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   ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA                                           

 Ultimo aggiornamento: 23.12.2006

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ARTERIOPATIE PERIFERICHE

 

P. ARCANGELI - V. DIGIESI - B. DORIGO

  Le arteriopatie obliteranti degli arti inferiori o periferiche (AOP) sono condizioni morbose frequenti, che interessano prevalentemente i soggetti di sesso maschile.

La patologia delle arterie è costituita dalla arteriosclerosi, dalla tromboangioite obliterante (TAO) e dalla arteriopatia diabetica. Esamineremo innanzitutto gli aspetti clinici, morfologici e patogenetici della forma arteriosclerotica, che costituisce la causa di gran lunga più frequente dell'AOP e considereremo poi brevemente i caratteri differenziali delle altre forme.

 

- Aspetti clinici

 

La sintomatologia è diversa nel caso che la patologia vascolare determini insufficienza arteriosa relativa, cioè con insufficienza arteriosa soltanto durante la marcia od il lavoro muscolare, o assoluta, cioè con apporto arterioso insufficiente al fabbisogno dei tessuti anche in condizioni di riposo.

Nel primo caso il sintomo fondamentale è costituito dalla claudicatio intermittens; nel secondo caso il dolore è continuo e si associa ad alterazioni pretrofiche e trofiche dell'estremità dell'arto (cianosi, pallore, edema, gangrena, ulcerazioni).

La claudicazione intermittente arteriosa ha caratteri ben precisi, in particolar modo per quanto riguarda le correlazioni con l'entità e la modalità di esecuzione dell'esercizio muscolare.

Come già è stato detto, il dolore insorge durante la marcia; esso compare tanto più precocemente quanto più veloce è il cammino e quanto maggiore è la pendenza della strada; scompare sistematicamente entro un breve periodo di tempo dopo che il paziente si è arrestato pur mantenendo da fermo la stazione eretta, periodo che non supera i dieci minuti neppure nei casi di maggiore intensità; in prove successive con ritmi di marcia analoghi la sintomatologia insorge dopo un uguale tragitto se il tempo di recupero è stato sufficientemente prolungato e lo sforzo durante la prima prova non eccessivo, altrimenti la sua comparsa è proporzionalmente anticipata; il dolore si manifesta con le stesse caratteristiche, anche in posizione stipina, nell'esecuzione di un lavoro che impegni la muscolatura dell'arto.

Nella forma più comune e "tipica" il dolore viene avvertito come una sensazione di costrizione e di crampo fastidioso di intensità crescente localizzata ai muscoli della sura. La sua intensità può essere di vario grado, ma non è mai tale da far gridare il paziente.

Prolungando la marcia compare una difficoltà progressiva nell'uso della muscolatura dell'arto con riduzione della capacità di flessione del ginocchio e del piede e con sensazione ingravescente di pesantezza che costringe il paziente a trascinare l'arto o ad arrestarsi. Nella casistica personale, comprendente 86 pazienti (per un totale di 142 arti) con obliterazione o stenosi arteriosa serrata, questo tipo di dolore e questa sede risultano presenti nell'81,6% sia come sintomo isolato (36,8%) sia in associazione con sintomatologia dolorosa di altro ordine (44,8%).

La claudicazione intermittente "atipica" si differenzia dalla precedente per diversità nei caratteri del dolore che riguarda o il tipo della sensazione o la sua sede od i suoi rapporti con l'esercizio muscolare. La claudicazione può essere inoltre resa atipica per l'interferire della sintomatologia dolorosa causata da associate condizioni patologiche, particolarmente osteoarticolari e neurologiche.

 

 Atipia della sensazione dolorosa

 

In alcuni pazienti il dolore è modesto, a volte del tutto assente, ed è sostituito da una sensazione di stanchezza rapidamente ingravescente (12,8% nella nostra casistica) oppure da intorpidimento e formicolio avvertiti prevalentemente nella porzione inferiore della gamba ed al piede. Eccezionale è il tipo trafittivo del dolore.

 

 Atipia di sede del dolore

 

In una piccola parte dei casi (3,6%) il dolore è avvertito esclusivamente in sede diversa da quella abituale, mentre in oltre la metà (52,2%) è avvertito oltre che nella sede abituale anche in un'altra sede. Nei pazienti che localizzano il dolore in due parti distinte dell'arto la sensazione si manifesta di regola inizialmente ai muscoli della sura ed in un secondo tempo anche nell'altra sede; successivamente peraltro con il proseguire della marcia l'intensità del dolore si accentua gradualmente nella sede atipica fino ad oscurare in vario grado quello della sede abituale. Non è eccezionale tuttavia osservare un comportamento inverso, nel senso che il dolore è inizialmente avvertito nella sede atipica e successivamente al polpaccio; anche in tal caso la sensazione di maggior intensità è quella della localizzazione non abituale.

I1 dolore avvertito esclusivamente nella sede atipica è in buona parte dei casi di tipo costrittivo-gravativo e le regioni interessate risultano la natica, l'anca, la coscia, la faccia antero-laterale della gamba, la caviglia ed il piede.

L'ectopia del dolore costrittivo, caratteristico della sofferenza algogena del muscolo ischemico, viene attribuita alla diversa sede della ostruzione arteriosa; peraltro, secondo la personale esperienza, altri meccanismi possono intervenire, come sarà detto successivamente.

Altre volte il dolore è di tipo bruciante, urente o trafittivo. Tali sensazioni si localizzano quasi esclusivamente alla parte anteriore del piede e sono di regola associate a manifestazioni distrofiche (costituite da colorito cianotico della cute, edema ed ulcerazioni), indice di un progressivo aggravamento dell'insufficienza arteriosa. Questa sintomatologia dolorosa, associata alle turbe trofiche, può essere indicata con il termine di "claudicazione intermittente evoluta".

Altre volte ancora il dolore all'avampiede è di tipo gravativo e mal localizzato; raramente, in un secondo tempo, diviene bruciante e trafittivo nel qual caso è comune rilevare a livello dell'estremità dolente un processo patologico delle strutture osteo-articolari, muscolari o cutanee (artrosi dolorosa, pregresse fratture, esiti di ferite).

 

 

 Atipia nelle correlazioni con il lavoro muscolare

 

In una piccola parte di pazienti si osserva un comportamento anomalo del dolore alla ripetizione del lavoro muscolare, nel senso che una tipica claudicazione intermittente si manifesta al mattino, dopo un certo tratto di cammino e successivamente non si ripresenta più durante la giornata, anche per periodi di marcia più prolungata (dolore del primo sforzo). Il fenomeno è più frequente nelle stagioni fredde.

 

 Atipia per coesistenza di sensazioni dolorose causate da altri stati morbosi

 

L'associazione all'insufficienza cronica arteriosa di altri stati morbosi algogeni può dar luogo ad una sintomatologia dolorosa mista con spostamento della sede del dolore.

Con particolare frequenza, anche in relazione all'età dei pazienti, si nota in questi soggetti la presenza di patologia osteo-articolare di vario uipo (più spesso artrosi della colonna lombo-sacrale, con o senza erniazione del disco intervertebrale, dell'anca e del ginocchio) e di lombosciatalgia.

In tali casi la sintomatologia dolorosa propria della specifica patologia osteoarticolare o nervosa viene a sovrammettersi a quella dell'insufficienza arteriosa incrementando talvolta l'intensità del dolore ischemico e talaltra oscurandolo, con un comportamento nell'un senso e nell'altro spesso variabile in tempi successivi.

La sensazione dolorosa che consegue al lavoro muscolare ed alla marcia viene pertanto ad essere modificata, anche in maniera diversa nel tempo, per quanto riguarda la localizzazione (ovviamente diversa a seconda della patologia associata), l'irradiazione ed il tipo.

I1 dolore risvegliato dalla marcia può, ad esempio, essere avvertito a tutta la faccia posteriore della coscia e della gamba con irradiazione alla natica ed alla regione lombare nel caso dell'associazione con una sindrome irritativa del nervo sciatico. In tale condizione peraltro questa sintomatologia dolorosa è presente in vario grado anche a riposo.

Le alterazioni sensitive. Nei soggetti che presentano claudicazione intermittente si riscontrano con estrema frequenza alterazioni di varia entità (Schlesinger, 1933; Murfson, 1952; Berghaus e Ietten, 1954; Arcangeli e Coll., 1964) della sensibilità cutanea e muscolare.

Parestesie spontanee, costituite da sensazioni di intorpidimento, di formicolio, di punture di spillo multiple avvertite alla porzione inferiore della gamba ed al piede prevalentemente nelle ore notturne, vengono riferite dai pazienti non diabetici affetti da arteriopana cronica obliterante in circa il 10% dei casi, ed in una percentuale maggiore da quelli con turbe del metabolismo glucidico.

La soglia cutanea di percezione degli stimoli tattili e dolorosi al piede risulta inoltre spesso in varia misura superiore alla norma e nella stessa regione è presente in circa il 10% dei soggetti una reazione iperpatica alle stimolazioni dolorose.

L'esame della sensibilità algogena muscolare mediante pressione graduata fa riconoscere la presenza, in corrispondenza di uno o più muscoli dell'arto ischemico, di aree mialgiche circoscritte in quasi il 50% dei casi (44,4% della nostra casistica).Tali aree del diametro di uno-due centimetri risultano apprezzabili alla palpazione come noduli ben delimitati di consistenza maggiore di quella presentata dal circostante tessuto muscolare, e, se ripetutamente stimolate, danno luogo in due terzi dei casi ad una sensazione dolorosa avvertita a distanza in una precisa e costante area di riferimento, sensazione questa che è regolarmente dominabile con l'anestesia dell'area mialgica; esse hanno pertanto i caratteri del “punto trigger”. (Con il termine di “punto trigger” si indicano quelle limitate porzioni di strutture somatiche o viscerali (di cute, tendini, muscolo, osso od altro tessuto) la stimolazione delle quali provoca l’insorgenza, immediata o graduale, di un dolore a distanza in un determinato settore corporeo (“area target” o bersaglio) dolore che la successiva anestesia del punto di stimolo è capace di fare regolarmente scomparire. Il termine “area trigger” deriva dal fatto che la stimolazione di questa zona agisce come la pressione sul grilletto di un fucile nel produrre un effetto a distanza, cioè nel bersaglio (Travel, 1952).

Le più comuni sedi di riscontro di queste particolari zone di iperalgesia muscolare sono: la porzione inferiore del soleo, la porzione superiore dei due capi del gastrocnemio (particolarmente il gemello mediale), la porzione superiore del tibiale anteriore, il quadricipite femorale (specie nel vasto mediale), il gluteo medio ed il tensore della fascia lata. Nei casi nei quali queste aree mialgiche hanno carattere di "punti trigger" le zone bersaglio risultano localizzate nel tallone ed alla pianta del piede per il soleo, alla caviglia, al dorso del piede ed all'alluce per il tibiale anteriore, al poplite, alla porzione inferiore della faccia posteriore della coscia ed al tallone per il gastrocnemio, alla regione anale ed alla piega gluteofemorale per il gluteo medio, alla faccia antero-laterale della coscia per il tensore della fascia lata (fig.01x).

)

Lo studio della soglia algogena muscolare mediante stimolazioni chimicofisiche graduate evidenzia una condizione costante di iperalgesia muscolare, di entità variabile da caso a caso, con sensazioni dolorose conseguenti alle stimolazioni irritative aventi i caratteri del dolore "ricorrente" e accompagnate da accentuazioni dell'iperalgesia che si protrae anche per diverse ore.

Ulteriori anomalie della sensibilità cutanea e muscolare sono evidenziate in questi soggetti dall'esecuzione del test ischemico. Questa metodica, che consiste nello studio della funzione sensitiva e motoria durante la compressione della radice dell'arto mediante un bracciale pneumatico, è capace di rivelare anche lievi anomalie funzionali che non sono evidenziabili mediante altre tecniche d'indagine di ordine clinico (Gilliat e Wilson, 1953, 1954; Nathan, 1953, 1958, 1960; Arcangeli e Furian, 1956; Galletti e Procacci, 1958).

Il test ischemico dimostra (Arcangeli e Coll., 1954) nei pazienti che presentano claudicazione intermittente :

a) segni di anticipata degradazione della sensibilità cutanea in oltre la metà dei casi e della sensibilità algogena muscolare nella quasi totalità; il rilievo depone per una riduzione numerica, anatomica o funzionale, delle fibre sensitive dell'arto;

b) anomalie importanti del quadro parestesico, con incremento o decremento delle sue abituali componenti; dato che queste sensazioni dipendono dall'abbassamento critico dei valori di soglia e dalla caduta della capacità di accomodazione delle fibre sensitive nel punto di compressione del nervo (Kugelberg, 1946) la loro anticipata o ritardata comparsa denota una condizione funzionale patologica; l'esame combinato del quadro parestesico con quello della degradazione sensitiva ischemica e con le alterazioni della soglia tattile o dolorifica muscolare permette di ulteriormente definire l'entità della compromissione del sistema afferente;

c) la presenza di focolai algogeni latenti, che durante l'ischemia si manifestano con una sintomatologia dolorosa di vario tipo ed intensità; si possono rilevare: la comparsa di dolore contusivo, a volte anche crampiforme, d'intensità variabile, localizzato alle masse muscolari del polpaccio e più raramente al muscolo tibiale anteriore; dolore gravativo estensivo localizzato alle aree mialgiche o trigger che in precedenza sono state descritte, con spostamento della sensazione nella relativa "area bersaglio" in una parte dei casi; dolore sordo, terebrante od urente in corrispondenza di strutture ossee che presentano segni di patologia degenerativa od esiti di frattura come pure a livello di vecchie cicatrici cutanee; dolore bruciante o pungente localizzato nella sede delle alterazioni trofiche ed in particolar modo delle lesioni ulcerative della gamba e del piede.

La frequente compromissione funzionale delle fibre nervose è confermata in questi pazienti dall'esame elettroneurografico.La velocità di conduzione delle fibre motrici risulta infatti significanivamente ridotta nel 50% circa dei casi nell'arto della claudicazione intermittente e reperti analoghi si hanno per la velocità di conduzione delle fibre sensitive. Quanto più grave e più protratta nel tempo è l'ischemia tanto più frequente è la lesione nervosa. L'incidenza è più elevata nei casi nei quali il diabete mellito è associato all'arteriopatia.

Di rilevante interesse sono inoltre le variazioni della sensibilità dolorifica cutanea e muscolare che si verificano dopo la marcia protratta fino alla comparsa della claudicazione (Arcangeli e Coll., 1964).

 

La soglia algogena aumenta di regola significativamente subito dopo la fine della prova, ma torna ben presto alla norma; la soglia algogena muscolare ha invece un comportamento variabile: nella maggior parte dei casi (quasi il 60% nella nostra casistica) si abbassa progressivamente raggiungendo valori minimi, che sono inferiori di circa il 30% a quelli di base qualche ora dopo l'esercizio muscolare; in un terzo dei casi la soglia del dolore risulta invece aumentata, fino a valori superiori del 100% rispetto a quelli di base, durante la prima ora che segue alla prova, mentre è spiccatamente ridotta, con valori comparabili a quelli del gruppo precedente qualche ora dopo; nel rimanente 10% non si verificano modificazioni della soglia di percezione del dolore (fig.02x).

Quando l'ischemia si fa critica, nella fase cioè di insufficienza assoluta o III/IV stadio della classificazione di Leriche e Fontaine, compaiono il dolore a riposo e le lesioni trofiche fino alla gangrena.

Entrambi sono prevalentemente localizzati ad una o più dita e/o all'avampiede e insorgono per lo più in maniera graduale progressiva dopo un periodo più o meno lungo di claudicazione intermittente, ma possono manifestarsi bruscamente, in maniera acuta in un arto fino ad allora asintomatico per la comparsa di urombosi acuta su stenosi non emodinamica o su una piccola placca ulcerata.

Quando il dolore a riposo insorge gradualmente compare all'inizio solo di notte o presenta di notte una caratteristica esacerbazione, sì da costringere il paziente ad abbandonare il letto ed a tenere le estremità in posizione declive: la causa dell'accentuazione notturna del dolore ischemico è rappresentata, oltreché dall'aumento della recettività algogena, dalla riduzione del flusso ematico degli arti che si avvera di notte (Bartoli e Coll., 1970).

Le alterazioni del trofismo cutaneo iniziano con le modificazioni del colorito con comparsa di pallore e di cianosi e con la riduzione della temperatura cutanea. Il trofismo della cute e degli annessi decade; i peli scompaiono e si hanno disturbi della crescita delle unghie, che divengono grossolane, ad artiglio (onicogrifosi).

Alle alterazioni del colorito della cute può far seguito la gangrena, che inizia talora con la formazione di vescicole emorragiche per lo più periungueali o interdigitali, che possono rompersi e dar luogo ad ulcerazione, talatra con la corneificazione e la necrosi del tessuto dell'estremità digitale.

La gangrena è più spesso secca; può presentarsi umida per il sovrammettersi dell'infezione (specie nel diabete mellito) o per la stasi venosa e linfatica (soprattutto per la prolungata stazione eretta a causa del dolore notturno).

Le alterazioni del trofismo cutaneo del piede fino alle lesioni ulcerogangrenose, che possono portare all'amputazione, sono particolarmente frequenti in caso di diabete mellito perché altri fattori patogenetici concorrono nel loro determinismo, oltre all'AOP: la microangiopatia, la neuropana, somatica e vegetativa, e l'infezione.

    

- Aspetti morfologici

 

LA PATOLOGIA ARTERIOSA

 

La lesione parietale è rappresentata nell'arteriosclerosi obliterante dalla placca rilevata, spesso ulcerata, sulla quale insorge la trombosi, che successivamente va incontro alla collagenizzazione e alla trasformazione fibrotica; il trombo occludente assume allora un aspetto amorfo, spesso laminare, talora con qualche canalicolo al suo interno, espressione di un tentativo di ricanalizzazione. L'ostruzione e/o la stenosi sono di solito multiple e possono localizzarsi in qualsiasi tratto dell'albero arterioso, dall'aorta terminale fino alle arterie della gamba e del piede (fig.03x), anche se prevalgono a livello prossimale (aorta terminale, arterie iliache e femorale). Viceversa nell'arteriopania diabetica e nella TAO sono più frequenti le localizzazioni distali (arterie tibiali, pedidia, digitali comuni e proprie). I1 circolo collaterale di compenso è di solito più sviluppato nell'arteriosclerosi che nella TAO e nell'arteriopatia diabenica. In quest'ultima sono presenti grossolane deposizioni di calcio sia a carico della tunica media sia a livello degli ateromi e del trombo occludente.Nella TAO, come in tutte le forme arterinche, l'ateroma è assente ed il quadro istologico è caratterizzato da: a) intensa reazione flogistica con infiltrazione cellulare dell'intima e delle altre tuniche arteriose e venose, nonché dei tessuti perivasali, fra cui in primo luogo il nervo, con relativo risparmio della lamina elastica interna e delle strutture muscolari della media; b) trombosi segmentaria di arterie di medio e piccolo calibro degli arti inferiori e talora superiori, nonché di vene superficiali;

c) progressiva evoluzione fibrotica della lesione parietale e del trombo che vanno incontro a marcata invasione di lacune capillari a partenza dall'avventizia (cosiddetta ricanalizzazione del trombo).

 

LA PATOLOGIA DEL TESSUTO IN ISCHEMIA (con particolare riguardo al muscolo e al nervo)

 

I principali reperti osservati al microscopio ottico a carico del muscolo gastrocnemio in corso di arteriopatia cronica obliterante si riferiscono alle fibre, al tessuto interstiziale ed ai microvasi (Candiani, 1953; Scalabrino e Bianchi, 1954; Castro e Coll., 1%5; Boheme e Coll., 1%6; Arcangeli e Coll., 1966).

Le fibre muscolari mostrano omogeneizzazione totale o parziale, atrofia od ipertrofia, aumento del numero dei nuclei particolarmente nella sede centrale.

Nel tessuto interstiziale sono presenti soprattutto edema ed infiltrazione linfocitaria, i vasi mostrano i segni dell'arteriosclerosi ed i capillari sono forniti di una membrana basale notevolmente ispessita. Il numero globale dei capillari non si modifica in rapporto al grado di ischemia (Clyne e Coll., 1982), mentre il rapporto fra numero di capillari e numero di fibre muscolari nella claudicatio intermittens sarebbe aumentato secondo Makine (1977) ed invariato per Hierksson e Coll. (1980).Hammersten e Coll. (1980), riscontrano, rispetto ai controlli normali, un rapporto aumentato per le fibre di tipo IIA e non modificato per tutti gli altri tipi (I, IIB e IIC).

 

L'osservazione al microscopio elettronico (Boheme e Coll., 1966; Arcangeli e Coh., 1968; Bucciolini e Coll., 1976; Teravainen e Makine, 1977; Makitie, 1977) ha confermato anzitutto che le alterazioni sono spesso presenti solo in alcuni sarcomeri. I reperti più caratteristici (fig.04x) sono rappresentati da:

1) interruzione o assenza dei miofilamenti con frammentazione delle strie Z nei casi più gravi;

2) centralizzazione dei nuclei delle fibre muscolari;

3) rigonfiamento assai frequente dei mitocondri e presenza nell'interno di essi di corpi mielinici;

4) aumento del glicogeno nei sarcomeri nei quali le miofibrille sono scomparse o appaiono interrotte;

5) presenza talora di strutture "a nido d'ape";

6) presenza, nelle zone degenerate, di corpi lipidici vacuoli, corpi elettrondensi, di probabile origine lisosomiale, e corpi mielinici;

7) ispessimento della membrana basale dei capillari;

8) restringimento del lume dei capillari ed aumento del loro numero in rapporto a quello delle fibre.

 

Da questi reperti è evidente che la miopatia ischemica che si riscontra in corso di arteriopatia obliterante cronica non presenta, come molte altre miopatie, un quadro strutturale ed ultrastrutturale specifico. Essa differisce dall'atrofia muscolare da denervazione perché i mitocondri sono più numerosi ed hanno caratteristiche morfologiche diverse.

Pertanto è logico ritenere che le alterazioni osservate nel muscolo siano dovute all'ischemia cronica e non siano secondarie alla neuropatia ischemica, spesso associata, che avrebbe eventualmente soltanto il ruolo di fattore di aggravamento della sofferenza. L'ischemia cronica determinerebbe un'alterazione della via glicolitica e di quella ossidativa con diminuzione del pH (O'Donnel, 1975) e conseguente attivazione di enzimi lisosomiali. L'attivazione di alcuni di questi, ed in particolare delle catepsine, potrebbe essere responsabile di una parte delle alterazioni della fibra muscolare e di quelle dei microvasi sopradescritte.

Le alterazioni del nervo periferico in corso di arteriopatia cronica obliterante furono per la prima volta studiate da Joffroy e Achard (1889) che riscontrarono degenerazione walleriana e fibrosi endoneurale.

Ulteriori indagini in questo campo sono state condotte da Gairns e Coll. (1%0), Garven e Cod. (1%2), Eames e Lange (1%7), Chopra e Hurwitz (1%7), Digiesi e Arcangeli (1977).

In sintesi le principali alterazioni osservabili al microscopio ottico sono le lesioni segmentarie della guaina mielinica del nervo, l'intensa fibrosi sia a carico del perinevrio sia dell'endonevrio e le alterazioni delle cellule di Schwann. Nello stroma compaiono inoltre arteriole e capillari con parete ispessita.

All'osservazione al microscopio elettronico (fig.05x) si riscontra, a carico delle cellule di Schwann, presenza di inclusi di materiale presumibilmente lipidico, più raramente figure mieliniche ed ammassi di mielina degenerata, corpi di probabile natura lisosomiale. La guaina mielinica può risultare fissurata od interrotta e talvolta appare frammentata nel citoplasma delle cellule di Schwann. Alcuni assoni di fibre mieliniche od amieliniche mancano di neurofibrille o contengono nel loro interno grossi vacuoli. A carico della maggior parte dei capillari dell'endonevrio si nota marcato ispessimento della membrana basale che talvolta appare come pluristranficata. Anche il tessuto collagene pericapillare e dell'endonevrio è aumentato. Risulta evidente pertanto l'esistenza, nelle arteriopatie obliteranti croniche arteriosclerotiche degli arti inferiori, di una sofferenza talora anche grave della fibra nervosa nelle sue diverse strutture.

Le modificazioni della mielina, che consistono soprattutto in fissurazione e frammentazione della guaina, appaiono simili a quelle reperibili sia in età senile (Lascelles e Thomas, 1%6; Ochoa e Mair, 1%9) che in corso di diabete mellito (Woluman e Wilder, 1929; Faberberg, 1956; Dolman 1%3; Thomas e LasceDes, 1956,1%6; Chopra e Hurwitz, 1%9).

Peraltro l'estensione della demielinizzazione riscontrata negli arti ischemici è generalmente superiore a quella osservata in età senile (Asbury, 1970) ma inferiore a quella rilevata in corso di diabete mellito (Chopra e Hurwiz, 1%9).

La presenza nell'interno delle cellule di Schwann di materiale simil-lipidico, di figure mieliniche o di ammassi di mielina degenerata, è stata osservata anche in corso di diabete mellito (Bischoff, 1%8) e nella neuropatia sperimentale da mercurio (Miyakawa e Coll., 1970).

Le modificazioni a carico dei capillari del nervo, caratterizzate soprattutto da ispessimento della membrana basale, sono già state segnalate da Banson e Lacy (1%8) nel diabete mellito.

Per quanto riguarda la genesi della neuropatia periferica ischemica cronica, diversi fattori patogenetici sembrano particolarmente da considerare alla luce delle attuali conoscenze:

a) stenosi od occlusione dei grossi vasi afferenti agli arti;

b) microangiopatia dei vasa nervorum; c) turbe del metabolismo della cellula di Schwann, secondarie all’ischemia o consensuale al processo arteriosclerotico, con conseguente alterazione della mielinizzazione; d) arteriosclerosi delle arterie spinali con ischemia cronica midollare e conseguente degenerazione assonale.

In conclusione, analogamente a quanto rilevato a carico della miopatia ischemia eroniea, la neuropatia periferica riscontrata in corso di arteriopatia obliterante arteriosUerotica degli arti inferiori è verosimilmente secondaria all'ischemia cronica e non sembra presentare, alla luce dei reperti strutturali ed ultrastrutturali sinora riferiti, caratteri di specificità.

Anche le ossa e le strutture fibro-tendinee vengono coinvolte nel processo ischemico in corso di arteriopatia obliterante periferica.L'occlusione arteriosa causa un importante rimaneggiamento del circolo ematico osseo, con notevole sviluppo di un circolo collaterale a partenza periostale, che preserva a lungo l'integrità anatomica dell'osso, anche nelle condizioni di più grave e protratta riduzione di apporto ematico; peraltro l'ischemia ha come conseguenza un incremento del riassorbimento osseo per modificazioni chimico-fisiche del liquido intersuziale, che favoriscono il processo osteoclastico e/o ostacolano quello osteoblastico causando a lungo andare la comparsa di osteoporosi.

Inoltre in corso di arteriopana obliterante periferica compare talora una sintomatologia dolorosa in corrispondenza delle entesi del piede (entesopatia). Tali strutture, fisiologicamente ben vascolarizzate e con un metabolismo attivo, sono esposte all'ischemia ed ai danni da essa indotti.

 

- Aspetti patogenetici

 

IL MECCANISMO EMODINAMICO DELL'ISCHEMIA

 

La stenosi serrata o emodinamica e l'occlusione delle arterie di conduzione (dall'aorta alla pedidia e alla plantare) sono la causa dell'ischemia degli arti inferiori (fig.06x). Occorre ricordare che la circolazione del sangue nei muscoli scheletrici dell'arto inferiore inizia nei vasi muscolari di distribuzione, si continua nei vasi di scambio, ovverossia nel sistema microvascolare e termina nei vasi di capacità ovvero venule e vene. I vasi di distribuzione regolano il flusso arterioso con variazioni del calibro interno dipendenti dalla contrazione delle cellule muscolari lisce della media.La regolazione è mantenuta da una serie di stimoli neuromurali e metabolici. Condizioni indispensabili per ottenere un normale flusso a questo livello sono una normale gittata sistolica e la pervietà dei rami che provengono dall'aorta e cioè l'arteria iliaca comune, l'iliaca esterna, la femorale, la poplitea e le tibiali.In condizioni normali, a riposo, l'apporto ematico è strettamente collegato all'efficienza dei vasi di resistenza (arteriole, metarteriole e sfinteri precapillari) (Mellander, 1960), con un gioco di forze opposte che è stato sintetizzato da Burton (1962). Da un lato la pressione transmurale, strettamente collegata ad un normale afflusso nei vasi di grosso calibro, che è la risultante della differenza tra la pressione intravascolare e la pressione tessutale e rappresenta la forza totale che tende ad

 

espandere il vaso.Dall'altro la tensione circonferenziale, che rappresenta la forza che tende a costringere il vaso, a sua volta risultante dalla tensione elastica, dipendente dal grado di stiramento della parete, e della tensione attiva legata al grado di contrazione attiva della muscolatura liscia parietale.

Il flusso ematico muscolare a riposo è di circa 4-6 ml/100 ml/min. Quando si verifica, come durante la deambulazione, la necessità di aumentare il flusso ematico muscolare, intervengono vari fattori in grado di regolare la vasodilatazione e di utilizzare quella parte di letto capillare normalmente non funzionante. Questi fattori sono di natura nervosa, metabolica e ormonale. La regolazione neuroumorale è sostenuta da una componente adrenergica tendenzialmente vasocostrittrice e una colinergica di tipo vasodilatatorio.

La contrazione delle cellule muscolari lisce è regolata da sostanze derivate dal metabolismo tessutale in senso prevalentemente dilatante tendendo di conseguenza a far aumentare il calibro del vaso. La regolazione metabolica è legata alla produzione di sostanze del metabolismo muscolare in condizioni di impegno fisico. Tra queste possiamo ricordare l'accumulo di acido lattico (Barcroft e Coll., 1967), di CO2 (Heistad e Heeler,1972), di potassio (Duling, 1975; Hirche e Coll., 1980), di nucleotidi adenilici e dell'adenosina (Duff e Coll., 1954; Chen e Coll., 1972). Infine la regolazione ormonale dipende dalla produzione di ormoni quali adrenalina e noradrenalina in grado di mantenere una normale pressione arteriosa sistemica e pertanto una normale pressione di perfusione. Ultimamente è stata data notevole importanza all'intervento dell'endotelio che sembra in grado di produrre durante lo sforzo sostanze ad azione francamente vasodilatatrice quali le prostaglandine (Bevegard e Oro, 1%9; Kilbom e Wenmalm, 1976; Beaty e Donald, 1979) e 1'EDRF (Endothelium-Derived-Relaxing-Factor) (Furchgott, 1984; Moncada e Coll., 1988) che altro non sarebbe che il nitrossido.

Nei muscoli striati sono rappresentati due tipi di fibre, differenti sotto il profilo metabolico e funzionale: le fibre ST (Slow Twich) prevalenti nei muscoli rossi, con alta capacità di utilizzazione ossidativa del glucosio e degli acidi grassi e bassa capacità per il metabolismo anaerobico e la glicogenolisi; le fibre FT (Fast Twich) prevalenti nei muscoli bianchi e con capacità metaboliche opposte.Va ricordato che la normale funzione del muscolo è strettamente legata all'apporto ematico di O2. Questo diffonde dai capillari alle cellale con una velocità che dipende dalla PO2 capillare, dalla PO2 cellulare, in relazione alla densità dei capillari. L'utilizzazione di O2 è indipendente dalla PO2 cellulare finché la tensione di O2 nel sangue capillare non scende ad 1 Tor dai normali 5-10 Tor. Al di sotto di questo valore critico l'utilizzazione di O2 è soltanto funzione della PO2 cellulare.

Durante la deambulazione i vari meccanismi intervengono provocando il rilasciamento della muscolatura liscia arteriolare e degli sfinteri precapillari. L'aumento di velocità del flusso che ne consegue e che non consentirebbe un normale sfruttamento dell'apporto di ossigeno viene automaticamente corretto dal reclutamento del letto capillare inattivo per cui si ottiene ugualmente un'ottima ridistribuzione di ossigeno ai tessuti.

Una valutazione della risposta vascolare allo sforzo e della riserva ematica a disposizione dell'arto in condizioni di emergenza può essere ottenuta con il test dell'iperernia reattiva post-ischemica (Shepherd, 1963). Provocando un'ischemia dell'arto per 5 minuti e registrando il flusso arterioso al polpaccio al momento della rimozione del bracciale ischemizzante, i soggetti a circolo arterioso integro mostrano un subitaneo aumento del flusso ematico che raggiunge in 5-6 secondi il picco massimo con valori di circa 40 m/l 100 ml/min e si esaurisce rapidamente.

La prima conseguenza emodinamica che si verifica a valle di una stenosi serrata o di un'obliterazione arteriosa è rappresentata dalla caduta della pressione di perfusione cui consegue un aumento delle resistenze nei vasi di conduzione e una riduzione pressoria a livello di arteriole, metarteriole e sfinteri precapillari. A questo punto intervengono alcuni dei meccanismi sopraricordati ed in particolare i fattori umorali derivati dal metabolismo tessutale che diminuendo il tono della componente muscolare della parete determinano fenomeni di vasodilatazione. Questa più che a livello dei vasi di maggior calibro si estrinseca soprattutto a livello delle metarteriole e degli sfinteri precapillari che si rilasciano parzialmente.

In condizioni di riposo esiste una marcata diversità di flusso tra i muscoli a fibre rosse e quelli a fibre bianche e l'intervento di meccanismi di compenso, in particolare della vasodilatazione, è sufficiente a mantenere, attraverso l'apporto di 02, un metabolismo aerobio normale nei muscoli rossi e, con l'apporto di glicogeno, il metabolismo dei muscoli bianchi.

Durante l'esercizio muscolare la maggior richiesta di ossigeno da parte dei tessuti non può venir soddisfatta in quanto la capacità di vasodilatazione è già stata in buona parte sfruttata. A questo punto il mantenimento di un flusso adeguato e di un metabolismo muscolare efficiente è legato allo sviluppo dei circoli collaterali.I principali circoli anastomotici dell'arto inferiore sono situati nelle seguenti sedi elettive: a livello del bacino e dell'anca, ove i grossi rami arteriosi della pelvi (aorta addominale, iliaca interna ed iliaca esterna) diffusamente si connettono con l'arteria femorale (soprattutto profonda): a livello della coscia per le numerose anastomosi dei vari rami della femorale profonda fra loro ed, in alto, con i vasi del circolo anastomotico del bacino, in basso, con quelle della rete articolare del ginocchio; a livello del ginocchio, la cui rete articolare è fornita da tre arterie (femorale, poplitea e uibiale anteriore) con grossi rami arteriosi che provengono da cinque diverse direzioni; a livello della caviglia e del piede ad opera dei principali rami arteriosi (tibiale posteriore, tibiale anteriore ed interossea, alla caviglia; fra le arcate e le arterie dorsali e plantari attraverso numerosi rami perforanti, al piede).

Un primo meccanismo di circolo collaterale è rappresentato dall'intervento della circolazione cutanea la quale è in grado di cedere una parte del proprio flusso perché quest'ultimo eccede le normali necessità metaboliche della cute stessa.Ciò si verifica attraverso le anastomosi artero-venose (AVA), le quali sono regolate dal tono simpatico. Più importante è tuttavia il circolo collaterale propriamente detto che è legato all'apertura dei canali che connettono il circolo a monte con il circolo a valle dell'ostruzione arteriosa. I fattori che condizionano lo sviluppo del circolo collaterale sono rappresentati:

1) dalla localizzazione dell'ostruzione arteriosa, in quanto più questa è prossimale più il circolo collaterale è efficiente;

 

2) dalla rapidità d'instaurazione del processo ostruttivo: quanto più lentamente la stenosi vasale diviene occlusione, tanto più marcato risulta lo sviluppo del circolo collaterale;

3) dalla necessità metabolica dei tessuti da esso dipendenti.

Il circolo collaterale può essere preformato, costituito cioè da rami provenienti dalla stessa arteria a monte dell'ostruzione che si anastomizzano a pieno c an ale con i rami a valle invertendosi in questi ultimi la direzione del flusso, oppure neoformato, costituito da arteriole muscolari che progressivamente vanno incontro a dilatazione.

I fattori che agiscono sui circoli anastomotici intervenendo sia sulla loro morfologia sia sulla loro attività funzionale sono stati suddivisi in tre gruppi: fattori meccanici, fattori chimici e fattori nervosi.I fattori meccanici sono essenzialmente riferibili al gradiente pressorio transtenotico; la caduta di pressione a valle della stenosi tende a diminuire la resistenza accentuando il gradiente pressorio transtenotico. In questo caso il flusso tende a dirigersi verso territori di minor resistenza percorrendo l'unica via possibile e cioè i vasi collaterali. L'aumento della pressione determina perciò modificazioni strutturali dei vasi del circolo collaterale con ispessimento della parete, aumento delle fibre muscolari e delle cellule endoteliali, distensione delle fibre elastiche. La conseguenza è un aumento di calibro dei vasi collaterali e la loro tortuosità.

Per quanto riguarda i fattori chimici o metabolici essi sarebbero essenzialmente legati alla possibilità di una induzione di circoli collaterali o a proliferazione di neovasi come risposta alla liberazione dai tessuti ipossici di sostanze ad azione vasodilatante.Questi ultimi sarebbero gli stessi chiamati in causa a proposito dei meccanismi di compenso durante l'attività fisica.

Anche per quanto riguarda i fattori nervosi non è da tutti accettata l'ipotesi che tra i fattori che favoriscono la caduta delle resistenze vascolari ci sia una lisi del tono simpatico che può favorire un miglioramento della ridistribuzione ematica a valle dell'ostruzione. Tuttavia se anche questo meccanismo è stato documentato (Dornhorst e Sharpey-Schafer, 1951; Honig, 1979), esso è comunque di breve durata.

Altri fattori che possono influenzare lo sviluppo e il mantenimento del circolo collaterale sono rappresentati dall'integrità anatomo-funzionale dei vasi collaterali, dal trofismo del muscolo e da una buona efficienza della pompa cardiaca.

Va tenuto presente che, nonostante il suo sviluppo, il circolo collaterale non è mai in grado di compensare completamente il deficit di flusso conseguente alla lesione ostruttiva del vaso principale. Ciò viene evidenziato dall'andamento dell'iperemia reattiva post-ischemica. Al termine del periodo di ischemia negli arteriopatici la risposta flussimetrica raggiunge più lentamente il suo picco massimo, è più bassa che nel soggetto normale e si esaurisce più lentamente. Ciò è dovuto alla riduzione della pressione di perfusione, cui consegue il prevalere della tensione circonferenziale sulla pressione transmurale; cioè il prevalere della forza costrittiva su quella espansiva. La pressione transmurale alla quale inizia la chiusura del vaso viene definita come "pressione critica di chiusura" (Burton, 1951). Inoltre nei vasi collaterali la resistenza al flusso, soprattutto nella fase di rientro del vaso, è nettamente aumentata (Strandness, 1969). Ciò determina come aspetto clinico la comparsa della claudicatio intermittens. Molto importante risulta infine la dimostrazione che col tempo il circolo collaterale migliora, probabilmente in relazione all'esercizio fisico programmato e dipendente dalla diminuzione di resistenza al flusso a livello dei rami del circolo collaterale (Skinner e Strandness, 1967).

 

 

I MECCANISMI Dl PRODUZIONE DELLA

CLAUDICAZIONE INTERMITTENTE

 

Nel determinismo della claudicazione intermittente occorre considerare sia i meccanismi di produzione dell'ischemia distrettuale, sia quelli specifici di produzione del dolore, in quanto il meccanismo genetico del sintomo non si esaurisce nella sola turba dell'emodinamica distrettuale.Non esiste infatti una stretta correlazione fra autonomia di marcia e flusso ematico alla gamba, né fra gravità del reperto arteriografico e sintomatologia clinica.

Per quanto riguarda il significato dell'ischemia tessutale indotta dall'occlusione o dalla stenosi serrata dell'arteria principale dell'arto non vi è dubbio che essa sia, oltre che il più noto, anche il più importante fattore causale della claudicazione intermittente. Eccezionalmente possono essere in causa le fistole artero-venose e gli aneurismi delle arterie degli arti.In ciascuna delle condizioni anatomo-cliniche sopra ricordate, particolarmente nella stenosi e nell'occlusione arteriosa, modificazioni del contenuto ematico possono aggravare l'ischemia distrettuale agendo con meccanismi diversi e talora opposti: emoreologico e da inadeguata assunzione, inadeguato trasporto e liberazione di ossigeno ai tessuti degli arti.

In presenza di occlusione cronica di un segmento dell'arteria principale dell'arto inferiore il sangue è deviato attraverso il sistema delle collaterali che sono vasi ad alta resistenza in confronto all'arteria principale. Si sviluppa pertanto un gradiente pressorio abnormemente elevato fra i vasi a monte e quelli a valle.Ne consegue una diminuzione della pressione pulsatile sistolica e, nei casi più gravi, anche della pressione media. La portata è ugualmente ridotta. Nonostante la caduta dei valori di pressione e di portata conseguente all'occlusione arteriosa, il flusso sanguigno dell'arto è ancora sufficiente alle necessità metaboliche in condizioni di riposo.   È invece al momento della marcia che si determina uno squilibrio tra la richiesta e le possibilità di flusso distrettuale. Si sviluppano così ischemia e ipossia tessutale, in conseguenza delle quali metaboliti acidi si accumulano e portano a modificazioni del pH e dell'osmolarità.Questa catena di eventi emodinamici e metabolici si potenzia in circolo vizioso con il procedere dell'esercizio e può essere interrotta soltanto con la cessazione dell'attività muscolare.

La presenza di una stenosi dell'arteria principale dell'arto causa la comparsa della claudicazione intermittente quando è emodinamicamente efficiente, cioè quando rende manifesto il gradiente pressorio attraverso l'orifiao stenotico e compare una riduzione del flusso ematico.Non è possibile definire per ogni arteria il livello critico di stenosi, al di là del quale si rende bruscamente evidente la riduzione di portata e di pressione nel distretto circolatorio a valle, in quanto la diversa conformazione anatomica dei circoli collaterali e le loro possibili modificazioni, per il processo arteriosclerotico o per altri fattori di ordine funzionale, influenzano il comportamento emodinamico della stenosi, variando lo stato delle resistenze periferiche.Sono stati particolarmente presi in considerazione i seguenti fattori: diametro della stenosi, lunghezza della stenosi, numero delle stenosi, viscosità del sangue e resistenze periferiche.Ai fini emodinamici i fattori più importanti sono il diametro della stenosi e lo stato delle resistenze periferiche.

 

Per quanto riguarda il secondo punto (cioè i meccanismi di produzione del dolore) è stato accertato che nei muscoli cronicamente ischemici sono presenti iperalgesia e condizioni di facilitata produzione di sostanze algogene; è stato inoltre rilevato che la sensibilità dell'arto claudicante è modificata per le alterazioni anatomo-funzionali del nervo.

L'iperalgesia muscolare è determinata dal processo istoreattivo che comporta attivazione e liberazione di enzimi lisosomiali e dagli effetti delle prostaglandine prodotte in quantità rilevante in corso di ischemia. Al processo istoreattivo è da imputarsi anche la condizione di facilitata produzione di sostanze algogene.

Il dolore che insorge durante l'esercizio fisico deriva dall'azione combinata su algocettori ipereccitabili di mediatori chimici (prostaglandine, bradichinina, 5HT e altri), metaboliti muscolari (acido lattico, K +), ipossia ed iperosmolarità. La sensazione dolorosa è anticipata ed accentuata dalla presenza di "aree mialgiche" nei muscoli sottoposti a lavoro ischemico (fig.07x, fig.08x). La claudicazione intermittente "atipica" differisce da quella tipica per anomalie della sensazione provocata dall'esercizio fisico, per diversità di localizzazione del dolore o per diversità di comportamento in occasione della ripetizione del lavoro muscolare. La sostituzione della sensazione dolorosa con quella di stanchezza ingravescente è dovuta alla presenza di una marcata riduzione numerica delle fibre nervose con seguente alla concomitante neuropatia sia ischemica sia mediata da altri fattori causali (diabete, alcolismo, tossici vari, ernia discale) ed alla precoce degradazione delle residue fibre sensitive e motorie.

Lo spostamento di sede del dolore può essere dovuto:

1) a localizzazione dell'ostruzione arteriosa a livello diverso da quello femorale abituale;

2) alla presenza nelle strutture muscolari sottoposte a lavoro di aree mialgiche con caratteri di "punti trigger", l'attivazione ischemica delle quali provoca l'insorgenza del dolore nelle "zone bersaglio";

3) alla coesistenza di processi distrofici (ulcera, gangrena) determinati dall'arteriopatia obliterante (claudicazione intermittente evoluta) o di condizioni algogene latenti a livello cutaneo, periosteo ed osteoarticolare;

4) all'associazione di malattie dolorose ossee, articolari, muscolari e neurologiche (claudicazione intermittente intricata).

I1 "dolore del primo sforzo" è espressione di un circolo collaterale in corso di adeguamento funzionale.

 

 

I MECCANISMI DI EVOLUZIONE DELL'ISCHEMIA CRITICA

 

I1 termine "ischemia critica" (IC) degli arti inferiori (Bell e Coll., 1982) si riferisce a quel particolare stadio delle arteriopatie obliteranti periferiche in cui la grave compromissione del trofismo e della vitalità dell'arto rende incombente il rischio di un'amputazione. La definizione generalmente accettata dalla maggior parte degli Autori (Dormandy, 1990; Tyrrel e Coll., 1993) è la seguente: presenza di dolore a riposo persistente e ricorrente, che richieda regolare ed adeguata analgesia per più di due settimane e/o ulcerazioni e gangrena del piede e delle dita del piede, oltre alla pressione sistolica alla caviglia < 50 mmHg. Rientrano nel gruppo della IC i soggetti con AOP che in passato erano inquadrati nel III-I\r stadio della Classificazione di Fontaine.

Nella patogenesi dell'IC intervengono sia il macrocircolo sia il microcircolo. Della macroangiopatia è stato già detto.Qui occorre solo ricordare che in presenza di stenosi critica del lume arterioso per l'aumento della velocità di flusso che diviene turbolento, si creano vortici che favoriscono l'accrescimento della placca aterosclerotica con ulteriore riduzione della portata ematica. Il danno endoteliale, a sua volta, provoca riduzione di sintesi e del rilasciamento di prostaciclina e dell'EDRF con alterazione della regolazione del tono vasale, riduzione

Dell'attività fibrinolitica e attivazione piastrine e leucociti con possibilità di una completa trombosi del lume arterioso.L'insorgenza di IC in un arteriopatico al II stadio può essere causata o favorita da una diminuzione della portata cardiaca per scompenso cardiaco, grave cardiopatia ischemica o gravi aritmie, attraverso irregolarità emodinamiche a valle dell'ostruzione.

Il ruolo del microcircolo: in questi ultimi anni è stata posta particolare attenzione all'importanza rivestita dalle lesioni del distretto microvascolo-tessutale (arteriole, metarteriole, capillari, venule post-capillari e interstizio) nella genesi della IC, soprattutto a seguito delle osservazioni cliniche che spesso non esiste alcuna differenza nell'andamento di parametri quali la pressione alla caviglia o all'alluce e l'Indice di Winsor nel confronto tra soggetti con IC e soggetti con arteriopatia degli arti senza IC. Ciò sta ad indicare una certa indipendenza di comportamento tra macroarcolo e microcircolo.Vengono distinti nella IC tre aspetti a livello microvascolare: biochimico, metabolico ed istomorfologico.

Tra gli aspetti biochimici emergono gravi alterazioni della normale funzione endoteliale dovute alla riduzione dell'apporto ematico e all'abolizione della reattività del microcircolo. Con metodiche di indagine selettive tra cui il Laser-Doppler è stata evidenziata una riduzione della "vasomotion" cioè della normale distribuzione ritmica di flusso ai capillari. Inoltre compaiono fenomeni di vasospasmo mediati dall'EDCF (Endothelium-Derived-Costriciing-Facior) e favoriti dalla diminuzione dell'EDRF e prostaciclina. Nella genesi di tali fenomeni possono intervenire sostanze di derivazione piastrinica e leucocitaria come il trombossano A2, i leucotrieni e la serotonina. Inoltre si verifica uno squilibrio dell'omeostasi coagolativo-fibrinolitica con aumento dei livelli ematici di fibrinogeno e fattore VIII fino alla trombosi microvascolare, con alterazioni della reologia ematica distrettuale.

Tutti questi fenomeni possono potenzialmente interagire fra di loro e condurre ad una rarefazione del numero e alla riduzione di calibro dei capillari perfusi con disomogenea ridistribuzione del flusso ematico e fenomeni di furto microvascolare (Bollinger e Fagrell, 1990). Appare possibile in definitiva che il disordine emodinamico e la sofferenza organica e funzionale microvascolare possano acquistare una propria funzione autonoma riducendo ulteriormente la perfusione ematica al di sotto dei valori minimi basali, aggravando l'acidosi e l'anaerobiosi tessutale e ponendo le premesse per la comparsa di lesioni trofiche.

Gli aspetti istomorfologici e metabolici documentano la grave disorganizzazione strutturale intersuziale e microvascolare.  È presente costantemente una rarefazione di numero e riduzione di calibro delle metarteriole e dei capillari arteriosi che mostrano ispessimento della membrana basale, frequenti manifestazioni trombotiche e flogosi granulocitaria a manicotto pericapillare, con dilatazione dell'ansa venosa capillare e delle venule postcapillari, edema interstiziale e, negli stadi avanzati, sclerosi intersuziale a larghi fasci molto estesa.Queste alterazioni rappresentano la conseguenza dell'ischemia sull'integrità dell'endotelio e della parete dei capillari (Fagrell, 1977; Lowe, 1990; Novo e Coll., 1993).

 

La loro presenza diventa un ulteriore elemento di perturbazione del metabolismo tessutale, già sofferente per la ridotta perfusione ematica, in quanto ostacolano la cessione di O2 dai capillari ai tessuti.

L'aumento della lattacidemia reflua dall'arto ischemico rappresenta il secondo elemento espressione del disordine metabolico che si verifica nei tessuti in corso di IC: l'acido lattico è infatti il prodotto terminale del metabolismo tessutale che si svolge in carenza di ossigeno.Nei pazienti con arteriopatia al II stadio l'incremento della lattacidemia reflua è evidente soltanto al termine di un esercizio muscolare (Ondrus e Coll., 1989; Rexroth e Coll., 1989); al contrario il rilievo che, già in condizioni di riposo il lattato refluo è aumentato rappresenta un elemento prognostico di significato fortemente negativo, perché indica che il metabolismo tessutale dell'IC ha virato decisamente verso uno scompenso an aerobico , essendosi alterato il normale equilibrio rappresentato dal rapporto tra flusso ematico capillare, cessione di O2 e sfruttamento di O2 da parte dei tessuti.

I dati metabolici ed istomorfologici sopra riferiti documentano che nell'IC oltre alla riduzione dell'apporto ematico di 02, conseguente alla macroangiopatia, la sofferenza ischemica tessutale è aggravata da uno squilibrio dei meccanismi microvascolari che regolano la cessione di O2 dai capillari ai tessuti, gli scambi microvascolo-tessutali e, in conseguenza, il metabolismo tessutale.

La fisiopatologia della IC assume peculiari caratteristiche nel diabete mellito e nella TAO.Nei pazienti diabetici le lesioni del macrocircolo sono più distali, diffuse e precoci, come precoci sono le anomalie micro circolatorie con grave alterazione della parete dei capillari per ispessimento della membrana basale, degenerazione dei periciti, flogosi granulocitaria a manicotto perivasale, scompaginazione del segmento intermedio delle AVA, flogosi, edema e sclerosi interstiziale con rarefazione dei capillari arteriosi, in buona parte trombizzati, e dilatazione venulare.Lo scarso controllo metabolico nei diabetici altera il sistema immunitario favorendo così l'insorgenza di infezioni che insieme alla polineuropatia, sensitiva, motoria e autonomica aggravano l'evoluzione della IC cui contribuisce notevolmente anche la glicosilazione delle proteine di membrana che porta a gravi alterazioni emorcologiche secondarie ad una perdita di plasticità delle emazie, con minore deformabilità, minore fluidità di membrana, maggior aggregabilità, mentre la disfunzione endoteliale determina alterazioni della filtrazione capillare (Pretolani e Coll., 1993).

  È probabile che nella genesi della IC i meccanismi microvascolari possano agire in due fasi distinte: in un primo momento direttamente, attraverso un progressivo deterioramento della perfusione ematica e dell’efficienza del circolo collaterale; in un secondo momento ostacolando la cessione di O2 dai capillari ai tessuti e, attraverso un ulteriore peggioramento del metabolismo tessutale in senso anaerobio, facilitando la comparsa di primi segni di IC e la loro rapida progressione.

 

 

- Cenni di terapia medica

 

Tralasciamo la terapia medica dell'arteriosclerosi e degli altri tipi enologici di arteriopatia; ci limitiamo ad esaminare brevemente la terapia dell'ischemia.Questa è essenzialmente volta a sviluppare il circolo collaterale e a correggere il danno microvascolo-tessutale, con l'impiego di presidi di ordine farmacologico, dietetico e fisioterapico (esercizio-terapia).

Per quanto riguarda i farmaci vasoattivi vi sono alcuni risultati positivi con il nafudrofurile (Lehert e Coll., 1994; Moody e Coll., 1994), il buflomedil (Dorigo e Coll., 1985) e la nifedipina.Dopo terapia con buflomedil, in particolare, la quantità di lavoro aumenta ed il pH intracellulare diminuisce, in maniera minore, durante l'esercizio aerobico (Whal e Coll., 1994). Tale risultato viene attribuito ad un miglioramento del microareolo.

La somministrazione per un lungo tempo di iloprost, analogo stabile di sintesi della prostaeielina, sarebbe capace di migliorare significativamente l'autonomia di marcia, sia assoluta che relativa, nella claudicatio intermittens e di diminuire il dolore e l'estensione delle lesioni ulcerative in pazienti con ischemia critica degli arti.La prostaglandina E, è capace, associata ad un programma di esercizio fisico, di migliorare notevolmente e per lungo tempo la distanza di claudicazione (Scheffer e Coll., 1994).

Per quanto riguarda la pentossifillina, un derivato metilxantinico, essa è risultata capace, in parte degli studi clinici controllati con placebo, di aumentare la durata dell'esercizio senza claudicazione, di essere utile nella vasculopatia diabetica (Campbell, 1993) e di essere più efficace del buflomedil o della nifedipina (Chacon-Quevedo e Coll., 1994). L'effetto positivo sarebbe legato soprattutto all'aumento della flessibilità degli eritrociti ed alla riduzione della viscosità ematica, con conseguente miglioramento del flusso nel microcircolo ed aumento della ossigenazione tissutale.

Recentemente è stato dimostrato che una miscela nucleotide-nucleoside per via intraarteriosa è capace di migliorare il metabolismo muscolare, in particolare del gastrocnemio, nell'arteriopatia periferica allo stadio II (Rexroth e Coll., 1994).

Gli antiaggreganti piastrinici, in particolare l'aspirina, si sono dimostrati capaci di ridurre i rischi di complicanze cardiovascolari, ma non modificano la claudicatio. Anche la ticlopidina riduce la morbilità e la mortalità cardiovascolari (Blanehard e Coll., 1994). Gli anticoagulanti eparina e warfarin sono utili solo nell'occlusione arteriosa acuta secondaria a trombosi od embolia.

Per quanto riguarda i provvedimenti di supporto, anzitutto è stato osservato che il rischio di insorgenza dell'arteriopatia periferica nell'età compresa fra 55 e 74 anni, particolarmente fra i maschi fumatori, è in rapporto inverso con l'attività fisica svolta precedentemente nell'età compresa fra 35 e 45 anni (Housley e Coll., 1993). In corso di arteriopana già instauratasi, è utile un programma di marcia per almeno 20 minuti, 2 volte al giorno.

Questa attività facilita la comparsa di circoli collaterali e migliora la forza muscolare.   È importante cessare il fumo e correggere le anormalità metaboliche, soprattutto il diabete mellito e l'iperlipidemia.

 

 

Letture consigliate

 

 

Bartoli V., Dorigo B., Trapani M., Raspanti D., Cameli A.M.: Fisiopatologia clinica dell’ischemia degli arti inferiori, Relazione V Congr. Naz. Soc. Ital. Patol. Vasc., Cagliari, 8-11/12/1983, Min. Med., 425-431.

Dormandy J.A., Stock G. (Eds.): Critical Leg I-schaemia. Its Pathophysiogy and Management, Springer.Verlag, Nerlin, Heidelberg, 1990.

Novo S., Abrignani M.G., Liquori M., Barbagallo Sangiorgi G., Strano A.: Fisiopatologia dell’ischemia critica degli arti inferiori. Ann. Ital. Med. Int. 8 (suppl.): 66S-70S, 1993.

 

 

P. Arcangeli

Professore f.r. di Medicina Interna,

Università di Firenze

 

 

DIAGNOSTICA DELLE ARTERIOPATIE

 

M. D'ADDATO - M. GESSAROLI

 

 

Le malattie vascolari ed in particolare le arteriopatie trovano ancora nell'esame clinico una valida conferma diagnostica, tuttavia, per una migliore definizione e quantificazione delle lesioni, specie nelle arteriopatie asintomatiche o per un inquadramento prognostico-terapeutico delle arteriopatie croniche, la diagnosi morfofunzionale delle lesioni deve richiedere l'ausilio di indagini strumentali complementari.

I notevoli progressi tecnologici ottenuti in campo diagnostico-strumentale, invasivo e non invasivo, sia per l'affidabilità delle tecniche sia per lo scarso disagio del paziente, sempre più spingono l'utilizzazione di queste metodiche.

Una lesione arteriosa può dipendere da varie patologie intrinseche alla parete (aterosclerosi, displasia ecc.) od estrinseche: compressioni ad opera di strutture ossee e ligamentose (sindrome dello stretto toracico superiore, sindrome di Dumbar ecc.).

Varie classificazioni delle arteriopatie sono state proposte in funzione delle loro caratteristiche anatomo-patologiche, della loro sede, delle malattie di base che le hanno determinate; una di queste particolarmente utile appare quella proposta da J.T. Lie e J.L. Juergens in funzione del loro aspetto degenerativo.

Il processo patologico, provocando un sovvertimento strutturale della parete arteriosa e dei suoi componenti (collagene, fibre elastiche ecc) caratteristico per ogni tipo di patologia, produce generalmente o un restringimento del lume arterioso (stenosi) o la sua dilatazione (aneurisma), con ripercussioni emodinamiche nei territori a valle.

Mentre sul piano clinico gli aneurismi si evidenziano in genere per le dimensioni che raggiungono o per la comparsa delle complicazioni a cui vanno incontro (rottura, trombosi ecc.), una lesione steno-ostruttiva si manifesta quando la diminuzione del flusso arterioso da essa prodotta è tale da determinare un'alterazione funzionale del territorio a valle (stenosi emodinamicamente significativa).

Anche stenosi di calibro inferiore (non emodinamiche) possono diventare improvvisamente sintomatiche per le complicazioni che sviluppano nel loro contesto: ulcere endoteliali, emorragie intraparietali con embolizzazione periferica e/o ostruzione acuta.

Benché la diagnosi di certezza sulla natura di una lesione arteriosa proviene solamente dalla sua analisi istologica (tab.01x), vi sono elementi clinico-anamnestici nella storia di un arteriopatico che possono indirizzare verso il tipo di patologia in via presuntiva: l'età, il sesso, la sede della lesione, i fattori di rischio.

L'approccio diagnostico all'arteriopatico pertanto deve sempre prendere avvio da un'accurata raccolta di dati anamnestici e soggettivi, che possono già indirizzare l'esaminatore verso la sede ed il tipo di arteriopatia: insufficienza arteriosa periferica, insufficienza cerebro-vascolare, malattia reno-vascolare ecc.

Considerando la polidistrettualità delle lesioni, l'esame obiettivo, oltre ad esaminare il territorio eventualmente sintomatico, deve prendere in considerazione tutti i distretti esplorabili ed iniziando dalla semplice ispezione deve soffermarsi sul trofismo della cute e dei tegumenti degli arti, sulla valutazione differenziale di eventuali lesioni trofiche (ulcere arteriose, venose, neurotrofiche ecc.), sul grado della irrorazione cutanea (pallore, cianosi) e sulla presenza di masse pulsanti visibili.

La palpazione, oltre ad evidenziare la presenza e la validità di un polso arterioso nei comuni punti di repere (fig.01x), dovrà escludere la presenza di un aneurisma nelle varie sedi esplorabili; infine l'auscultazione di eventuali soffi arteriosi permetterà la scoperta di alterazioni emodinamiche, generalmente imputabili a lesioni stenosanti.

Questi dati guideranno successivamente nella scelta delle più opportune indagini laboratoristiche e strumentali; in particolare l'analisi dei dati di laboratorio sarà utile soprattutto nella caratterizzazione di alcune arteriopatie da cause metaboliche (aterosclerosi, diabete ecc.), mentre le indagini strumentali valuteranno l'aspetto morfo-anatomico di una lesione, le alterazioni emodinamiche locali da essa prodotte e le eventuali alterazioni funzionali del territorio dipendente (muscolare, cerebrale, renale ecc).

 

 

LESIONI AORTICHE

 

L'aorta, dalla sua emergenza alla biforcazione iliaca può essere interessata da varie patologie congenite (sindrome di Marfan, sindrome di Ehlers-Danlos) od acquisite (aterosclerosi, lue, arteriti ecc.) che determinano lo sviluppo di coartazioni, dissecazioni, aneurismi o steno ostruzioni.

Tuttavia, mentre l'evoluzione aneurismatica colpisce se pur in maniera diversa tutti i segmenti aortici, le coartazioni e le dissecazioni interessano prevalentemente l'arco aortico e l'aorta toracica, al contrario delle lesioni steno-ostruttive che si localizzano quasi esclusivamente nell'aorta addominale sottorenale.

La particolare disposizione dell'aorta, intratoracica ed intraaddominale, rende le due sedi variamente esplorabili ad una indagine sia clinica che strumentale.

 

 

Aneurismi dell'aorta addominale (AAA)

 

Gli aneurismi aortici generalmente nel loro sviluppo decorrono asintomatici e solamente quando raggiungono cospicue dimensioni, comprimendo gli organi vicini (ureteri) possono evidenziarsi sul piano clinico (idronefrosi). In genere, altrimenti, sono riscontri occasionali in corso di accertamenti addominali per altre patologie, o per le complicazioni a cui vanno incontro: rottura, embolizzazione periferica. Altre volte possono essere sospettati dopo la scoperta di aneurismi arteriosi in altri sedi (poplitea, femorale), in quanto sappiamo che spesso possono essere in associazione (30-40%). Diverso è il caso degli aneurismi rotti dell'aorta addominale, dove la gravità del quadro clinico determina un particolare atteggiamento diagnostico-terapeutico.

 

 

STUDIO CLINICO

 

L'esame clinico può mettere in evidenza un aneurisma dell'aorta addominale o per la sensazione di una abnorme pulsatilità addominale riferita dal paziente oppure con la palpazione addominale. In genere la palpazione evidenzia una massa periombelicale di varie dimensioni, non dolente, ed espansiva in tutte le direzioni; permette inoltre di differenziare, tramite la manovra di De Bakey (affondamento della mano dell'esaminatore tra aneurisma ed arcata costale), un aneurisma sottorenale da uno infrarenale.

A volte, tuttavia, le piccole dimensioni dell'aneurisma, la resistenza addominale offerta da alcuni pazienti, l'obesità possono impedirne la diagnosi; al contrario, la magrezza, l'iperlordosi, la presenza di dolicomegarterie possono determinare falsi positivi.

Ultimamente vengono riportati casi particolari di aneurismi, cosiddetti infiammatori per i caratteristici quadri istologici, ma anche per l'insolito esordio clinico con febbre, dolore addominale, leucocitosi ed aumento importante della VES.

La rottura di un AAA non sempre viene evidenziata da una emorragia massiva. In genere, infatti, questa evenienza viene preceduta da una fase di fissurazione, variabile da alcune ore a giorni, in cui l'emorragia viene tamponata dalle strutture parietali aortiche e periaortiche. Il quadro clinico di questa fase appare pertanto caratterizzato dall'insorgenza di una sintomatologia dolorosa addominale importante, che tende ad irradiarsi in sede lombare con l'assenza dei sintomi da shock emorragico. Tale sintomatologia, associata alla presenza di una massa pulsante addominale, pur inducendo il sospetto di un AAA in fase di rottura, appare difficilmente differenziabile da quella presentata dagli AAA infiammatori o dagli AAA in fase di "espansione", dove il dolore addominale dipende da uno stiramento delle fibre somato-sensoriali del tessuto periaortico, oppure da altre patologie acute addominali in pazienti portatori di AAA.

 

Pur tenendo conto che inevitabilmente la fissurazione evolverà verso la rottura in un tempo imprecisato, l'assenza di un quadro di shock emorragico permette nei casi dubbi di ricorrere ad ulteriori metodiche diagnostiche invasive e non-invasive, anche ai fini di una migliore pianificazione dell'intervento chirurgico. Diverso è il caso della rottura franca, dove il quadro clinico varierà in rapporto all'entità dell'emorragia (85% dei casi in sede retroperitoneale) con ipotensione, tachicardia, sudorazione, alterazione dello stato di coscienza e della diuresi, permettendo una diagnosi sicura nel 97% dei casi. In questa fase, l'estrema urgenza del trattamento chirurgico (emergenza) non permette ulteriori accertamenti diagnostici strumentali.

 

 

STUDIO MORFOLOGICO

 

Lo studio morfologico di un aneurisma dell'aorta addominale può essere eseguito mediante indagine radiologica standard dell'addome, ecografia, tomografia computerizzata (TC), angiografia e risonanza magnetica nucleare (RMN).

 

Rx addome standard. Tale indagine, oggi, non più proposta per la diagnosi di un aneurisma aortico, può evidenziare a volte questa patologia, attraverso la visualizzazione delle calcificazioni parietali nel corso di un esame per altre alterazioni addominali. Al contrario un AAA rotto può essere evidenziato indirettamente dalla mancata visualizzazione dei profili dei muscoli psoas.

 

Ecografia. Lo studio ecografico in B-mode, generalmente condotto a livello addominale, permette una valutazione della dimensione dell'aneurisma in senso trasversale e longitudinale, del diametro del lume residuo e dello spessore della trombosi parietale che sempre accompagna l'aneurisma (fig.02x).

E' l'indagine strumentale di prima scelta in un paziente con sospetto di aneurisma dell'aorta addominale e permette una diagnosi certa nel 99% dei casi, con un errore nella valutazione delle dimensioni di + o - 3 mm. Il margine d'errore è rappresentato da quella quota di piccoli aneurismi nella porzione compresa tra il diaframma e le arterie renali e dalle piccole dilatazioni segmentarie dell'aorta sottorenale, i cosiddetti "bister" degli Autori statunitensi.

La grande dipendenza dall'operatore, il basso costo e la ripetibilità caratterizzano questa metodica.

Limiti occasionali sono le calcificazioni parietali aortiche responsabili dei "coni d'ombra", l'eccessivo gas intestinale, precedenti esami addominali con mezzo radio-opaco e la grave obesità.

Raramente è possibile con questa tecnica una diagnosi certa di fissurazione dell'aneurisma; tale evenienza viene in genere erroneamente proposta, ma è dovuta a fissurazioni nel contesto della trombosi endoluminale.

 

Tomografia computerizzata (TC) total body. La TC total body è una indagine più invasiva della ecografia, sia per l'esposizione alle radiazioni ionizzanti sia per la somministrazione di mezzo di contrasto, fattori che limitano, assieme all'alto costo, la ripetibilità dell'esame.

Tale metodica tuttavia, oltre alle stesse valutazioni dell'ecografia (fig.03x), offre alcuni indiscutibili vantaggi: indipendenza dall'operatore; esplorazione di tutta l'aorta dalla sua emergenza sino alla biforcazione iliaca; valutazione dei rapporti che l'aneurisma contrae con gli organi adiacenti.

Permette inoltre di riconoscere una trombosi parietale vecchia da una più recente, ed anche di differenziare un aneurisma aterosclerotico da uno infiammatorio (fig.04x).

E' l'indagine di scelta nella diagnosi differenziale tra sospetta rottura di aneurisma aortico ed altre patologie acute addominali, se le condizioni del paziente e/o la gravità del quadro clinico permettono la sua effettuazione, evidenziando, in questo caso, la sede della fissurazione e l'eventuale ematoma periaortico.

 

Angiografia. L'angiografia appare un esame di seconda scelta per la diagnosi di aneurisma aortico e serve fondamentalmente porre l'indicazione chirurgica.

Lo studio angiografico infatti, con qualsiasi tecnica venga condotto (aortografia translombare, cateterismo con tecnica di Seldinger, angiografia digitalizzata arteriosa o venosa) (fig.05x), permette di evidenziare solamente il lume aortico e qualora questo venga mantenuto integro dalla trombosi parietale, un aneurisma può essere sospettato, solo indirettamente, dalla dislocazione dei rami viscerali o da una emergenza lateralizzata delle arterie lombari rispetto ai margini del lume aortico.

Rimane tuttavia una indagine diagnostica fondamentale nella pianificazione di un intervento chirurgico, sia nella valutazione dell'estensione della malattia aneurismatica, sia per la visualizzazione delle eventuali lesioni associate (renali, mesenteriche) (fig.05x).

 

Risonanza magnetica nucleare (RMN). La RMN, pur essendo una metodica ancora nuova, presenta delle caratteristiche abbastanza codificate nello studio degli aneurismi aortici. E' una metodica non invasiva in quanto l'elaborazione dell'immagine vascolare avviene senza la somministrazione di mezzo di contrasto e/o di radiazioni ionizzanti, ma semplicemente sfruttando il naturale contrasto del flusso sanguigno.

Permette di visualizzare il lume residuo, le caratteristiche della parete aortica e del trombo parietale e si dimostra superiore all'ecografia per una più corretta valutazione dei rami iliaci e viscerali (fig.06x).

Le attuali limitazioni tecniche sono rappresentate dall'alto costo per esame e dall'impossibilità dello studio nei pazienti portatori di pacemaker o di protesi metalliche.

 

 

Sindrome di Lériche

 

L'aterosclerosi è la principale causa di lesioni steno-ostruttive dell'aorta addominale sottorenale e delle arterie iliache. Queste lesioni, iniziando come modeste ateromasie parietali, si sviluppano attraverso una progressiva crescita dell'ateroma o una sua improvvisa espansione per emorragia sottointimale.

L'alterazione morfo-anatomica aortica che si realizza determina quindi, in misura variabile, una insufficienza arteriosa periferica e degli organi genitali, meglio conosciuta come sindrome di Lériche.

 

 

STUDIO CLINICO

 

Il notevole calibro aortico e delle arterie iliache permette ad una lesione ateromasica di essere silente sul piano clinico per buona parte del suo sviluppo endoluminale.

A volte tuttavia, anche nelle prime fasi dello sviluppo di queste lesioni, la frammentazione del materiale ateromasico da cui sono costituite o il distacco di macroaggregati piastrinici, depositati sulle ulcerazioni dell'ateroma, possono determinare una embolizzazione periferica.

Tali complicazioni si evidenziano clinicamente con la comparsa in pieno benessere di alcuni sintomi: dolore acuto, impotenza funzionale, ipotermia di un piede o di una gamba, petecchie o aree di cianosi cutanea localizzate, contrastanti con la presenza di tutti i polsi periferici (blue toe syndrome) e che tendono a risolversi spontaneamente in alcuni giorni.

Nella quasi totalità dei casi, tuttavia, una lesione aorto-iliaca si evidenzia sul piano clinico quando l'entità della stenosi è tale (> 70%) da determinare una alterazione funzionale nei territori a valle: arti inferiori ed organi genitali.

 

Anamnesticamente il paziente riferisce la comparsa di una claudicazione localizzata all'anca o alla coscia che in genere, dopo una prima fase molto limitante la deambulazione (100 metri), tende a migliorare spontaneamente in rapporto allo sviluppo di un valido circolo collaterale compensatorio. Contemporaneamente nei maschi potranno essere più o meno presenti alterazioni della potenza sessuale con impotenza "erigendi" o "coeundi".

Obiettivamente sarà possibile rilevare l'ipopulsatilità o l'assenza dei polsi femorali, le analoghe ripercussioni sui polsi periferici e la presenza di soffi paraombelicali o epigastrici.

Generalmente non si evidenziano alterazioni trofiche degli annessi cutaneomuscolari degli arti inferiori, a meno che non siano presenti concomitanti alterazioni steno-ostruttive del circolo arterioso periferico.

 

 

STUDIO FUNZIONALE

 

L'alterazione funzionale di una steno-ostruzione aorto-iliaca, sintomatica per claudicazione intermittente degli arti inferiori o per impotenza sessuale, può essere valutata mediante una indagine doppler: test delle pressioni segmentarie, Treadmill test, indice pressorio penieno.

 

Test delle pressioni segmentarie. Questo test (fig.07x) effettuato attraverso una valutazione istantanea del flusso in una arteria tibiale (rilevamento doppler) ed omerale (rilevamento acustico) permette una valutazione del rapporto tra pressione dell'arteria esaminata (arteria prossimale alla compressione) ed arteria omerale.

Il valore che scaturisce da tale rapporto (indice di Winsor: I.W.) è l'espressione del grado di stenosi o di ostruzione relativa (I.W.: valore normale >= 1).

Nelle lesioni aorto-iliache si avranno quindi valori del rapporto < 1 per una compressione dei manicotti nel III prossimale della coscia e che rimarranno immutati per compressioni più distali. Questo test che mette in evidenza solamente lesioni emodinamicamente significative (>70%) può tuttavia essere corredato, nei casi con stenosi inferiori (40-50%), con un test da sforzo (Treadmill test).

 

Indice pressorio penieno (I.P.P.). Analogamente all'I.W., l'indice pressorio penieno, ottenuto dal rapporto tra pressione arteriosa nell'arteria dorsale del pene ed arteria omerale diviene risolutivo per una diagnosi di impotenza sessuale di origine vascolare se < 1.

 

 

STUDIO MORFOLOGICO

 

Le tecniche proposte a tale scopo sono fondamentalmente l'ecografia e l'angiografia.

 

Ecografia. E' un esame riservato ai casi con sospetto ateroma aorto-iliaco embolizzante (fig.08x). Questa metodica può mettere in evidenza la placca con alcune sue caratteristiche di cui la più importante è l'ulcerazione.

 

Arteriografa. L'arteriografia rimane l'esame morfologico di scelta sia per le piccole lesioni embolizzanti (fig.09x) che per quelle steno-ostruttive (fig.10x). Nel primo caso appare tuttavia determinante, per una corretta ricerca dei piccoli ateromi, uno studio angiografico eseguito in duplice proiezione aortica (antero-posteriore e latero-laterale).

Nel secondo si devono evidenziare oltre le caratteristiche della lesione sintomatica (localizzazione e morfologia della lesione), lo stato delle arterie prossimali e distali, il circolo collaterale e le eventuali lesioni associate.

 

 

LESIONI ARTERIOSE PERIFERICHE: ARTI SUPERIORI

 

Le arterie più frequentemente interessate da processi patologici nell'arto superiore sono l'arteria succlavia nel suo passaggio costoclavicolare e le arterie digitali.

Mentre l'arteria succlavia viene generalmente interessata da lesioni compressive ad opera di strutture muscolotendinee od ossee (ipertrofia muscoli scaleni, coste cervicali ecc.)

responsabili di un patologico restringimento dello spazio costoclavicolare (sindrome dello stretto toracico superiore) e raramente da arteriti, le arteriopatie digitali riconoscono vari moventi etiologici: funzionali (ipertono simpatico con fenomeno di Raynaud), disreattivi (lupus, sclerodermia), infiammatori (arteriti), traumatici (microtraumatismi da lavoro) e microembolici (frammentazione di materiale da lesioni dell'arteria succlavia).

 

 

Sindrome dello stretto toracico superiore

 

STUDIO CLINICO

 

Una compressione dell'arteria succlavia, nelle fasi iniziali, si evidenzia generalmente con la comparsa di una ipostenia intermittente dell'arto superiore per determinate posizioni posturali (iperabduzione dell'arto, rotazione del collo ecc.). Tale sintomatologia può accompagnarsi, per una concomitante compressione del plesso cervico-brachiale a dolori diffusi in sede cervicale, scapolare e ascellare e/o a fenomeni vaso-motori periferici (fenomeno di Raynaud); se è presente un interessamento della vena succlavia può aversi un edema dell'arto.

In rapporto a tali posizioni, possono inoltre scomparire i polsi periferici e rendersi evidenti dei soffi sovraclaveari. Nel caso di coste cervicali accessorie è possibile a volte riscontrare palpatoriamente la loro presenza in sede sovraclaveare.

Nel tempo, il reiterato traumatismo parietale può determinare lesioni organiche permanenti nell'arteria succlavia con processi trombotici locali e/o fenomeni embolici periferici (arterie digitali, arcate palmari) tali da determinare, oltre all'assenza dei polsi arteriosi, la comparsa di una ischemia importante con ipotermia, dolore continuo dell'arto e lesioni trofiche digitali.

A volte, nelle compressioni costo-clavicolari e più in particolare nelle coste cervicali, si possono sviluppare aneurismi post-stenotici dell'arteria succlavia. Tali lesioni, che in genere decorrono asintomatiche, possono complicarsi per lo sviluppo di una trombosi acuta, determinando una grave ischemia acuta dell'arto superiore. Tale evenienza infatti non può essere sufficientemente compensata dal circolo collaterale, in questa sede particolarmente rigoglioso, a causa di un impoverimento del circolo arterioso periferico per precedenti e reiterati fenomeni micro-embolici. Clinicamente sono apprezzabili gli elementi dell'ischemia acuta con dolore, ipotermia, impotenza funzionale e rigidità muscolare dell'arto superiore.

 

 

STUDIO FUNZIONALE

 

Tale studio viene riservato alla fase iniziale della compressione per una valutazione diagnostica della causa compressiva.

 

Oscillografia dinamica. In questi casi il normale esame oscillografico, effettuato mediante il posizionamento di manicotti pneumatici agli arti superiori per il rilevamento dell'onda sfigmica, viene corredato di alcuni test posturali:

1) test di Wright (abduzione a 90° e 180° arto superiore).

2) test di Adson (rotazione del capo ed inspirazione).

3) test di Mc Gowan (retropulsione ed abbassamento del cingolo scapolo-omerale).

La positività di questi test (riduzione o scomparsa dell'onda pressoria) permette di sospettare una alterazione dello stretto toracico superiore.

 

 

STUDIO MORFOLOGICO

 

Il sospetto clinico di una compressione dell'arteria succlavia può essere ulteriormente confermato da una indagine morfologica diretta alle strutture articolari del cingolo scapolo-omerale (Rx rachide cervicale) e all'arteria nel suo passaggio costoclavicolare.

 

 

Rx rachide cervicale. Questa indagine permette di evidenziare con le normali proiezioni radiologiche per lo studio di questo distretto (antero-posteriore, latero-laterale e 2 oblique), eventualmente corredate con una inclinazione in senso caudo-craniale del tubo radiogeno, la presenza di coste cervicali o megaapofisi trasverse a struttura ossea o mista (ossea-cartilaginea). Limite di questa tecnica è l'incompleta visualizzazione degli abbozzi cartilaginei o dei legamenti fibrosi che spesso sappiamo determinanti nello sviluppo di tale sintomatologia.

 

Angiografia. L'esame angiografico, nella fase funzionale della malattia dovrà essere eseguito in modo dinamico (di base ed in iperabduzione) (fig.11x) per evidenziare anche modeste compressioni, mentre nella fase organica oltre a visualizzare la lesione dell'arteria succlavia (fig.12x) deve valutare la pervietà del circolo periferico digitale.

 

 

Sindrome di Raynaud

 

STUDIO CLINICO

 

Il fenomeno di Raynaud appare costituito da alterazioni episodiche del colorito cutaneo (pallore marmoreo) degli arti o di alcune dita, a cui segue o è associata una ipervascolarizzazione nelle aree cutanee limitrofe (rossore) per minime variazioni termiche ed umorali (fig.13x). Questo fenomeno può accompagnare varie patologie funzionali ed organiche del circolo periferico ed essere associato a concomitanti fenomeni di iperidrosi, ipotermia o ipertermia, alterazioni sensoriali, parestesie ed infine alterazioni trofiche cutanee ed ungueali (fig.14x).

 

 

STUDIO FUNZIONALE

 

Pletismografia digitale. Il grado della perfusione tissutale può essere determinato in rapporto alle variazioni d'intensità che presenta un raggio luminoso mentre attraversa un territorio vascolarizzato (fotopletismografia), oppure mediante le variazioni volumetriche di un territorio in rapporto al flusso ematico istantaneo (pletismografia strain-gauge). Entrambe le metodiche collegate ad un sistema scrivente permettono quindi di ottenere una onda dicrota come espressione del flusso ematico istantaneo nel segmento considerato. Nella valutazione delle arteriopatie associate ad un fenomeno di Raynaud è utile associare a queste tecniche una stimolazione cutanea ipo- ed ipertermica, oltreché farmacologica (vasodilatatori) per differenziare le patologie funzionali da quelle organiche. Nel primo caso si osservano alterazioni nell'onda solamente dopo stimolazione termica cutanea, mentre negli altri le alterazioni saranno già evidenti nei tracciati di base.

 

Misurazione transcutanea di ossigeno ed anidride carbonica (TcPO2 e TcPCO2). La TcPO2 e TcPCO2 viene eseguita mediante l'applicazione di un unico sensore sull'estremità in esame, fornendo i valori di ossigeno e di anidride carbonica in maniera incruenta. Tale tecnica, utilizzata per lo studio del microcircolo, trova applicazione clinica nella valutazione di arteriopatie sia organiche che funzionali, in quanto possono essere associati alla misurazione di base anche test reattivi (iperemia reattiva post-ischemica ecc.).

 

Laser-Doppler. Recentemente è stata introdotta l'utilizzazione della luce laser per lo studio del microcircolo cutaneo. Questa tecnica ci fornisce dati sull'entità del flusso e distanza di 1 mm di una sonda, utilizzata per l'emissione della luce laser e del segnale doppler. Anche in questo caso, data l'estrema variabilità dei valori di base, non è possibile standardizzare dei parametri patologici, e pertanto la diagnostica deve affidarsi soprattutto a prove funzionali ed a rilevamenti multipli comparativi.

 

 

STUDIO MORFOLOGICO

 

Angiografia. Lo studio angiografico oltre ad evidenziare le lesioni periferiche deve opportunamente differenziare le lesioni funzionali da quelle organiche attraverso la somministrazione loco-regionale di sostanze vasoattive. Infatti, un cosiddetto "buio angiografico" nelle forme funzionali può essere completamente risolto, permettendo la visualizzazione di tutto il circolo della mano, dopo la somministrazione di papaverina; mentre tale farmaco non induce modificazioni nelle lesioni organiche (fig.15x).

 

 

LESIONI ARTERIOSE PERIFERICHE: ARTI INFERIORI

 

Varie patologie possono interessare le arterie degli arti inferiori con una diversa localizzazione e morfologia.

Il distretto femorale viene generalmente coinvolto dal processo aterosclerotico, così come il segmento popliteo, che tuttavia può essere anche interessato da altre patologie (diabete, medionecrosi cistica, arteriti, intrappolamenti muscolotendinei); al contrario i vasi più periferici (tibiali, arcata plantare ecc.) sono preferenzialmente colpiti dal diabete e dalle arteriti.

Le lesioni che si rinvengono a questi livelli sono generalmente steno-ostruttive, anche se a livello popliteo non è infrequente osservare la presenza di veri aneurismi arteriosi (aterosclerotici o displastici).

 

 

STUDIO CLINICO

 

Queste lesioni nella loro evoluzione stenosante inducono generalmente una alterazione funzionale dell'apparato muscoloscheletrico degli arti inferiori, caratterizzato dalla comparsa patognomonica di una claudicazione intermittente al polpaccio o alla caviglia.

Il grado di tale alterazione sarà in rapporto alla sede della lesione (femorale, poplitea), al tipo di lesione (stenosi, ostruzione) ed alla validità del circolo collaterale; elementi responsabili anche della presenza dei polsi arteriosi periferici e del trofismo muscolo-cutaneo. Il perdurare e l'aggravarsi delle alterazioni emodinamiche può determinare successivamente la comparsa di ipotermia oggettiva e soggettiva degli arti inferiori, di alterazioni trofiche della cute e degli annessi e nei casi più gravi lo sviluppo di una gangrena.

Ancora oggi la classificazione clinica più utilizzata appare quella proposta da Fontaine con una suddivisione della malattia in 4 stadi, tra loro sfumati:

I stadio: claudicazione sotto sforzo;

II stadio: claudicazione intermittente;

III stadio: claudicazione serrata, dolori a riposo, lesioni trofiche;

IV stadio: gangrena.

La sede delle lesioni appare facilmente rilevabile con una valutazione della pulsatilità arteriosa in sede femorale, poplitea e tibiale.

Il quadro clinico può essere ulteriormente compromesso per la concomitanza non infrequente di lesioni aorto-iliache steno-ostruttive.

Un aneurisma popliteo al contrario generalmente decorre asintomatico, ma molto spesso può andare incontro a complicazioni quali trombosi od embolizzazione periferica, oppure produrre un edema continuo della gamba e del piede per compressione della vena poplitea. Obiettivamente può essere rilevato per una abnorme pulsatilità in sede poplitea oppure per la mancanza dei polsi poplitei e tibiali dopo la sua ostruzione cronica od embolizzazione.

La comparsa di una ischemia acuta agli arti inferiori può dipendere da un fenomeno embolico, trombotico o traumatico arterioso. A parte quest'ultimo caso, dove l'anamnesi permette la risoluzione diagnostica, a volte possono sorgere problemi di diagnosi differenziale tra una embolia arteriosa ed una trombosi acuta. Essendo fortemente diminuita la quota di embolie arteriose in individui giovani in rapporto al calo delle cardiopatie congenite, questa evenienza tende a verificarsi oggi soprattutto in individui anziani, portatori di miocardiopatie ischemiche ed alterazioni del ritmo cardiaco, ed a volte anche di arteriopatie ostruttive croniche periferiche.

 

Nel caso di embolia arteriosa pura, il riscontro anamnestico od obiettivo di una causa emboligena (cardiopatie, mixoma atriale, ateromi od aneurismi aorto-iliaci), il particolare esordio clinico (paziente in pieno benessere fisico) con dolore improvviso e localizzato ad un arto, l'aspetto marmoreo della cute ipotermica, la rapida insorgenza di una impotenza funzionale (espressione del concomitante spasmo vascolare), oltre all'assenza dei polsi arteriosi sono sufficienti a porre una diagnosi eziologica e di sede della lesione.

Al contrario, l'assenza di foci emboligeni, la presenza di una claudicazione degli arti inferiori, preesistente al fenomeno acuto, ed un quadro ischemico importante ma non così grave come nei fenomeni embolici, autorizzano il sospetto di trombosi arteriosa acuta.

Evenienza che viene generalmente determinata dall'occlusione acuta di un vaso arterioso per emorragie che si sviluppano e si espandono nel contesto delle placche aterosclerotiche, fenomeni per trombotici su ulcerazioni od irregolarità parietali o per una trombosi endosacculare negli aneurismi femoro-poplitei.

Tuttavia, oggi sempre più spesso (a causa di concomitanti patologie: embolie arteriose periferiche in pazienti già arteriopatici), si può assistere ad una sovrapposizione dei due quadri clinici, che ne rende più difficile la diagnosi clinica; sono questi i casi, anche nel sospetto d'embolia, dove appare indicata una prosecuzione diagnostica strumentale, specie angiografica, per una più corretta interpretazione etiopatogenetica e quindi terapeutica.

 

 

STUDIO FUNZIONALE

 

Test delle pressioni segmentarie. Questo test (precedentemente descritto nella sindrome di Lériche) evidenzia un IW >= 1 dopo compressione dei manicotti al terzo superiore della coscia, mentre risulta < 1 dopo compressione di quelli distali alle lesioni. La concomitanza di una patologia ostruttiva aorto-iliaca sarà evidenziata dalla completa inversione in tutti i distretti. Anche in questi casi modicamente sintomatici l'esame può essere corredato da un test da sforzo (Treadmill test).

 

 

STUDIO MORFOLOGICO

 

Ecografia. Questa indagine, nel circolo periferico, viene generalmente riservata al bivio femorale per le lesioni stenotiche od ostruttive, trova una valida collocazione nel segmento popliteo, soprattutto per lo studio della malattia aneurismatica.

 

Angiografia. Lo studio angiografico periferico generalmente viene riservato a quei pazienti nei quali la gravità del quadro clinico induce ad ipotizzare un trattamento chirurgico.

Per tale motivo, a questo livello, l'indagine diagnostica deve produrre la massima definizione delle lesioni (fig.16x), soprattutto di quelle più distali (fig.17x).

Avremo infatti una classica localizzazione steno-ostruttiva femoro-poplitea per le lesioni aterosclerotiche, popliteotibiale per quelle diabetiche ed ancora più periferica per quelle arteritiche, associata ai caratteristici quadri angiografici con circoli collaterali "a viticcio". Le sindromi da intrappolamento popliteo, al contrario, presentano una dislocazione dell'arteria, così come gli aneurismi che saranno diagnosticati o da una immagine di dilatazione o da una trombosi dell'arteria poplitea, con una arteria femorale superficiale particolarmente megalica.

Nella patologia acuta l'indagine angiografica permette di differenziare, nei casi dubbi, una lesione embolica da una trombotica per il classico aspetto a menisco dell'embolo e per l'assenza del circolo collaterale; inoltre nella trombosi acuta è possibile, attraverso il catetere angiografico, oltre alla risoluzione della diagnosi, anche un primo trattamento terapeutico loco-regionale con l'infusione di sostanze fibrinolitiche.

Controverso è l'impiego dell'angiografia nei traumi vascolari dove molto si discute sull'utilità di abbreviare i tempi dell'ischemia con un intervento precoce di rivascolarizzazione, e appaia indiscutibile l'utilità di tale metodica nell'evidenziazione della lesione arteriosa, delle lesioni venose associate e di quelle lesioni arteriose più distali al focolaio traumatico, molto spesso presenti e misconosciute.

 

 

LESIONI DELLE ARTERIE CAROTIDI

 

Quasi tutte le lesioni carotidee sono di origine aterosclerotica, tranne rari casi di lesioni displastiche.

Mentre queste ultime possono localizzarsi a vario livello, le lesioni aterosclerotiche, per la particolare conformazione della biforcazione carotidea tendono a formarsi preferenzialmente nella porzione più distale della carotide comune (bulbo carotideo) e nel primo tratto della carotide interna.

A volte queste lesioni nella loro progressiva evoluzione stenosante possono occludere completamente il lume carotideo senza provocare alcuna sintomatologia. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le lesioni aterosclerotiche presentano nel loro sviluppo alcune complicazioni: ulcerazioni endoteliali, emorragie intraparietali responsabili di una insufficienza cerebro-vascolare, rispettivamente con un meccanismo embolico (atero-trombo embolie) od emodinamico (ostruzione acuta).

 

 

STUDIO CLINICO

 

L'insufficienza cerebro-vascolare di origine carotidea generalmente si sviluppa a "focolaio", producendo sintomi emisferici con alterazioni sensitive e motorie degli arti (mono-emiparesi, emiplegie), della parola (disartria, afasia), della vista (emianopsie, amaurosi monolaterali), controlaterali alle lesioni e sintomi aspecifici della coscienza (perdita della memoria, confusione, sincope).

Le alterazioni neurologiche possono essere transitorie (da pochi minuti a qualche ora) o permanenti; presentarsi con un unico episodio oppure con una progressione della sintomatologia.

Varie classificazioni sono state proposte per l'inquadramento clinico di questi pazienti, ma attualmente quella indicata con il nome di "classificazione di Marsiglia" appare la più completa, considerando contemporaneamente la sintomatologia, la sua durata nel tempo e la sua evoluzione (fig.18x):

- asintomatici: stadio 0;

- accessi ischemici transitori (recupero totale delle funzioni neurologiche):

brevi (entro 24 h): stadio 1A,

prolungati (entro 3 settimane): stadio 1B;

- ictus in evoluzione con parziale recupero: stadio 2;

- ictus stabilizzato:

con modesti deficit: stadio 3A,

con gravi deficit: stadio 3B.

L'esame obiettivo di questi pazienti può evidenziare, oltre ai disturbi neurologici, un soffio in sede latero-cervicale, che va opportunamente differenziato da quelli di origine cardiaca (udibili anche in sede precordiale) e che in genere dipende da una stenosi carotidea compresa tra il 50 e il 90% del lume arterioso.

 

 

STUDIO FUNZIONALE

 

Lo studio funzionale del distretto carotideo permette di valutare sia le lesioni stenosanti degli assi arteriosi (fonocardiografia, oculopletismografia, ophthalmic doppler test, analisi spettrale) sia le alterazioni del parenchima cerebrale (TAC, SPECT).

 

Fonoangiografia carotidea. La fonoangiografia è un metodo che permette di registrare soffi carotidei prodotti da stenosi > 40%, attraverso uno speciale microfono posto sopra la carotide al collo, e differenziare rumori provenienti dall'arco o dal cuore al di sopra della clavicola. Una suddivisione delle caratteristiche dei soffi (3 tipi) permette quindi di ricavare l'entità della stenosi carotidea: 40-60%, 60-70%, > 70%.

 

 

Oculopletismografia (OPG). Questa metodica misura le alterazioni emodinamiche carotidee indirettamente mediante l'applicazione di cuffie corneali, che, previa anestesia locale, registrano le cicliche pulsazioni oculari attraverso un trasduttore di pressione.

Stenosi nelle arterie prossimali riducono il flusso sanguigno nell'occhio e modificano la fase ascendente della pulsazione oculare. La registrazione bilaterale contemporanea evidenzia, nel caso di stenosi significative, un "differenziale", dato da un disuguale riempimento volumetrico tra i due occhi. Anche in questo caso il grado della stenosi sarà rapportato ai diversi valori del "differenziale".

 

Ophthalmic Doppler Test (ODT). La particolare disposizione anatomica dell'arteria oftalmica, ramo di comunicazione tra carotide esterna ed interna, permette attraverso un rilevamento doppler della velocità e della direzione del flusso ematico in questa arteria, nell'angolo superomediale dell'occhio, una valutazione indiretta del circolo carotideo.

Un flusso normale nella carotide interna viene generalmente rivelato da un flusso diretto nell'arteria oftalmica, comparativamente uguale al segnale oftalmico controlaterale; stenosi emodinamicamente significative > 40% producono una diminuzione velocimetrica monolaterale nel rilevamento doppler comparativo, mentre stenosi > 90% ed ostruzioni della carotide interna vengono evidenziate da una inversione del flusso nell'arteria oftalmica. L'assenza del segnale doppler può essere imputabile ad ostruzione della carotide comune o dell'arteria oftalmica.

 

Doppler C.W. La diretta valutazione doppler delle arterie carotidee sfrutta le modificazioni istantanee dell'onda velocimetrica caratteristiche per la carotide comune, esterna ed interna.

La particolare dipendenza dall'operatore, la scarsa affidabilità e ripetibilità della metodica fanno oggi preferire a questa tecnica il rilevamento doppler guidato dalla immagine ecografica (duplex scanner).

 

Analisi spettrale. Questa tecnica permette, mediante una rielaborazione del segnale doppler con un analizzatore spettrale, la ricostruzione in tempo-reale delle frequenze del flusso ematico. Le frequenze vengono visualizzate sfruttando le modificazioni di intensità indotte in una scala di 16 gradi del grigio (fig.19x).

Rispetto alle indagini indirette precedenti, l'analisi spettrale permette l'identificazione delle stenosi anche non-emodinamicamente rilevanti, con una sensibilità globale per le lesioni stenosanti dell'86%.

 

Tomoscintigrafia cerebrale ad emissione di fotone singolo (SPECT). Metodica basata sulla utilizzazione di traccianti liposolubili che si fissano nel parenchima cerebrale in proporzione al flusso ematico distrettuale. Con tale tecnica è possibile, mediante una indagine semiquantitativa (rapporto tra i due emisferi), visualizzare aree ipoperfuse del parenchima cerebrale; in particolare quelle aree attorno ai focolai infartuali cosiddette di penombra ischemica, invisibili ad una tomografia computerizzata cerebrale (fig.20x).

 

 

STUDIO MORFOLOGICO

 

Non sempre un episodio di insufficienza cerebro-vascolare dipende da lesioni emodinamiche; a volte modeste lesioni parietali possono complicarsi con fenomeni embolici ed essere completamente misconosciute dai test non invasivi funzionali. Le tecniche morfologiche che ci permettono la visualizzazione anche di piccole lesioni carotidee sono l'ecotomografia e l'angiografia, con implicazioni diagnostiche e terapeutiche diverse ma integrate tra loro; mentre le lesioni morfologiche cerebrali da esse dipendenti debbono essere valutate mediante una tomografia computerizzata.

 

Ecotomografia carotidea ad alta risoluzione. E' un esame incruento che studia attraverso una sorgente di ultrasuoni la parete carotidea con scansioni longitudinali e laterali (fig.21x). Può evidenziare anche minime lesioni parietali, valutandone le caratteristiche quantitative (risoluzione = 0,3 mm) (fig.22x) o qualitative (placche soffici, dure o miste), le alterazioni morfologiche endoluminali (placche lisce o irregolari, ulcerazioni) o intraparietali (emorragie, calcificazioni). Generalmente attraverso la stessa sonda è possibile effettuare un rilevamento doppler mirato, nel qual caso la metodica viene chiamata eco-doppler (duplex-scanner) carotideo.

Trova nell'attendibilità (specificità: 85%, sensibilità: 99%), nella ripetibilità e nel basso costo d'esercizio i suoi migliori pregi. Unica limitazione rimane l'incompleta valutazione dei tronchi sovraortici e del circolo endocranico. A tutt’oggi è l'esame di scelta nel primo approccio al paziente con sintomi evocatori di insufficienza cerebro-vascolare, nella valutazione del poli-arteriopatico e nel follow-up di piccole lesioni.

 

Angiografia digitale. L'esame angiografico digitale eseguito per cateterismo sia arterioso sia venoso, trova a questo livello la sua migliore espressione morfologica (fig.23x).

Non vi è dubbio comunque che l'indagine condotta per via arteriosa fornisce la migliore definizione.

L'indagine angiografia, oltre a fornire una chiara immagine della lesione carotidea, è la sola metodica che permette attualmente una valutazione di tutto il circolo arterioso extra- ed intra-cranico (fig.24x) a destino cerebrale, anche se a tal proposito sempre più frequentemente vengono riportate esperienze con il doppler trans-cranico.

 

Tomografia computerizzata (TC) cerebrale. Questo esame eseguito con somministrazione di mezzo di contrasto permette di escludere ogni altra patologia organica dell'encefalo (micro-infarti lacunari, emorragie cerebrali, neoformazioni espansive) che possa sostenere una sintomatologia analoga.

Permette inoltre di documentare, a volte anche nei pazienti asintomatici con soffi carotidei, la presenza di esiti infartuali in zone encefaliche mute e, nei pazienti con esiti permanenti, la sede e l'estensione dell'area encefalica danneggiata (fig.25x).

Infine, anche nei pazienti con accessi ischemici transitori, può evidenziare la presenza di zone infartuali cerebrali, ancora in via di risoluzione.

 

 

LESIONI DELLE ARTERIE RENALI

 

Le renali sono le arterie più frequentemente colpite dal processo displastico, anche se il rapporto tra tali lesioni e quelle aterosclerotiche rimane sempre a favore di queste ultime.

Le lesioni aterosclerotiche colpiscono in genere l'ostio delle arterie renali, fondamentalmente per una propagazione dell'ateroma aortico, mentre al contrario le lesioni displastiche interessano vari segmenti dell'arteria renale in rapporto al tipo di displasia.

L'iperplasia intimale coinvolge preferenzialmente il III prossimale dell'arteria renale. La displasia della media, cioè l'iperplasia fibromuscolare vera, la fibrodisplasia mediale e la fibrodisplasia sottoavventiziale interessano i due terzi distali, mentre la displasia avventiziale può coinvolgere tutta l'arteria renale e i suoi rami di divisione.

Mentre le lesioni aterosclerotiche si rilevano soprattutto negli adulti di sesso maschile (65%), le lesioni displastiche possono ritrovarsi nei bambini o nei giovani adulti, specie di sesso femminile (80%), in rapporto al tipo di alterazione displastica (tab.03x).

 

Sia l'aterosclerosi sia la displasia producono generalmente lesioni stenosanti dell'arteria renale, tuttavia non è infrequente la comparsa di complicazioni, specie nelle lesioni displastiche come dissecazioni, ostruzioni acute da emorragia intra-intimale o intramediale, aneurismi sacciformi o fistole artero-venose.

In alcuni rari casi le arterie renali possono essere coinvolte da processi arteritici focali oppure nell'ambito di patologie infiammatorie aortiche più complesse (malattia di Takayasu).

Quando una lesione dell'arteria renale riesce a produrre una ischemia del rene si determinano effetti sia sistemici (ipertensione reno-vascolare: I.R.V.) sia locali sul parenchima renale ipoperfuso (malattia ischemica renale).

 

 

STUDIO CLINICO

 

Queste lesioni vengono sospettate, spesso in giovani pazienti, per un brusco esordio dell'ipertensione con valori sistodiastolici elevati sin dall'inizio, che non recedono ad una terapia antipertensiva, tranne che agli inibitori del sistema di conversione dell'angiotensina (ACE-inibitori), oppure per un progressivo e rapido decadimento della funzionalità renale in pazienti nei quali sono assenti gli elementi clinici ed ematochimici del danno parenchimale.

Raramente può essere presente un soffio paraombelicale o lombare, che tuttavia non è specifico di una stenosi dell'arteria renale potendo essere ritrovato in altre patologie steno-ostruttive dell'aorta addominale e di altri vasi viscerali.

 

 

STUDIO FUNZIONALE

 

Una lesione dell'arteria renale emodinamicamente significativa produce una alterazione della perfusione renale e della sua funzione, valutabile con varie metodiche cruente ed incruente.

 

Dati di laboratorio. Un'alterazione dei comuni valori ematochimici, riferibili alla funzionalità dell'emuntorio renale (iperazotemia, iper-creatininemia, ipo-kaliemia) può verificarsi solamente per una concomitante patologia steno-ostruttiva delle due arterie renali, nel caso di lesione stenosante in monorene, oppure con rene controlaterale compromesso da altre patologie. In condizioni fisiologiche si assiste infatti ad una ipertrofia compensatoria del rene controlaterale, idonea al normale mantenimento della funzionalità renale globale.

Al contrario, una elevata attività plasmatica della renina periferica, sempre che l'esame sia eseguito correttamente, può essere un dato indicativo di I.R.V.

 

Urografia perfusionale potenziata. Questa metodica, scarsamente invasiva e già utilizzata nella diagnosi di altre patologie renali, permette una valutazione della perfusione parenchimale renale in senso assoluto, e soprattutto comparativo tra i due reni.

Un'asimmetria volumetrica tra i due reni >2 cm, un ritardo di perfusione del mezzo di contrasto in un rene rispetto al controlaterale ed in particolare la persistenza dello stesso dopo diuresi forzata (tecnica di wash-out) sono elementi caratteristicamente suggestivi di lesione stenoostruttiva dell'arteria renale.

Molto utile nella diagnosi differenziale con altre patologie di interesse nefrologico, appare oggi soppiantata nello studio specifico della malattia reno-vascolare dalla scintifigrafia renale computerizzata.

 

Scintigrafia renale computerizzata (S.R.C.). Questa tecnica, eseguita prevalentemente con radio-composti a rapida escrezione è stata da molti anni utilizzata nello studio dell'I.R.V.

La S.R.C. è una metodica semplice, non invasiva, poco costosa e facilmente ripetibile, in grado di fornire informazioni attendibili e sufficientemente precise sulla perfusione e funzionalità parenchimale renale, soprattutto quando la patologia è monolaterale. Nella diagnosi di I.R.V. i valori di sensibilità e di specificità di questa metodica oscillano tra 85-90%.

Gli svantaggi sono dovuti alla presenza di falsi positivi, rappresentati fondamentalmente da nefropatie monolaterali non vascolari.

L'esecuzione di tale metodica di base (fig.26ax) e dopo somministrazione di un farmaco ACE-inibitore (fig.26bx) permette attraverso una valutazione delle modificazioni dei dati visivi e dei parametri semi-quantitativi di aumentarne ulteriormente la sensibilità e la specificità.

Appare pertanto indicata nello screening di casi di I.R.V. e nella predittività dei benefici della rivascolarizzazione chirurgica o con dilatazione transluminale (PTA).

 

Cateterismo selettivo delle vene renali. Tale tecnica che si prefigge il dosaggio dell'attività plasmatica della renina direttamente nelle vene renali ha come presupposto il ruolo fondamentale del sistema renina-angiotensina nella patogenesi dell'I.R.V.

Il concetto alla base dell'interpretazione dei risultati è che nell'I.R.V. da stenosi renale unilaterale, la secrezione della renina nel rene sano deve essere soppressa e che la produzione totale avviene da parte del rene ischemico. Tale metodica presenta il più elevato valore predittivo dell'I.R.V. se correttamente eseguita. Le importanti difficoltà tecniche, che non la rendono facilmente standardizzabile come test di screening, ed il notevole disagio che l'esame comporta nel paziente fanno preferire oggi altre metodiche meno invasive.

 

 

STUDIO MORFOLOGICO

 

Lo studio angiografico, oltre a confermare ed a localizzare le lesioni delle arterie renali (fig.27ax), sospettate con i test funzionali, permette di evidenziare, nell'esecuzione dell'esame per altre patologie aortiche, anche piccole lesioni stenosanti asintomatiche. Valuta, inoltre, la sede e la morfologia delle lesioni dell'arteria renale, suggerendone la loro diagnosi isto-patologica, e visualizza con cateterismi selettivi lo stato della vascolarizzazione intraparenchimale (fig.27bx).

Le lesioni stenosanti aterosclerotiche sono generalmente localizzate all'ostio dell'arteria renale in rapporto ad una propagazione dell'ateroma aortico e sono quindi facilmente identificabili per la presenza di concomitanti ateromasie parietali o lesioni aorto-iliache; diversamente le ostruzioni da lesioni aterosclerotiche possono venire evidenziate da una riabitazione del moncone distale dell'arteria renale ad opera dei circoli collaterali perirenali, periilari e periureterali.

Stenosi serrate e focali della prima porzione (1 cm) dell'arteria renale (specie nei bambini) sono generalmente correlabili ad una fibrodisplasia intimale, mentre analoghe lesioni (nei giovani adulti) localizzate nei due terzi distali sono più facilmente imputabili ad una iperplasia fibro-muscolare vera; entrambe queste varietà displastiche possono presentarsi come ostruzioni o dissecazioni delle arterie renali.

Stenosi serrate in giovani donne, generalmente più estese delle due forme precedenti, con ectasia post-stenotica sono più facilmente riconducibili ad una fibrodisplasia sottoavventiziale ed in alcuni casi simulano angiograficamente delle ipoplasie dell'arteria renale.

L'elemento più caratteristico della displasia rimane tuttavia l'aspetto angiografico "a collana di perle" (fig.28x) determinato dall'intercalare di stenosi ed aneurismi che caratterizzano la fibrodisplasia mediale.

 

 

BIOPSIA RENALE

 

Questa tecnica, molto conosciuta ed utilizzata nella diagnostica delle nefropatie glomerulari, viene riservata nella malattia reno-vascolare a quei quadri funzionali di importante danno ischemico parenchimale, particolarmente indicato dalla riduzione dei diametri renali (rene grinzo). In questi casi (stenosi serrate, ostruzioni) permette di evidenziare il grado delle alterazioni morfologiche glomerulari in rapporto alle alterazioni perfusionali e quindi ha un valore prognostico predittivo della rivascolarizzazione renale chirurgica.

 

La particolare invasività della metodica ne esclude un impiego allargato, riservandola a casi particolarmente selezionati.

 

 

LESIONI DELLE ARTERIE INTESTINALI

 

Le lesioni che colpiscono più frequentemente le arterie intestinali sono di origine aterosclerotica, in genere per una propagazione della lesione aortica. A volte il tripode celiaco può essere interessato da un processo displastico, generalmente secondario ad una compressione estrinseca della sua parete ad opera delle fibre arciformi del diaframma e/o dei plessi gangliari. Nei rari casi di aorto-arterite (Takayasu) le arterie intestinali possono essere variamente coinvolte dai processi stenoostruttivi.

 

 

STUDIO CLINICO

 

La maggior parte delle lesioni stenoostruttive delle arterie intestinali passa misconosciuta ad una indagine clinica per la loro completa asintomaticità, rimanendo un reperto autoptico occasionale od un reperto accessorio nel corso di un esame angiografico per altre patologie aorto-iliache.

La notevole quota di lesioni asintomatiche deriva dalla presenza di importanti circoli collaterali preformati tra le arterie intestinali:

- circolo pancreatico-duodenale, tra tripode celiaco ed arteria mesenterica superiore (A.M.S.);

- circolo del Riolano, tra A.M.S. ed arteria mesenterica inferiore (A.M.I.);

- circolo emorroidale, tra A.M.I. ed arterie ipogastriche.

Tali circoli collaterali permettono un valido e sufficiente compenso emodinamico qualora le lesioni si accrescano lentamente. Si ritiene che per lo sviluppo di una sintomatologia da insufficienza celiaco-mesenterica (I.C.M.) cronica sia necessaria l'occlusione di almeno due vasi intestinali.

I rari casi sintomatici per I.C.M. cronica presentano forti dolori addominali crampiformi, in relazione all'assunzione degli alimenti con una obiettività addominale (negativa) contrastante con la sintomatologica riferita; perdita di peso importante, legata più all'astensione volontaria dell'alimentazione per la paura del dolore che ad una sindrome organica da malassorbimento, peraltro concomitante. In alcuni casi si apprezzano soffi vascolari addominali in sede mesogastrica o periombelicale.

Diverso è il caso dell'I.C.M. acuta (sia di origine embolica, trombotica o compressiva) caratterizzata dai segni e sintomi clinici dell'infarto intestinale: dolore addominale intenso e continuo, shock e diarrea nelle prime 6 ore, che si attenuano nelle ore successive con scomparsa della peristalsi addominale.

 

 

STUDIO FUNZIONALE

 

Lo studio funzionale viene generalmente riservato a quelle lesioni che determinano un quadro di I.C.M. cronica e consiste fondamentalmente nei test di assorbimento intestinale con D-xilosio e con vitamina B12.

Questi test tuttavia raramente riescono ad evidenziare quadri di malassorbimento intestinale.

 

 

STUDIO MORFOLOGICO

 

Eco-doppler. Una indagine ecotomografica può essere condotta con un certo grado di attendibilità solo sull'arteria mesenterica superiore, ed eventualmente può essere corredata con una indagine flussimetrica (doppler) che permette di valutare l'importanza emodinamica delle lesioni.

 

Angiografia. La particolare disposizione delle arterie intestinali richiede l'uso di varie proiezioni angiografiche. Infatti la sola proiezione antero-posteriore non permette per la sovrapposizione dell'immagine aortica la valutazione di eventuali lesioni ostiali. Appare pertanto indispensabile anche una proiezione obliqua (fig.29x) o latero-laterale (fig.30x).

L'evidenza angiografica dei vari circoli collaterali intestinali e la direzione nel loro lume del mezzo di contrasto nei radiogrammi seriati, permette indirettamente di sospettare la presenza di lesioni nelle arterie intestinali.   

 

 

Letture consigliate

 

 

Bergan J.J., Yao J.S.T.: Arterial surgery: New Diagnostic and Operative Techniques. Grune & Stratton, Inc., Orlando, Florida, 1988.

Courbier R.: Basic for classificationof cerebral arterial diseases. Excerpta Medica, Amsterdam, The Netherlands, 1985.

Courbier R., Jausseran J.M., Reggi M.: Chirurgie des arrteriopathies digestives. Expansion Scientifique, Paris, France, 1975.

D’Addato M., Roversi R.: L’ateroma della carotide: Angiografia digitale e confronti morfologici. Aulo Gaggi ed., Bologna, 1987.

D’Addato M., Stella A.: Aneurismi dell’aorta addominale. Grafiche Ruggero, Bologna, 1988.

D’Addato M., Stella A., Pedrini L.: Ateroma della carotide e ischemia cerebrale reversibile. Editrice Compositori, Bologna, 1985.

D’Addato M., Zucchelli P.: Ipertensione removascolare e ischemia renale. Masson Italia, ed., Milano, 1984.

Dauzat M.: Ultrasonografia vascolare. Piccin Nuova Libraria, Padva, 1988.

Fiorani P., Pistolese R.I., Simonetti G.: Novità nella terapia delle arteriopatie. Antonio Delfino ed., Roma, 1987.

Moore W.S.: Surgery for cerebrovascular disease. Churchill Livingstone, Inc., New York, N.Y., 1987.

Nicolaides A.N., Yao J.S.T.: Investigation of vascular disorders. Churchill Livingstone, New York, N.Y., 1981.

 

 

M. D’Addato

Professore Ordinario

di Chirurgia Vascolare

Università di Bologna

 

 

M. Gessaroli

Ricercatore

Cattedra di Chirurgia Vascolare

Università di Bologna

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