q-).

La tab.04x riporta la classificazione FAB delle sindromi mielodisplastiche. E' fondamentale su criteri esclusivamente morfologici, cui corrispondono differenze funzionali e prognostiche.

Dal punto di vista morfologico le SMD hanno le seguenti caratteristiche.L'anemia sideroblastica idiopatica acquisita (ASIA) è definita dalla presenza in un midollo ipercellulare di sideroblasti ad anello (eritroblasti con corona perinucleare di granuli Perls positivi) in misura superiore al 40%. L'anemia refrattaria (AR) è caratterizzata da iperplasia eritroblastica midollare senza sideroblasti e senza eccesso di blasti. Minimo è il coinvolgimento delle serie granulocitopoietica e piastrinopoietica. L'anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB) presenta nel midollo una percentuale di blasti mieloidi compresa fra il 5 e il 20%. In questa forma sono quasi costanti varie anomalie dei granuloblasti e dei megacariociti. L'anemia refrattaria in trasformazione leucemica (AREBt) include pazienti che accanto alla blastosi midollare (>20%) presentano blastosi periferica in percentuale di circa il 20-30%. La leucemia mielomonocitlca cronica (LMMC) è definita dal riscontro di monocitosi vera nel sangue periferico (monociti > 1000/ mm3), da blastosi midollare di tipo mielomonocitico e da aumento del lisozima sierico ed urinario. Secondo alcuni Autori sarebbe più opportuno un suo inserimento nell'ambito delle malattie mieloproliferative croniche.

Dal punto di vista funzionale, gli studi di cinetica cellulare e gli aspetti morfologici dell'eritropoiesi (diseritropoiesi) hanno da tempo messo in luce la costante presenza di gradi elevati di mielopoiesi inefficace. Tuttavia recenti ricerche di eritrocinetica hanno documentato che il meccanismo patogenetico della anemia è variabile anche nell'ambito della stessa forma di SMD. Mentre nelle anemie sideroblastiche l'eritropoiesi inefficace è il meccanismo prevalente dell'anemia, nella anemia refrattaria alla eritropoiesi inefficace si associano disturbi quantitativi dell'eritropoiesi, e, infine, nell'anemia refrattaria con eccesso di blasti e nella LMMC i disturbi quantitativi dell'eritropoiesi sono predominanti ed il profilo funzionale è quello della insufficienza eritropoietica relativa o assoluta. Nella ASIA, infatti, l'eritropoiesi è espansa fino a 8 volte il normale con il 70-90% di eritropoiesi inefficace, mentre nella anemia refrattaria l'eritropoiesi totale non supera le tre volte il normale; l'eritropoiesi, infine, è ridotta o appena aumentata nell'anemia refrattaria con eccesso diblasti e nella LMMC.

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Da questi reperti e dai risultati delle colture in vitro dei precursori eritroidi, la AR, la AREB la AREBt e la LMMC si configurano come disturbi interessanti la cellula staminale totipotente che perde capacità proliferativa. Al contrario, l'ASIA si configura come disordine clonale della eritropoiesi caratterizzato da una linea cellulare anomala in cui il difetto si estrinseca prevalentemente nel compartimento delle cellule maturative. Per questa ragione le anemie sideroblastiche, pur avendo alcune caratteristiche proprie anche delle altre sindromi mielodisplastiche, vengono in questa trattazione descritte nel capitolo delle anemie da disturbi della sintesi di emoglobina.

La prognosi e le cause di morte sono differenti nelle diverse sindromi. La trasformazione leucemica è molto frequente nella AREB, è costante nella AREBt e nella LMMC, mentre sono le complicanze infettive e l'emosiderosi che predominano nella AR e nella ASIA.

La terapia è prevalentemente sostitutiva. La terapia per le leucemie acute non è efficace e aggrava la citopenia e la prognosi. Tentativi con farmaci ad effetto differenziativo sono stati fatti in questi ultimi anni (ARAC a basse dosi, vit. D3, acido 5-cisretinoico, alfa-interferone ricombinante), ma i loro risultati sono modesti e ancora di difficile valutazione.

 

 

Anemie da difetto di sintesi del DNA (anemie megaloblastiche)

 

Nella patologia dell'uomo sono note numerose condizioni emopatiche (anemiche) caratterizzate da disturbo della sintesi del DNA per carenza assoluta o relativa (rispetto alle richieste metaboliche) di vitamina Bl2 (cobalamina) e/o di acido folico (acido pteroilglutammico), dovute a cause di varia natura. In più rare condizioni, l'alterazione della sintesi del DNA trae origine da deviazioni metaboliche, acquisite o congenite, indipendenti dalle predette carenze vitaminiche.

La Vit. B12 entra in numerose reazioni enzimatiche con la funzione di coenzima, ma i due maggiori sistemi metabolici che utilizzano la vit. Bl2 nell'uomo sono:

l)isomerizzazione del metilmalonil-CoA, tappa della via catabolica del propionato, e sua trasformazione in succinil-CoA, prodotto intermedio del ciclo di Krebs;

2)sintesi della metilmetionina e rigenerazione del tetraidrofolato, enzima indispensabile per la sintesi delle purine.

L'acido folico, nella sua forma attiva di tetraidrofolato (FH4), entra come coenzima nelle reazioni metaboliche di trasferimento di un atomo di carbonio. Le reazioni metaboliche cellulari che richiedono acido folico sono numerose e ne citiamo le più importanti: trasformazione

della serina in glicina, sintesi del timidilato, catabolismo dell'istidina e sintesi delle purine.

Per comprendere la patogenesi delle anemie macromegaloblastiche è necessario ricordare alcuni aspetti nutrizionali della cobalamina e dei folati. La vit. Bl2, a differenza delle altre vitamine del gruppo B. non è sintetizzata dai vegetali, ma solo da microorganismi. Ne sono quindi ricchi il suolo e l'acqua, e in alcuni animali trae origine da batteri intestinali. Nell'uomo la sintesi batterica gastrointestinale avviene in tratti in cui la vitamina non è assorbibile e pertanto il fabbisogno di cobalamina è coperto esclusivamente da fonti alimentari. Gli alimenti che la contengono sono solo quelli di origine animale (fegato, carne, pesce, uova, latte).

La vit.Bl2 introdotta con gli alimenti ("fattore estrinseco") viene assorbita elettivamente attraverso i microvilli dell'ileo terminale tramite eventi complessi. Infatti nello stomaco la vit. Bl2 si lega ad una classe di proteine (chiamate proteine-R per la loro rapida mobilità elettroforetica) che la trasportano al duodeno, ove torna libera. Qui avviene il legame fra la componente benzimidazolo-nucleotide della cobalamina ed una glicoproteina ("fattore intrinseco") prodotta dalle cellule parietali della mucosa gastrica. Così legata la vit. Bl2 viene protetta dall'attività degradativa degli enzimi digestivi fino all'intestino ove esistono recettori specifici per il "fattore intrinseco" che ne consentono l'assorbimento. Nel plasma la cobalamina viene legata a tre proteine vettrici (transcobalamina I, II, III) che pur con proprietà diverse convogliano la vitamina a tutto l'organismo; l'immagazzinamento principale avviene nel fegato (che normalmente ne contiene 5 mg). Il fabbisogno giornaliero di cobalamina è di 2-2,5 micro g.

Pure i folati sono di esclusiva origine alimentare, in forma di pteroilpoliglutammati. L'assorbimento intestinale (nel digiuno e nel tratto prossimale dell'ileo) è facilitato da una "coniugasi" che idrolizza i legami glutammilpeptidici. L'acido folico è poi trasformato nell'organismo nella forma attiva (FH4). Il fabbisogno alimentare di folati è di 0,4 mg pro die, il che comporta un assorbimento intestinale di circa 50 micro g.

Appare evidente che una carenza di cobalamina o di folati potrà conseguire a deficienze alimentari o a difetto dell'assorbimento delle due vitamine o ad anomalie del trasporto della vit. B12 o della sua possibilità di essere adeguatamente immagazzinata nel fegato.

Una deplezione di vit. B12, tale da implicare segni biochimici e poi clinici di avitaminosi, richiede sempre l'esaurimento delle scorte epatiche di cobalamina, che si completa in circa 5 anni.

Le riserve di folati nell'organismo sono invece più scarse di quelle della vit. B12 e vengono deplete nel corso di pochi mesi.

Alla carenza di vit. B12 e di folati conseguono:

1)Alterazione della cinetica cellulare per sintesi sbilanciata degli acidi nucleici con insufficiente replicazione del DNA, ma normale sintesi di RNA e proteine. Ne è causa la ridotta sintesi di timidina monofosfato, precursore del DNA, che oltre a compromettere la sintesi dell'acido nucleico, provoca despiralizzazione cromosomica. L'attività proliferativa della cellula si riduce per allungamento del tempo di sintesi e del periodo intercinetico totale, il che consente alla cellula di realizzare un minor numero di divisioni mitotiche nel corso del ciclo maturativo e di raggiungere un volume superiore alla norma (macrocitosi).

2)Alterazioni metaboliche delle cellule nervose (limitatamente agli stati di carenza cobalaminica). La neuropatia da carenza di vit. B12, dovuta a demielinizzazione del neurone, ha una patogenesi non certa. Il blocco della reazione omocisteina-metionina priverebbe il tessuto nervoso di una sostanza essenziale per le reazioni di metilazione a livello della sintesi della mielina.   È stato pure ipotizzato che il danno mielinico possa essere dovuto alla inefficace isomerizzazione del malonil-CoA a succinil-CoA.

La neuropatia da carenza di folati è rarissima. Grandi quantità di acido folico sono presenti nel sistema nervoso e ciò impedirebbe la deplezione dei folati a questo livello.

Negli stati di carenza cobalaminica la macrocitosi assume, soprattutto negli eritroblasti, morfologia peculiare, essendo l'ingrandimento diametrico delle cellule congiunto ad una particolare ampiezza del citoplasma e ad una caratteristica finezza dell'intreccio della rete cromatinica nucleare: pertanto in tali casi si parla di megaloblastosi piuttosto che di semplice maao~lastosi eritroblastica (che è più tipica delle carenze foliche). Così pure gli eritrociti derivati dai megaloblasti non solo hanno volume superiore alla norma (macrociti), ma anche forma leggermente ovale invece che rotonda, per cui vengono indicati come megalociti. La distinzione fra megalo- e macrocitosi tuttavia non sempre è netta e non può assurgere a criterio diagnostico nei confronti del fattore vitaminico carente.

 

La macro-megaloblastosi eritroblastica è un fenomeno morfologico così saliente in questo gruppo di affezioni da essere caratterizzante e si parla pertanto di anemie megaloblastiche.

Malgrado il rallentamento di molte sue attività metaboliche, il megaloblasto si divide e si può anche supporre che un maggior numero di cellule staminali venga "commissionato" in senso eritroide: il midollo osseo degli stati di carenza cobalaminica e della maggior parte di quelli da carenza folica (fanno eccezione in particolare le anemie da farmaci anti-folici) presenta infatti iperplasia eritroblastica. A ciò si contrappone tuttavia una scarsa formazione di eritrociti, sia in conseguenza del minor numero di divisioni mitotiche, sia per la distruzione precoce degli eritroblasti ed eritrociti del midollo osseo stesso: si realizza così una tipica situazione di eritropoiesi inefficace, che può coinvolgerefino al 90% degli eritroblasti. La sua dimostrazione deriva da studi cinetici e da rilievi biochimici. La clearance plasmatica del radioferro è accelerata, il turnover del ferro plasmatico è aumentato fino a 5-10 volte il normale, e l'incorporazione eritrocitaria del radioferro è fortemente diminuita. Vi è aumento della escrezione fecale del bilinogeno, che per il 40% non deriva dal catabolismo degli eritrociti circolanti, e vi è un aumento della produzione di bilirubina precocemente marcata dopo iniezione di glicina radioattiva. I rilievi biochimici della eritropoiesi inefficace consistono nell'aumento nel siero di alcuni enzimi cellulari quali la LDH1 e la fosfoesosoisomerasi. Il difetto qualitativo della eritropoiesi è presente anche nel compartimento delle cellule circolanti: gli eritrociti hanno durata di vita ridotta e questa componente emolitica contribuisce all'aumento del tasso di bilirubina indiretta (fino a 3 mg/dl).

Granuloblasti e megacariociti e le cellule che ne derivano palesano pure anomalie morfologiche (macrocitosi, polisegmentazione nucleare) ascrivibili alle stesse anomalie metaboliche e funzionali descritte per la serie eritroide; esistono quindi anche granulocitopenia e piastrinopenia.

L'anomalia della DNA-sintesi interessa verosimilmente tutte le cellule proliferanti dell'organismo: la macrocitosi è ben evidente negli epiteli del cavo orale e della mucosa gastrica. La ridotta attività proliferativa è responsabile, infine, dell'insorgenza dell'atrofia della mucosa linguale e probabilmente, almeno in parte, di quella della mucosa gastrica.

La classificazione etiopatogenetica delle anemie macro-megaloblastiche è riportata nella tab.05x. A seconda che sia carente l'uno o l'altro dei fattori vitaminici antimegaloblastici si distinguono due grandi gruppi (ma vi sono forme a carenza mista); ognuno è diviso in varie sezioni, in rapporto al meccanismo di insorgenza dello stato carenziale. Un terzo gruppo comprende infine le megaloblastosi dismetaboliche non dovute a carenza di cobalamina o di folati. Tale classificazione è particolarmente utile ai fini terapeutici.

Ai fini diagnostici può essere seguita un'altra classificazione, che suddivide le anemie macro-megaloblastiche in forme idiopatiche ed essenziali (anemia perniciosa di Addison-Biermer; orotico aciduria ereditaria) e nel vasto ed eterogeneo gruppo delle anemie maao-megalocitiche perniciosiformi, in rapporto a fattori causali noti o ad una malattia di base.

  È ovvio che le diverse etiopatogenesi e la presenza o meno di una malattia di base condizionano il quadro clinico ed in parte quello ematologico delle anemie macro-megaloblastiche, che possono esprimersi con fenomenologie diverse.

Nelle seguenti pagine saranno ricordati solo i quadri clinico-ematologici più importanti.

 

 

QUADRI CLINICO-EMATOLOGICI DA CARENZA DI COBALAMINA

 

a)Deficienze alimentari. - Possono insorgere solo nei vegetariani stretti e talora nel lattante sotto-alimentato; il quadro clinico-ematologico è simile a quello dell'anemia perniciosa biermeriana (v. oltre).

b)Compromissione dell'assorbimento intestinale. - Di tale gruppo il classico prototipo è l'anemia perniciosa essenziale di Addison-Biermer, oggi piuttosto rara in Italia dato il largo uso ed abuso di vitamina B12 somministrata parenteralmente per le più varie indicazioni.

L'emopatia è dovuta a carenza di "fattore intrinseco". Questa situazione, in rari casi, può essere presente già in età giovanile ed appare allora quale anomalia congenita clinicamente manifesta solo nello stato omozigote. Esaurite le scorte di vit. B12 accumulate durante la gravidanza, nel corso di 2-3 anni insorge l'anemia.

Di gran lunga più frequenti sono le forme insorgenti nell'adulto o nella senilità. Una certa predilezione etnica per le popolazioni europee nord-occidentali, la non rara familiarità e l'associazione con gli aplotipi HLA A2, A3, B7 e B12 denotano un possibile sfondo genetico. Evento di basilare importanza è certamente la grave atrofia della mucosa gastrica con achilia completa: questa appare legata, a sua volta, alla presenza in tali soggetti di anticorpi anti-mucosa gastrica o anti-cellule parietali o anti-fattore intrinseco.

L'ipotesi autoimmune è confortata da dati clinici e di laboratorio. L'atrofia della mucosa gastrica è contraddistinta da un cospicuo infiltrato di cellule linfatiche e plasmacellule; la malattia si associa frequentemente a condizioni di sicura patogenesi autoimmune (tireotossicosi, tiroidite, iposurrenalismo, pemfigo, vitiligo); inoltre è frequente il riscontro di anticorpi contro altri organi o tessuti (anticorpi anti-tiroide).   È possibile, ma non del tutto accertato, che tale fenomeno autoimmune sia all'origine di tutto l'evento morboso, potendo la stessa atrofia gastrica essere interpretata quale esito di una gastropatia arigenerativa da carenza cobalaminica.

L'inizio della malattia è assai subdolo. Nel periodo di stato la sintomatologia è poliedrica ma costante nei suoi segni: cute pallida e subitterica (colore di cera vecchia), glossite atrofica, disturbi digestivi legati all'achilia completa, modesta epatosplenomegalia, segni di insufficienza cardiaca e di stenocardia (da ipossiemia), presenza di turbe psichiche (stato confusionale, manifestazioni paranoidi) e neurologiche, dovute queste ultime a lesioni degenerative dei cordoni laterali e posteriori del midollo spinale (più raramente sono interessate altre sedi) con quadri simil-tabetici e talora paraplegici o a tipo di lesione spinale trasversa.

L'anemia è di tipo megalocitico arigenerativo e può toccare limiti di estrema gravità: esistono leuco- e piastrinopenia.

Il midollo osseo è ricco di cellule, con iperplasia eritroblastica di tipo megaloblastico e prevalenza di elementi immaturi o semimaturi.

La sideremia è elevata ed evidenti sono i segni di eritropoiesi inefficace.

La diagnosi di carenza cobalaminica si avvale dei rilievi clinico-ematologici e di reperti biochimici. La diagnosi di certezza deriva dalla dimostrazione di un ridotto livello di vit. B12 nel siero e dalla aumentata escrezione urinaria di acido metilmalonico (per la mancata conversione in succinil-CoA), dall'alterazione dell'assorbimento intestinale della vitamina (test di Schilling) e dall'alterazione del test di soppressione con desossiuridina. Quest'ultimo si basa sull'osservazione che la incorporazione di timidina radioattiva nel DNA di cellule midollari normali è soppressa quando queste cellule sono preincubate con desossiuridina: la mancata soppressione è significativa di carenza cobalaminica. Il test che da solo consente la diagnosi di carenza di vit. B12 è il dosaggio della concentrazione sierica della vit. B12, attualmente ottenibile con metodi radioimmunologici.

 

Un tempo a prognosi infausta, la malattia può oggi essere facilmente corretta (tranne che per alcune manifestazioni neurologiche) con la somministrazione parenterale di piccole dosi di vit. B12 (200 micro g a giorni alterni, ripetute per 6-8 volte). La terapia di mantenimento deve durare tutta la vita e consiste nella somministrazione intramuscolo di 500, ug di vit. B12 ogni 3 mesi. Può essere utile talora l'impiego dei cortisonici allo scopo di influire sui fenomeni autoimmuni dimostrabili in molti casi di anemia perniciosa.

Quadri simili a quelli della anemia di Addison-Biermer possono essere rinvenuti nelle altre condizioni elencate nella tab.05x (punti 1/B), in cui è compromesso l'assorbimento intestinale di vit. B12.

 

 

QUADRI CLINICO-EMATOLOGICI DA CARENZA FOLICA

 

I reperti ematologici sono simili a quelli delle anemie da carenza cobalaminica: la pancitopenia è tuttavia in genere meno grave e minore è l'iperplasia degli eritroblasti, che hanno caratteristiche più di macroblasti che di megaloblasti. Non è raro che nelle carenze alimentari di folati ed anche in quelle da difettoso assorbimento (e tipicamente nella sprue) siano in atto carenze multiple, di folati, di cobalamina ed anche di ferro. Sicché l'anemia, invece che francamente macrocitica risulta talora normocitica per il coesistere di due popolazioni eritrocitarie (anemie dimorfe).

La diagnosi riposa sui rilievi clinicoematologici e sui reperti biochimici, che nelle forme pure di carenza folica dimostrano normalità o modesta riduzione del tasso ematico di vit. B12, assenza di compromissione del test di Schilling e invece costantemente ridotta attività folica del siero ed elevata escrezione urinaria di acido formiminoglutammico (FIGlu), quale espressione di una ridotta conversione di istidina in glutammato per deficiente rigenerazione del tetraidrofolato.

La terapia delle carenze foliche consiste nella somministrazione per bocca o per via parenterale di acido folico a un dosaggio di 1-5 mg al giorno.

 

 

FORME RARE DI CARENZA COBALAMINICA E MEGALOBLASTOSI DA BLOCCO DI DNA-SINTESI VITAMINICO-INDIPENDENTI

 

Accenniamo solo alla rara anemia megaloblastica tipo Imerslund (emopatia familiare di tipo anemico pernicioso, manifesta già nell'infanzia e dovuta, almeno in alcuni casi, alla deficienza dei recettori intestinali per il "fattore intrinseco") ed alla eccezionale anemia megaloblastica da deficienza congenita della transcobalamina II.

Rara ed assai interessante è l'orotico acidurza ereditaria, anomalia ereditaria del metabolismo della pirimidina (blocco della conversione dell'acido orotico in uridin-5-fosfato), trasmessa come carattere autosomico dominante. Comporta una anemia tipicamente megaloblastica.

Va fatta menzione delle anemie megaloblastiche da farmaci in cui possono essere in giuoco antiepilettici (difenilidantoina), barbiturici, nitrofurantoina, ad azione antifolica. Tipica è la megaloblastosi da aminopterina e da metotrexate, che ostacolano la conversione dei folati inattivi in FH4 inibendo la diidrofolicoreduttasi. In queste condizioni la terapia con folato è inefficace perché la mancanza di folato-reduttasi non permette la trasformazione nella sua forma attiva e viene usato l'acido folinico (N5-formilFH4) alla dose di 3-6 mg/die im. Anche altri citostatici antitumorali (azauridina, 5-fluoruracile, 6-mercaptopurina, citosina arabinoside, idrossiurea), in vario modo inibendo la sintesi del DNA, possono provocare insorgenza di megaloblastosi midollare e di anemia macrocitica.

 

 

Anemie da alterazioni del compartimento maturativo

 

Il compartimento maturativo degli eritroblasti comprende tutte le fasi di trasformazione delle cellule nucleate (dotate di molteplici capacità sintetiche quali globina, profirine, eme, e degli organuli cellulari a ciò preposti, quali mitocondri, apparato ribosomiale ecc.) in eritrociti, cellule anucleate e prive di organuli cellulari, a struttura estremamente semplificata ma ottimale al fine del trasporto di ossigeno che è loro peculiare. Evento biochimico fondamentale della maturazione eritroblastica è la sintesi di emoglobina: attraverso distinte linee biosintetiche quantitativamente ben bilanciate hanno luogo la sintesi della protoporfirina IX e delle catene polipeptidiche della globina; in presenza di opportune quantità di ferro liberamente disponibile nel citoplasma eritroblastico si giunge alla fine alla sintesi dell'eme e della molecola completa di emoglobina.

  È evidente che si tratta di processi biosintetici complessi, le cui tappe evolutive possono essere alterate in molteplici punti e per cause varie: in ogni caso ad una lesione delle predette biosintesi consegue una diminuita formazione di emoglobina.

Una classificazione alquanto schematica delle anemie da alterazioni del compartimento maturativo può contemplare tre gruppi principali, a seconda che la ridotta emoglobinosintesi sia imputabile ad alterazioni del metabolismo marziale, ad alterazioni della sintesi delle porfirine e dell'eme, ad alterazioni quantitative della sintesi della globina.

Caratteristica comune a tutti questi eventi è l'insorgenza di anemia microcitica ipocromica. Il midollo osseo mostra nella maggior parte dei casi iperplasia degli eritroblasti, soprattutto di quelli appartenenti agli stadi immaturi o semimaturi.

In questo capitolo tratteremo solo delle alterazioni del metabolismo del ferro e della sintesi dell'eme. Ne escludiamo le anemie da alterazione della sintesi della globina, che riconoscono momenti patogenetici complessi e plurimi in cui l'emolisi rappresenta spesso l'evento dominante dal punto di vista fisiopatologico e clinico. In quest'ambito si identificano due gruppi principali di anemie: le alterazioni strutturali della globina (emoglobinopatie propriamente dette) e le alterazioni quantitative della sintesi delle catene globiniche (sindromi talassemiche).

 

 

ANEMIE IPOCROMICHE IPOSIDEREMICHE

 

La maggior parte delle anemie da compromissione del compartimento maturativo è riconducibile ad una scarsa disponibilità di ferro per la sintesi dell'emoglobina. La tab.06x propone una classificazione etiopatogenetica di queste forme.

  È noto che il ferro viene introdotto con gli alimenti sotto due forme: ferro eminico (ferro prevalentemente contenuto nella carne) che viene assorbito come tale, e ferro non eminico che, trasformato in ferro ionizzato bivalente nell'ambiente acido e in presenza di sostanze riducenti dello stomaco, viene legato a sostanze chelanti. L'assorbimento avviene ad opera degli epiteli apicali dei villi del tratto prossimale del tenue. Nell'interno delle cellule della mucosa, il ferro viene trasformato in ferro trivalente, legato ad una proteina di trasporto molto simile alla transferrina plasmatica e quindi dismesso nel torrente circolatorio. Anche nella cellula della mucosa intestinale, come in tutte le cellule dell'organismo, esiste un pool di ferro di deposito (ferro ferritinico) la cui dimensione sembrerebbe regolare l'assorbimento intestinale del ferro.

Il ferro legato alla transferrina circolante nel plasma viene trasportato agli eritroblasti e a tutte le cellule in cui vengono sintetizzate proteine eminiche (catalasi, citocromo-ossidasi, citocromi). Il ferro entrato negli eritroblasti viene incorporato nell'emoglobina, e per emolisi o per eritropoiesi inefficace rilasciato poi quale prodotto del catabolismo dell'emoglobina alle cellule del sistema monocitomacrofagico, dove in forma soprattutto di ferritina ed emosiderina costituisce il ferro di deposito e il pool labile di riserva marziale, da cui può essere facilmente mobilizzato per le richieste dell'eritropoiesi.

 

Il pool di ferro ferritinico ed emosiderinico delle cellule epatiche costituisce infine la parte predominante del pool di riserva del ferro parenchimale.

Una volta entrato nel circolo interno, il metallo viene perduto dall'organismo solo in piccole quantità (1 mg/die) in condizioni fisiologiche. Le perdite avvengono con gli epiteli desquamanti (cute, tubo digerente, rene) e, nella donna, con il sangue mestruale, la gravidanza, l'allattamento. Per quanto il circolo chiuso del ferro sia una realtà fisiologica, è necessario un continuo appor to di ferro con gli alimenti per bilanciare le pur piccole perdite fisiologiche. Poiché di regola l'assorbimento non supera il 10% del ferro introdotto, il fabbisogno alimentare del metallo è di circa 15-20 mg/die, ed è un po' più elevato nei bambini, negli adolescenti e nella donna in età fertile che nel maschio adulto.

La valutazione delle condizioni iposideremiche si basa sui seguenti accertamenti:

a)Indici eritrocitari. La carenza di ferro è tipicamente caratterizzata da ipocromia e microcitosi delle emazie. Tale caratteristica morfologica è comune tuttavia a tutti i disturbi della sintesi emoglobinica (talassemie, anemie sideroblastiche, intossicazione da piombo).

b)Sideremia, capacità totale legante il ferro (TIBC-total iron binding capacity) e saturazione della transferrina. Nel soggetto normale la sideremia varia da 120+30 micro g/dl al mattino a 80+30 micro g/dl alla sera. Valori inferiori a 60 micro g/dl sono considerati patologici (iposideremia). Si riscontrano sia nella carenza di ferro sia nella anemia da malattia cronica. La transferrina sierica può essere dosata con metodi radioimmunologici quale proteina (1,60-2,90 g/l) ma usualmente la si valuta come quantità totale di ferro che è capace di legare (TIBC): il valore medio normale è di 300 micro g/dl, equivalente a 56 micro mol/L La transferrina viene sintetizzata nelle cellule epatiche in misura inversamente proporzionale al contenuto epatocitario di ferro. Una transferrinemia bassa con TIBC elevata (superiore a 350 micro g/dl) significa diminuzione del contenuto corporeo del ferro (sideropenia). La saturazione percentuale della transferrina (sideremia 100/TIBC; valore normale medio 30%) è il parametro più importante per la valutazione della capacità di trasporto del ferro ai tessuti. Una saturazione inferiore al 15 % indica con certezza un trasporto diminuito.

c)Protoporfirina libera eritrocitaria. Un'aumentata quota di protoporfirina IX non legata al ferro nell'interno del globulo rosso è indice di disturbo biosintetico dell'eme e può essere utilizzata come indice di carenza marziale.

d)Ferritina sierica. La ferritina, proteina di deposito tipicamente tessutale, circola in quantità minime nel siero del soggetto normale (15-250 micro g/l). Le sue variazioni si sono dimostrate espressione fedele delle riserve del ferro corporeo, specialmente per la sideropenia. Una ferritina sierica inferiore a 10 micro g/l è sicura espressione di carenza marziale.

e)Ferro colorabile nel midollo. La colorazione specifica per il ferro (blu di Prussia) delle cellule midollari, permette una visualizzazione e quantificazione del ferro emosiderinico presente nei macrofagi e negli eritroblasti (sideroblasti) del midollo. Nella carenza marziale si riduce il numero di sideroblasti e scompare il ferro macrofagico.

 

Numerose sono le possibili cause di iposideremia e molteplici i meccanismi patogenetici.

1)  È ovvio che la causa più semplice, ed anche la più frequente, di alterazione del metabolismo marziale sia la carenza attuale del metallo. A questa situazione potranno condurre:

-le carenze alimentari di ferro, riconoscibili nel nostro Paese come cofattore importante ma non quale evento principale;

-le perdite protratte di sangue, per emorroidi, ipermenorrea, malattia ulcerosa, gastroduodenite, ernia diaframmatica dello stomaco, anchilostomiasi, tumori emorragipari (tubo digerente, rene), emosiderosi idiopatica isolata del polmone, ecc.

-il malassorbimento intestinale per interventi chirurgici demolitori sullo stomaco e il tenue, fistole gastrocoliche, stenosi digiunale, steatorrea idiopatica.

La carenza marziale è un evento che si instaura lentamente e ne possono essere riconosciute tre fasi:

a)carenza marziale semplice o prelatente: vi è diminuzione delle riserve di ferro ma eritropoiesi normale; è svelata solo dalla diminuzione della ferritina sierica e della sideremia;

b)eritropoiesi sideropenica senza anemia, o carenza marziale latente: è dovuta a diminuzione della saturazione della transferrina e si presenta con alterazioni morfologiche della eritropoiesi (ipocromia e microcitosi);

c)anemia sideropentca: la severità dell'anemia dipende dalla gravità e dalla durata della sideropenia. La sintomatologia soggettiva della anemia compare solo a valori di Hb inferiori a 10 g/dl, poiché a valori superiori sono attivi i meccanismi di compenso del trasporto di ossigeno ai tessuti.

Il quadro clinico comporta non solo i segni e sintomi dello stato anemico, ma pure quelli inerenti agli effetti tessutali della carenza marziale con le note alterazioni ungueali (coilonichia) e dei peli, le ragadi alle commessure labiali, l'atrofia papillare della lingua, l'achilia, la disfagia da ulcerazioni e spasmi esofagei (sindrome di Plummer-Vinson), le alterazioni psichiche (irritabilità, abnorme compulsione al cibo, mutevolezza dell'umore).

Tutti i segni dello stato carenziale si risolvono con la somministrazione di ferro per os o, nei casi con documentato malassorbimento intestinale del metallo, per via parenterale, prolungata ben oltre la normalizzazione del quadro ematico onde ricostituire il pool del ferro di riserva. Un buon indice per monitorare la ricostituzione delle riserve corporee di ferro durante la terapia marziale è il dosaggio della ferritina sierica.

2)Un quadro ematologico in parte analogo può insorgere attraverso un meccanismo diverso, cioè a causa di una ridotta disponibilità per l'eritropoiesi del ferro di deposito monocito-macrofagico (anemia iposideremica da emosiderosi macroiagica, o anemia da malattia cronica).   È quanto si osserva in molte malattie infettive, nell'artrite reumatoide, in molti tumori maligni. Si ritiene che in tali situazioni sia diminuita la capacità dei macrofagi di rilasciare il ferro al plasma (sideropessi macrofagica).

Vari sono i meccanismi patogenetici, ma il principale risiede certamente nella aumentata sintesi di apoferritina nelle cellule del sistema monocito-macrofagico.   È stata pure dimostrata una aumentata sintesi di lattoferrina da parte dei neutrofili: la lattoferrina entrerebbe in competizione con la transferrina a livello della cellula macrofagica per la captazione del ferro dismesso verso il plasma; la captazione della lattoferrina da parte dei macrofogi comporta la restituzione del ferro dismesso. Mediatore dell'alterazione del metabolismo del ferro sembra essere un fattore prodotto dalle cellule fagocitarie stesse, chiamato mediatore endogeno leucocitario (LEM) o interleuchina-1 (IL-1) che aumenterebbe sia la sintesi della lattoferrina che di ferritina.

 

Nell'anemia da malattia cronica la anemia è modesta, la sideremia e la saturazione percentuale della transferrina sono basse, normale o bassa la TIBC e aumentata è la ferritina sierica. Questi due parametri consentono la diagnosi differenziale con l'anemia sideropenica.

 

3)Una carenza di transferrina può essere di per sé causa di anemia iposideremica.  È quanto si osserva nella eccezionale atransferrinemia congenita, ma anche nel corso di numerose malattie in cui vi è deficiente sintesi di questa beta-globulina (infezioni, epatopatie) oppure sua aumentata degradazione (infezioni, tumori, collagenosi ecc.) od anche sua perdita all'esterno (nefrosi, enteropatia essudativa).

 

4)Una condizione particolare di carente disponibilità del metallo è infine rappresentata dalla rarissima anemia ipocromica microcitica descritta in bambini da Shabidi, Nathan e Diamond, in cui esistono ipersideremia, ipersiderosi degli epatociti ed assenza di ferro nei macrofagi midollari; si presume che esista in tali casi un difetto nel processo di rofeocitosi che consente il passaggio di ferro tra macrofagi, trasferrina ed eritroblasti.

 

 

ANEMIA DA ALTERAZIONI DELLA SINTESI DELLE PORFIRINE E DELL'EME

 

Porfirie

 

Come noto, la sintesi delle porfirine ha luogo (negli eritroblasti e negli epatociti in primo luogo) sotto il controllo di enzimi citoplasmatici e mitocondriali a partire da succinil COA e da glicina attivata dal piridossal-fosfato. Per intervento di una aminolevulinico (ALA) sintetasi si forma dapprima delta-ALA e quindi (catalizzato da una ALA- deidrasi) porfobilinogeno (PBG), monopirrolo da cui originano i tetrapirroli uro- e coproporfirinogeno (I e III). Per ossidazione e decarbossilazione del copropor-firinogeno III si ha protoporfirina IX in cui viene inserito Fe bivalente ad opera di una eme-sintetasi, sicché si forma l'eme.

Difetti enzimatici della catena biosintetica dell'eme, quasi sempre su base genetica ed ereditaria, portano all'insorgenza di quadri morbosi, noti come porfirie, caratterizzati da eccessiva produzione ed escrezione di porfirine e di loro precursori. Di queste solo la porfiria eritropoietica congenita e in minor misura la protoporfiria eritropoietica si associano ad anemia.

 

Porfiria eritropoietica congenita (CEP, malattia di Gunther). -   È una forma molto rara di porfiria dovuta a carenza di uroporfirinogeno III- cosintetasi per mutazione dello specifico gene strutturale (disordine autosomico recessivo). Il quadro clinico è rappresentato da lesioni cutanee da fotosensibilizzazione (fragilità, irsutismo, discromie, lesioni similsderodermiche) e da disturbi ematologici.

L'anemia è un aspetto clinico significativo nella maggior parte dei pazienti. L'anemia è dovuta sia alla eritropoiesi inefficace che ad emolisi periferica. L'unico mezzo sicuro per non incorrere in mutilazioni e fotosensibilità è evitare la luce del sole. La splenectomia può contribuire a ridurre l'emolisi e quindi la stimolazione del midollo. Le trasfusioni di sangue sono utili per diminuire la produzione di porfirine inibendo l'attività del midollo osseo. Un altro approccio terapeutico è quello di legare le porfirine escrete nel lume intestinale mediante assorbenti come il charcoal e la colestiramina, ritardandone così l'assorbimento.

 

Protoporfiria eritropoietica (protoporfiria eritro-epatica). - Più frequente della porfiria eritropoietica congenita, la protoporfiria eritropoietica (EPP), detta anche protoporfiria eritro-epatica, è un disordine ereditato quale carattere autosomico dominante ed è caratterizzato da spiccata riduzione della ferrochelatasi e da aumentata concentrazione della protoporfirina libera nel midollo osseo, negli eritrociti circolanti, nel plasma, nel fegato, nella bile e nelle feci. Si manifesta già nell'infanzia con lesioni cutanee da fotosensibilizzazione, complicanze epatobiliari (fino alla insufficienza epatica conclamata), colelitiasi (calcoli ricchi di protoporfirina). Si osserva talora modesta anemia micro citica ipocromica, usualmente anemolitica, associata a presenza di fluorescenza alla luce di Wood delle cellule eritroidi (soprattutto dei reticolociti). La somministrazione prolungata di P-carotene (120-180 mg/die) e di colestiramina può produrre un certo effetto benefico. La splenectomia è indicata nei casi splenomegalici con ipermeolisi.

 

 

Anemie sideroblastiche

 

Hanno maggior rilevanza ematologica delle porfirie. Trattasi di condizioni diverse per etiopatogenesi, disordini metabolici e quadro clinico, con un comune denominatore, rappresentato dalla presenza nel midollo osseo di elevata quantità, variabile dal 30 al 90 %, di sideroblasti ad anello, cioè di eritroblasti midollari in cui le reazioni citochimiche per l'emosiderina (Perls) mettono in evidenza numerosi granuli colorati disposti a corona attorno al nucleo. Tale reperto morfologico è indice di un accumulo di ferro nei mitocondri e va distinto da quello presente nei sideroblasti normali o di tipo intermedio, nei quali il ferro colorabile è costituito da ammassi di ferritina ed emosiderina intracitoplasmatica non mitocondriale. Altra caratteristica comune di questo gruppo di emopatie è la presenza di una popolazione di eritrociti ipocromici e microcitici nel sangue periferico, che in alcuni casi comporta spiccata microcitosi e in altri presenza di una popolazione dimorfica di cellale circolanti.

L'eterogeneo gruppo delle anemie sideroblastiche comprende forme ereditarie e forme acquisite, la cui classificazione può essere proposta solo come tentativo del tutto provvisorio (tab.07x). In non poche tra le forme acquisite, il riscontro di sideroblasti può essere considerato accessorio rispetto ad altri e predominati fenomeni, che meglio definiscono il quadro morboso.

Considereremo fra le anemie sideroblastiche solo le forme più frequenti e tipiche.

 

Anemia sideroblastica ereditaria. -  È un disordine che colpisce per lo più i maschi ed è ereditata solitamente quale trait recessivo legato al sesso (X-linked) con mosaicismo nelle femmine sulla base di una inattivazione del cromosoma X. In un solo gruppo familiare potè essere sospettata una eredità autosomica. L'anemia, presente alla nascita o comunque a comparsa precoce, è di solito grave e di tipo ipocromico microcitico con spiccata anisopoichilocitosi. Nel midollo si osserva iperplasia normoeritroblastica.

Esistono ipersideremia, iperferritinemia e ipersiderosi tissutale. Si documenta spesso epatosplenomegalia. L'accumulo di ferro, dovuto ad assorbimento marziale secondario all'aumento della eritropoiesi ed alla terapia transfusionale, è proporzionale all'anemia e all'età del paziente. Le indagini di ferrocinetica rivelano eritropoiesi inefficace.

In un terzo di pazienti è rinvenibile una eliminazione urinaria abnormemente elevata di acido xanturenico o chinurenico dopo carico orale di triptofano, il che è stato interpretato quale indice di deficienza o di anomalo metabolismo della vit. B6. Il contenuto eritrocitario di protoporfirina libera è basso, quello di coproporfirina è normale o elevato. E' presumibile che il difetto ereditario interessi l'attività della ALA-sintetasi o forse, in qualche caso, quella coproporfirinogeno-ossidasi.

 

In molti casi è evidente l'effetto normalizzatore della piridossina ("anemia piridossino-sensibile"): in tali pazienti la prognosi è buona. Gli altri hanno un fabbisogno trasfusionale elevato e vanno incontro alle complicazioni del sovraccarico marziale.   È indicata la terapia ferrochelante fin dai primi anni di vita.

 

Anemia sideroblastica idiopatica acquisita (ASIA).-  È un disordine raro, acquisito, ad etiologia e patogenesi sconosciute. Sono stati ipotizzati difetti enzimatici della sintesi dell'eme, in particolare difetto di eme-sintetasi, oppure difetti del metabolismo del ferro intramitocondriale con secondario disturbo della sintesi dell'eme.

Ne sono colpiti soggetti anziani, che presentano anemia macrocitica ipocromica a carattere dimorfico, ad insorgenza insidiosa, con midollo iperplastico e presenza di sideroblasti anche negli stadi più immaturi, aumento della sideremia e della ferritinemia, siderosi dei macrofagi midollari e aumento della protoporfirina libera eritrocitaria.

Sono state descritte due varianti della ASIA. La presenza, accanto ai reperti di diseritropoiesi, di figure displastiche a carico della serie granuloblastica (ipogranulazione e iposegmentazione dei neurofili) e megacarioblastica (micromegacariociti), individua la "anemia refrattaria con szderoblastiad anello", che va distinta dalla "anemia sideroblastica pura" in cui il sovvertimento maturativo è limitato alla linea eritropoietica. La trasformazione leucemica e la presenza di aberrazioni cromosomiche sarebbero distintive della prima variante, che ha pure prognosi più severa. La sopravvivenza a 5 anni è infatti del 19% nella prima e del 69% nella seconda. La causa di morte più frequente nella seconda variante è lo scompenso cardiaco refrattario alla terapia digitalica. Per la sua natura di malattia disemopoetica e preleucemica la ASIA è stata dal comitato FAB inclusa nelle sindromi mielodisplastiche.

 

Anemie sideroblastiche acquisite "secondarie" o sintomatiche. - Sideroblastosi anche notevole può essere osservata in associazione a svariate malattie o imputata all'azione di farmaci o tossici. La diagnosi viene posta in base al rilievo di anemia ipocromica con sideroblastosi midollare, ipersideremia, siderositissutale ed eritropoiesi inefficace. Tipiche di questo gruppo sono le anemie degli alcolisti cronici, dei pazienti trattati con isoniazide o cicloserina o pirazinamide per malattia tubercolare, e soprattutto quelle associate a saturnismo cronico.

In quest'ultimo caso possono essere particolarmente evidenti fenomeni di punteggiatura basofila delle emazie (per aggregazione dei ribosomi), l'aumento di ALA e di protoporfirina libera negli eritrociti (che presentano fluorescenza primaria alla luce di Wood), l'elevata eliminazione urinaria di ALA, copro- e talora di uroprofine, con livelli normali di porfobilinogeno (il che distingue il saturnismo dalla porfiria acuta intermittente). E' probabile che il piombo inibisca la biosintesi dell'eme a vari livelli (trasformazione di ALA in PBG, di copro- in pro-porfirinogeno, nonchè a livello di eme-sintetasi).

Molte anemie sideroblastiche acquisite secondarie sono sensibili alla piridossina, ma non tutte.

 

 

Anemie rigenerative di natura complessa

 

ANEMIE DISERITROPOIETICHE CONGENITE (CDA)

 

Con il nome di anemie diseritropoietiche congenite vengono indicate alcune rare condizioni emopatiche ereditarie, interessanti esclusivamente l'eritropoiesi, caratterizzate da eritropoiesi inefficace e da alterazioni morfologiche degli eritroblasti, che ne costituiscono i caratteri distintivi, probanti ai fini classificatori.

L'anemia, a decorso usualmente cronico, è di entità assai variabile, talora già presente nell'infanzia, altre volte ad insorgenza subdola, sicché diventa clinicamente conclamata solo nell'età adulta e in casi rari nell'età senile.

L'anemia è più spesso normo- o microcitica, talora con caratteristiche simil-talassemiche (spiccata anisopoichilocitosi, presenza di schistociti e di cellule a bersaglio), ma può essere lievemente macrocitica. La reticolocitemia è bassa benché esista iperplasia eritroblastica midollare; l'utilizzazione eritrocitaria del ferro è scarsa malgrado l'aumento del turnover plasmatico del ferro. Esistono iperbilirubinemia indiretta ed aumentata escrezione di bilinogeno fecale. La durata di vita media dei globuli rossi è modestamente ridotta nella maggioranza dei casi, anche se è descritta la possibilità di CDA con le caratteristiche eritrocinetiche dell'iperemolisi. L'espansione dell'eritropoiesi instaura iperassorbimento intestinale di ferro che negli anni provoca siderosi tissutale, clinicamente evidente anche nei casi non sottoposti a terapia trasfusionale.

A seconda del carattere prevalente delle anomalie morfologiche eritroblastiche si distinguono tre tipi principali di CDA, ma sono descritte pure varianti inclassificabili.

1)CDA tipo I. -  È caratterizzata da note di megaloblastosi, immaturità eritroblastica midollare, presenza di eritroblasti (soprattutto policromatici) binucleati o con nucleo multilobato, con ponti internucleari cromatinici, eritrofagocitosi. La trasmissione ereditaria è di tipo autosomico recessivo.

2)CDA tipo II. -  È nota anche con la sigla HEMPAS (Hereditary Erythroblast Multinuclearity with Positive Acidified Serum Test).   È la CDA più frequente, ereditata come carattere autosomico recessivo. Si riscontra epato-splenomegalia. Il 10-40% degli eritroblasti mostra binuclearità o multinuclearità, mitosi pluripolari e carioressi. In queste cellule la sintesi del DNA appare spiccatamente ridotta. Non si osservano tuttavia aspetti megaloblastici. Al microscopio elettronico diagnostica è la presenza di una doppia membrana cellulare costituita da cisterne intracitoplasmatiche.

Gli eritrociti mostrano spiccata emolisi in siero acidificato per la presenza di un antigene membranario anomalo che reagisce con IgM presenti nel 30-40% dei soggetti normali. A differenza di quanto si osserva nella emoglobinuria parossistica notturna, il water-sugar test è negativo.

L'agglutinità delle emazie da parte di sieri anti-i appare nettamente aumentata.

Il difetto molecolare della malattia risiede nella carenza di acetilglucosa-miniltransferasi II. Ne consegue un difetto di glicosilazione della più importante proteina intrinseca della membrana eritrocitaria, la banda 3.

3)CDA tipo III. -  È una eritropatia tipicamente familiare, trasmessa come carattere autosomico dominante. Il 30% degli eritroblasti è multinucleato (fino a 12 nuclei) ed ha grandi dimensioni (gigantoblasti). L'anemia è in genere modesta e comporta solo lievi alterazioni delle emazie (anisopoichilocitosi, schistocitosi, corpi di Jolly).

Il trattamento di queste CDA è trasfusionale nelle forme gravemente anemiche, ferrochelante nelle forme che tendono a sviluppare emosiderosi. La splenectomia può essere presa in considerazione se è documentata una emolisi splenica. In questi casi l'intervento riduce il fabbisogno trasfusionale.

 

 

ANEMIA DELLA INSUFFICIENZA RENALE CRONICA (IRC)

 

 

L'anemia è una manifestazione clinica pressoché costante dei pazienti con insufficienza renale cronica (IRC). La sua gravità è indipendente dall'etiologia della malattia renale e dipende dal grado di insufficienza funzionale del rene. Fa eccezione l'insufficienza renale da rene policistico dove i livelli di emoglobina sono più elevati, a parità di valori iperazotemici, che nelle altre patologie renali. L'anemia è sintomatica in circa la metà dei pazienti, e può essere così severa da richiedere trattamento trasfusionale; è di tipo normocromico e normocitico. Il midollo e il sangue periferico non mostrano alterazioni particolari se si esclude la presenza di emazie spiculate e frammentate nel sangue periferico.

I meccanismi che concorrono alla patogenesi dell'anemia dell'IRC sono: diminuita produzione di eritropoietina a livello renale, riduzione della vita media dei globuli rossi, presenza di inibitori dell'eritropoiesi.

Il più importante di tali fattori è la diminuita produzione di eritropoietina (Epo) da parte del rene. La secrezione di Epo è correlata alla massa renale residua (bassa nei pazienti anefrici e più alta nel rene policistico). Nei pazienti con IRC, i livelli di eritropoietina circolante sono nell'ambito della norma o anche appena al disopra, ma sono inappropriatamente bassi rispetto alla severità dell'anemia. L'inadeguatezza della sintesi di Epo dipende dalla perdita della funzione delle cellule che producono eritropoietina a livello renale, pur persistendo un meccanismo di regolazione della sintesi dell'ormone sensibile al grado di anemia.

Le alterazioni biochimiche eritrocitarie che provocano iperemolisi sono numerose: la più importante è una alterazione della membrana eritrocitaria indotta da perossidazione lipidica ad opera di radicali liberi. Nei pazienti con IRC sono alterati i normali meccanismi protettivi degli eritrociti contro gli stress ossidativi. I livelli di glutatione ridotto (GSH) eritrcitario sono più bassi rispetto a quelli dei globuli rossi normali, e i livelli plasmatici di glutatione ossidato (GSSG) sono più elevati. Questo indica una alterazione della via dello shunt dell'esosomonofosfato deputata, attraverso l'enzima G6PDH, a fornire grandi quantità di NADPH, elemento chiave per la rigenerazione del GSH.

Di minore importanza nella patogenesi dell'anemia dell'IRC sono fattori plasmatici, quali la spermina e l'ormone paratiroideo, che inibiscono l'eritropoiesi.

Nel paziente in trattamento dialitico possono intervenire altri fattori aggravanti l'anemia: carenza di ferro, dovuta ai continui prelievi ematici e alla diatesi emorragica secondaria ad alterazioni funzionali delle piastrine; carenza di folati, dovuta a restrizioni dietetiche e perdite durante la dialisi; osteite fibrosa, secondaria a iperparatiroidismo, che riduce lo spazio midollare; accumulo di alluminio, derivante prevalentemente dal trattamento con farmaci leganti il fosforo che contengono alluminio.

Fino a qualche anno fa il trattamento dell'anemia dell'IRC era basato su androgeni e trasfusioni di globuli rossi, con efficacia incerta ed effetti collaterali indesiderati. Dal 1987 è possibile trattare questi pazienti con eritropoietina umana ricombinante che si è dimostrata in grado di correggere completamente l'anemia. La risposta è dose dipendente e le dosi consigliate sono da 50 a 100 UI/kg somministrate per via endovenosa tre volte alla settimana alla fine della procedura di dialisi. La correzione dell'anemia si ottiene in 3-4 mesi e l'obiettivo della terapia è di raggiungere un Ht non superiore al 35%.

Ad eccezione di qualche disturbo similinfluenzale in una minoranza di pazienti, l'impiego dell'eritropoietina ricombinante non provoca effetti collaterali legati al farmaco. Sono note invece complicanze della terapia legate al risultato terapeutico di aumento dell'ematocrito: trombosi della fistola artero-venosa della dialisi e crisi ipertensive.

 

 

Letture consigliate

 

Barosi G.: Il ferro: fisiopatologia e clinica. Edizioni Mediche Italiane, Pavia, 1984.

Mauri C.: Malattie del sangue e degli organi emopoietici. In Teodori U. (ed.): “Trattato di Medicina Interna”, 4a ed., vol. 3, 2207-2502, Soc. Ed. Universo, Roma, 1987.

Nathan D.G., Oski F.A.: Hematology of infancy and childhood. W.B. Saunders Co., 1981.

Salvidio E., Gaetani G.F., Crosby W.N.: Le anemie. UTET, Torino, 1989.

Williams W.J., Beutler E., Erslev A.J., Lichtman M.A.: Hematology, 4a ed.; McGraw-Hill Book Co., N.Y., 1990.

Wintrobe M.M. (Ed.): Blood, pure and eloquent. McGraw-HillBook Co., N.Y., 1980.

Zuker-Franklin D., Greaves M.F., Grossi C.E., Marmont A.M.: Le cellule del sangue, 2a ed., Edi-Ermes, Milano, 1988.

  

C. Mauri                                                          

 Ultimo aggiornamento: 23.12.2002

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Professore f.r. di Clinica Medica,

Università di Pavia

  

G. Barosi

Aiuto ospedaliero Clinica Medica II,

Università di Pavia

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