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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA                                                                        

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IL COMA

 

Introduzione

 

Precisare i criteri in base ai quali giungere alla diagnosi, alla classificazione, alla terapia ed alla prognosi dello stato di coma costituisce ancor oggi un problema di grande interesse e di soluzione assai complessa. Esso comprende infatti alcuni aspetti di fondamentale importanza, quali:

- la definizione dei concetti di <<coscienza>>, di <<coma>> e degli stati intermedi di transizione fra queste due condizioni;

- l'analisi delle cause e la valutazione dei meccanismi patogenetici e fisiopatologici all'origine dei diversi tipi di coma;

- la scelta dei parametri clinici strumentali e di laboratorio necessari per elaborare una soddisfacente classificazione degli stati di coma. Aspetto questo strettamente connesso con la standardizzazione e la semplicità di rilevazione dei dati, elementi questi indispensabili a consentire un linguaggio comune e quindi a ridurre al minimo i margini di errore e la soggettività nella rilevazione del singolo dato;

- la precisazione, infine, degli scopi cui deve corrispondere la classificazione, sia per quanto concerne la valutazione dello stato attuale del paziente e sia per quanto riguarda il giudizio prognostico quoad vitam ovvero quoad valetudinem.

La gran mole dei dati clinici, strumentali e di laboratorio oggi disponibili, unitamente alle innumerevoli sfaccettature con cui può essere posto l'argomento qui affrontato, rende assai difficile, se non impossibile, un'esauriente discussione a proposito di tutte le differenti angolazioni del problema. Saranno pertanto affrontati gli aspetti fondamentali, ponendo l'accento soprattutto sull'esame clinico, che costituisce la base prima ed insostituibile del contatto con il malato e che resta l'unico mezzo di indagine sempre disponibile, anche in condizioni di estrema urgenza, e sulle misure terapeutiche di carattere generale, indispensabili in ogni paziente, indipendentemente dall'etiopatogenesi dello stato di coma.

 

 

Definizioni

 

In accordo con Frowein R.A. (1976) è possibile definire lo stato di coscienza come una condizione di generale vigilanza, di consapevolezza di se stessi e di reattività all'ambiente circostante.

In base a questa definizione si parla di ottundimento della coscienza (sonnolenza, obnubilamento, sopore, stupore) quando venga ad essere compromessa almeno una delle tre componenti che la definiscono. Si consideri, ad esempio, il caso di un paziente che apra gli occhi spontaneamente o a seguito di stimolo algogeno, ma che non sia in grado di eseguire ordini semplici (come capita nell'afasia sensoriale).

Lo stato di coma è quella condizione nella quale si ha perdita della vita di relazione con conservazione totale o parziale della vita vegetativa. A differenza di quanto si osserva negli stati di ottundimento della coscienza, un paziente in coma non apre gli occhi, non viene richiamato alla vita di relazione da stimolo esogeno alcuno, ma può talora presentare movimenti spontanei o in risposta a stimoli dolorifici.

Coma cronico, coma vigile o, meglio, stato vegetativo persistente è, infine, quella condizione, esito per lo più di trauma cranio-encefalico, di gravi anossie o di lesioni vascolari cerebrali, nella quale si ha perdita persistente dello stato di coscienza, con incapacità ad eseguire ordini semplici, assenza di risposte motorie finalizzate, incapacità ad emettere parole comprensibili, ma con apertura spontanea degli occhi, regolare ritmo sonno-veglia, autonomia respiratoria e cardiocircolatoria. La dizione stato vegetativo persistente sembra in questi casi la più adatta a sottolineare il contrasto esistente tra la compromissione delle attività mentali superiori e la conservazione della funzionalità del sistema nervoso vegetativo.

L'inquadramento qui proposto, seppur grossolano, pone le basi per delimitare in modo sufficientemente preciso i confini dello stato di coma. Aver voluto richiamare le definizioni sopra riportate non corrisponde ad uno sterile esercizio di nomenclatura, ma ad una reale esigenza di chiarezza: basti pensare che in passato il coma è stato talvolta restrittivamente considerato come una condizione di incoscienza con completa assenza di risposte motorie e di tono muscolare, mentre nella letteratura tedesca non recente uno stato di coma senza segni focali era considerato come una condizione di semplice incoscienza! Non è necessario insistere per sottolineare che le possibilità di confronto fra statistiche diverse dipendono dalla omogeneità nella definizione delle turbe di coscienza, potendo altrimenti lo stesso quadro clinico essere da taluni considerato coma e da altri non coma, con profonde ripercussioni sul giudizio prognostico, sulle direttive terapeutiche e sulla valutazione dei risultati di una ricerca.

 

 

Cause ed aspetti fisiopatologici

 

All'origine di uno stato di coma può esservi un ampio e multiforme spettro di patologie (tab.01Ax, tab.01Bx, tab.01Cx), che si possono utilmente suddividere, dal punto di vista clinico, in due grandi gruppi:

a) le malattie neurologiche nelle quali il cervello è primitivamente coinvolto (come, ad esempio, le meningoencefaliti, l'emorragia cerebrale, i traumi cranici ecc.);

b) le patologie extracraniche dove invece l'encefalo è coinvolto secondariamente (come, ad esempio, i comi metabolici, la carbonarcosi ecc.).

Ne deriva che il coma può presentare aspetti fisiopatologici alquanto diversi, caratterizzati tutti per altro da due fattori fondamentali: la sede e la natura della lesione.

In funzione delle strutture anatomiche interessate, il coma può essere sostenuto da grave disfunzione del tronco encefalico e/o degli emisferi. L'interessamento dell'una, dell'altra o di entrambe queste formazioni dipende dal tipo di insulto e dalla sua evoluzione. Infatti uno stato di coma può essere conseguenza:

- di un danno focale primitivo del tronco, quale è, ad esempio, quello conseguente a trombosi vertebrobasilare;

- di una patologia focale espansiva, che coinvolga secondariamente il tronco per invasione e/o compressione. Quando una lesione espansiva sopratentoriale raggiunge dimensioni tali da ridurre fortemente la compliance intracranica, aumenti anche piccoli del contenuto intracranico, normalmente ben tollerati, possono precipitare una condizione di ipertensione endocranica, con conseguente deformazione del parenchima cerebrale in funzione dei gradienti pressori intracranici. In altri termini si ha la formazione di ernie cerebrali con possibile interessamento del tronco encefalico. Questa evenienza non è rara nella branca clinica e dipende sia dalle dimensioni della lesione (neoplasia, ematoma, ascesso ecc.), sia dalla velocità con cui si forma;

- di un danno corticale e/o sottocorticale diffuso, con o senza interessamento del tronco: condizione questa che si osserva nel coma post anossico, conseguente per lo più ad arresto cardiocircolatorio. La maggiore sensibilità della corteccia cerebrale all'ischemia spiega perché il danno corticale preceda l'interessamento del tronco encefalico, che può anzi mancare del tutto ovvero essere assai modesto. In casi del genere l'evoluzione verso lo stato vegetativo persistente rappresenta l'evenienza più probabile.

Nel paziente in coma si possono identificare, in senso rostro-caudale, livelli di lesione simili a quelli che si notano nell'animale da esperimento dopo sezione, a vari livelli, del sistema nervoso centrale. Così nel progressivo deterioramento neurologico che si osserva nel paziente con ipertensione endocranica intrattabile si può riconoscere il passaggio da sindromi di livello diencefalico a sindromi di livello uncale, mesencefalico, pontino, bulbare. Un simile deterioramento implica, ovviamente, un progressivo approfondimento del coma ed un altrettanto progressivo aggravamento della prognosi. Va comunque sottolineato che la successione rostro-caudale non rappresenta necessariamente la regola e che esistono quadri clinici caratterizzati fin dall'esordio dall'interessamento delle parti più caudali, come del resto già accennato a proposito dell'impegno primitivo del tronco in caso di trombosi vertebrobasilare.

Per quanto riguarda la natura della lesione, l'aspetto più critico è rappresentato dalla sua reversibilità che gioca un ruolo cardine nella valutazione prognostica: un paziente con un quadro clinico di decerebrazione a seguito di emorragia cerebrale massiva ha una prognosi molto probabilmente infausta, mentre un coma metabolico o tossico (da barbiturici, ad esempio) può essere talora reversibile, anche in presenza di segni clinici ed elettroencefalografici compatibili con la diagnosi di morte. E' questo senza dubbio l'aspetto più critico della predizione prognostica: i medesimi segni clinici, indici dello stesso livello di lesione, possono, sul piano prognostico, avere un diverso valore in relazione al tipo di insulto ed alla sua reversibilità.

 

 

Anatomia patologica

 

Anche se l'edema cerebrale, raramente localizzato, costituisce l'elemento macroscopico dominante all'esame morfologico dell'encefalo di un paziente deceduto in stato di coma, non esiste specifica correlazione fra tipo ed entità dell'agente etiologico e le alterazioni anatomoistologiche osservate. Infatti, mentre è assai larga e sostanzialmente univoca la documentazione sui danni anatomici riscontrati negli stati di coma conseguenti a lesioni traumatiche, ad accidenti vascolari, a neoplasie, a patologie infettive, non altrettanto può dirsi per i casi di coma ad etiologia tossico-dismetabolica, dove le alterazioni morfologiche sono molto più sfumate e meno localizzate e comunque assai poco correlate con l'entità del disturbo funzionale.

 

 

Valutazione dello stato di coma

 

La valutazione dello stato di coma si basa sui risultati dell'indagine anamnestica e semeiologica e sui dati forniti dagli esami strumentali e di laboratorio. Fra questi ultimi vanno annoverati:

- le indagini neuroradiologiche: radiografia del cranio, tomografia assiale computerizzata (TAC), risonanza nucleare magnetica (RNM), angiografia, flusso ematico cerebrale (CBF), tomografia ad emissione di positroni (PET);

- le indagini neuroelettriche: elettroencefalogramma (EEG), potenziali evocati visivi, uditivi, somatosensoriali e motori (VEP, ABR, SEP e MEP rispettivamente);

- la misura della pressione intracranica (ICP);

- l'esame del liquor;

- ogni altra ricerca utile ad inquadrare la patologia che è all'origine del coma.

La valutazione clinica costituisce, come si è già accennato, la base della diagnostica e del monitoraggio dello stato di coma prima di qualsiasi altra indagine. E' quindi di fondamentale importanza conoscere a fondo la semeiologia del coma così da poterne ricavare il massimo delle informazioni possibili. E' anche importante ribadire che l'esame neurologico è l'unico mezzo diagnostico sempre disponibile, dal momento che non richiede alcuna attrezzatura, se non un'adeguata preparazione da parte dei sanitari curanti. Di qui la sua funzione particolarmente preziosa nelle situazioni di primo soccorso e quando debbano essere prese decisioni terapeutiche in condizioni di urgenza. Le indagini neuroradiologiche consentono di perfezionare la stima del danno neurologico sul piano morfologico e possono fornire anche utili indicazioni prognostiche. E' certo però che sul piano della valutazione delle turbe funzionali una posizione sempre più importante occupano le indagini neuroelettriche: si tratta infatti di metodiche non invasive (quindi esenti da complicazioni) e facilmente ripetibili al letto del malato, per cui consentono anche un monitoraggio nel tempo. Fra queste spiccano i potenziali evocati per il loro elevatissimo valore prognostico e per la possibilità da loro garantita di mantenere un contatto funzionale con il paziente anche dopo sedazione o addirittura durante coma barbiturico.

 

 

Semeiologia clinica del coma

 

Cardini della valutazione clinica del coma sono: il livello di coscienza, i riflessi del tronco, le risposte motorie, la postura e le alterazioni del ritmo respiratorio, queste ultime apprezzabili, ovviamente, solo nei pazienti in respiro spontaneo.

 

a) CLASSIFICAZIONI DEL COMA

 

Alcuni dei parametri appena citati, da soli ovvero associati a dati di laboratorio e/o indagini strumentali, sono stati utilizzati da diversi Autori per l'elaborazione di classificazioni o scale del coma. Scopo di queste scale è di consentire una indicazione sintetica della gravità o profondità del coma. Si tratta dunque di un obiettivo di grande interesse ed attualità, perché solo una determinazione agevole, affidabile e standardizzata del coma ne permette una migliore valutazione sul piano epidemiologico, fisiopatologico e terapeutico, rendendo altresì possibile precisi scambi di informazioni e non equivoci confronti fra casistiche diverse. Aspetti questi che nella pratica clinica non possono che tradursi in un più esatto inquadramento delle condizioni dei malati ed in una più corretta condotta terapeutica.

L'obiettivo suddetto si è tuttavia dimostrato assai difficile da raggiungere: si è infatti assistito nell'ultimo ventennio ad una notevole proliferazione della letteratura a questo proposito ed alla nascita di un gran numero di diverse classificazioni, le quali, più che portare reali vantaggi alla soluzione del problema, hanno non di rado contribuito ad aumentare la confusione ed il disorientamento.

Le scale di valutazione del coma oggi disponibili sono più di 20, gran parte delle quali studiate per gli stati di coma da trauma cranico (tab.02x). Esistono notevoli diversità fra di esse, sia per i criteri classificativi e sia per la scelta dei parametri e la nomenclatura impiegata. A grandi linee possono essere divise in classificazioni "a gradini" o "a punteggio" e in classificazioni puramente cliniche o clinico-strumentali.

Saranno qui ricordate solo le scale più largamente utilizzate nella pratica clinica.

 

Glasgow Coma Scale

 

La Glasgow Coma Scale prevede la valutazione combinata delle risposte oculari (E),verbali (V) e motorie (M) (tab.03x): ad ognuna di queste corrisponde un punteggio, la cui somma rappresenta lo score, cioè il livello di coscienza del paziente. Lo score risulta dalla somma delle migliori risposte oculari, verbali e motorie ottenute.

 

Va precisato che le risposte motorie devono essere ricercate nell'arto superiore e che con il termine flessione anomala si intende una delle seguenti risposte: movimenti di estensione e flessione alternati, postura in flessione stereotipata, flessione estrema del polso, abduzione dell'arto superiore o flessione delle dita sopra il pollice; le risposte dubbie vanno considerate come flessione normale. In presenza di risposte motorie diverse nei due lati, va sempre tenuto conto della migliore, poiché scopo della classificazione è la valutazione del livello di coscienza e non la ricerca di lesioni focali (infatti un paziente può essere, ad esempio, cosciente ed emiplegico). Lo stimolo algogeno appropriato e standardizzato è costituito dalla compressione del letto ungueale con una matita o del forame sovraorbitario con le dita, ma possono essere impiegati anche altri stimoli, quali un forte pizzicamento sul cucullare o una pressione sullo sterno con le nocche delle dita.

Lo score può assumere tutti i valori da un minimo di 3 ad un massimo di 15; quest'ultimo valore è quello che si ottiene dal paziente cosciente, mentre i punteggi progressivamente più bassi indicano una sempre maggiore compromissione della coscienza fino al coma, che corrisponde ad uno score uguale od inferiore a 8.

Introdotta nel 1974, la Glasgow Coma Scale è ora largamente usata in tutto il mondo per i suoi innegabili vantaggi. Fra questi vanno in particolare menzionati l'estrema semplicità, che ne permette l'impiego anche da parte di personale non specializzato, e la possibilità di consentire un linguaggio comune fra sanitari, aspetto questo particolarmente importante nel periodo che intercorre fra il primo soccorso ed il definitivo ricovero del malato in un centro specialistico, fase nella quale una sistematica valutazione dello score e delle sue variazioni fornisce un attendibile monitoraggio dell'evoluzione delle condizioni cliniche. La Glasgow Coma Scale evitando il ricorso a termini, quali decerebrazione e decorticazione, che richiedono un'interpretazione dei sintomi e non una loro semplice descrizione, ed escludendo altresì riferimenti alle condizioni del tono muscolare, riduce concretamente le possibilità di errate conclusioni diagnostiche.

Neanche la Glasgow Coma Scale è tuttavia esente da critiche. Infatti con la sola indicazione dello score globale si finisce con il conglobare in un unico valore situazioni che possono essere alquanto diverse. Ad esempio uno score di 7, risultante da E1 V2 M4 è probabilmente indicativo di un danno più grave di quello correlato a E1 V1 M5. Il che sta anche a significare che nella Glasgow Coma Scale le risposte motorie sono più probanti nel definire lo stato di coma rispetto a quelle oculari e verbali. Inoltre la Glasgow Coma Scale, mentre è senz'altro un indice assai soddisfacente per la determinazione del livello di coscienza nel paziente vigile e nel coma lieve, nel traumatizzato cranico grave si riduce, nella gran parte dei casi, ad espressione della sola valutazione della migliore risposta motoria, trattandosi per lo più di pazienti portatori di catetere tracheale.

La Glasgow Coma Scale, rilevata nel cranioleso entro un intervallo medio di tempo inferiore a 6 ore dall'impatto traumatico, è significativamente correlata con la prognosi nel bambino; nell'adulto la correlazione è meno evidente in fase precoce, ma diventa poi significativa entro le prime 24 ore.

 

Children Coma Score

 

Tra i limiti della Glasgow Coma Scale va certamente annoverata la sua inapplicabilità nei bambini di età inferiore a 36 mesi. Per la valutazione del livello di coscienza nella prima infanzia non è infatti corretto impiegare la Glasgow Coma Scale, perché il livello di integrazione delle funzioni superiori non consente, fisiologicamente, di ottenere risposte verbali comprensibili, né l'esecuzione di ordini semplici. Adatto al paziente pediatrico è il Children Coma Score, proposto da Ramondi A.J. e Hirschauer J. (1983) (tab.04x): strutturato in maniera analoga alla Glasgow Coma Scale, prevede punteggi compresi tra un minimo di 3 e un massimo di 11, confrontabili con i punteggi della Glasgow Coma Scale (tab.05x).

 

Scale di Auer e di Liegi

 

Poiché la prognosi del grave cranioleso dipende in gran parte dal danno del tronco encefalico, una più precisa valutazione del traumatizzato cranico deve necessariamente includere l'esame dei riflessi oculari. Sono così state elaborate alcune scale, in particolare quella di Auer L. e Coll. (1980) (tab.06x) e quella di Liegi (Born M. e Coll., 1982) (tab.07x), nell'intento di giungere ad un più esatto giudizio prognostico rispetto a quanto consentito dalla Glasgow Coma Scale.

Tuttavia la Scala di Auer considera tra i riflessi del tronco solo il riflesso pupillare, mentre quella di Liegi impone una classificazione dei medesimi in senso rostro caudale, criticabile almeno per due ragioni:

- la rilevazione del riflesso oculo cardiaco non è sempre agevole, né priva di rischi: pertanto la sua valutazione dovrebbe essere evitata, a meno che non si riveli un determinante prognostico di grande valore;

- l'ordinamento dei riflessi del tronco in senso rostro caudale, anche se giustificato dal punto di vista teorico ed anatomico, non sempre corrisponde alla realtà clinica, in quanto non consente di valutare adeguatamente tutti i pazienti. Infatti il riflesso oculocefalico può in alcuni casi essere anomalo od assente in presenza di un normale riflesso fotomotore. Sembra pertanto più opportuna la valutazione dei riflessi del tronco in maniera del tutto indipendente, senza alcun ordine gerarchico rigidamente precostituito, secondo un criterio a punteggio.

 

Scale a gradini

 

Fra le scale a gradini vanno ricordate quelle di Gerstenbrand F. e Lucking C.H. (1970) (tab.08x), di Plum F. e Posner J.B. (1972) (tab.09x) e soprattutto di Bozza-Marrubini M.L. (1983) (tab.10x). Quest'ultima è l'unica scala che affronta la problematica della classificazione del coma in relazione al tipo di insulto ed in particolare le differenze fra coma da cause tossiche e coma da lesioni traumatiche. Poiché tuttavia gli elementi semeiologici del coma sono sostanzialrnente gli stessi, indipendentemente dalla causa che li determina, una valida e dettagliata classificazione a livelli clinici quale è quella proposta da Plum e Posner consente senz'altro di stimare il livello di coscienza a prescindere dall'etiologia. Quest'ultimo fattore deve però essere tenuto in grande considerazione quando l'obiettivo sia la formulazione prognostica e non la sola valutazione dello stato attuale del malato.

Mentre le scale a punteggio presuppongono necessariarnente una totale indipendenza fra di loro dei diversi segni considerati, le scale a gradini consentono di evidenziare associazioni costanti o assai probabili di sintomi. Tuttavia queste ultime non raramente spezzano in caselle troppo rigide l'insieme dei dati che le costituiscono. In sostanza le scale a punteggio sono in generale di più semplice e facile rilevazione, mentre le scale a gradini esprimono in modo più sintetico il grado di disfunzione cerebrale in senso rostro caudale. E' altresì importante notare come in alcune classificazioni a gradini vengano utilizzate terminologie complesse, che richiedono un'interpretazione, almeno in parte soggettiva, dei fenomeni osservati (come ad esempio "decorticazione", "decerebrazione" ecc. ) e come compaiano anche segni neurovegetativi, quali l'entità della pressione arteriosa ed i valori della frequenza cardiaca: dati questi ultimi in non pochi casi scarsamente affidabili, e quindi tali da perdere gran parte del loro valore in termini sia diagnostici sia prognostici, in funzione di squilibri indotti da fattori extracranici e/o da provvedimenti terapeutici.

 

 

Si è già detto come scopo delle classificazioni o scale del coma sia fornire un'indicazione sintetica della gravità o profondità del coma e della relativa prognosi. Non è necessario insistere per sottolineare come sarebbe quanto mai utile poter restringere al massimo il numero delle classificazioni usate, con evidente vantaggio nelle possibilità di comunicazione fra centri diversi e di confronto fra casistiche differenti. A questo proposito è da stigmatizzare la deprecabile abitudine, tuttora in atto, di definire nella documentazione sanitaria lo stato di coma con aggettivi ovvero con numeri, senza però precisare la scala cui fanno riferimento: prassi questa, non solo priva di logica, ma anche di ogni reale significato clinico. Per quanto riguarda in particolare l'utilità delle scale nella formulazione del giudizio prognostico sarebbe opportuno stabilire per ogni tipo di coma se vi siano e quali siano i determinanti prognostici più precisi e sensibili ed usare solo questi nella elaborazione delle scale. Alcune delle classificazioni citate fanno riferimento ad una gran moltitudine di parametri che sembrano dettati più da presupposti teorici o da criteri anatomici, che non da sicuri accertamenti sul loro reale valore prognostico. Nel cranioleso sono stati individuati alcuni segni molto importanti sul piano prognostico, molti dei quali si sono rivelati utili già nelle primissime ore immediatamente susseguenti al trauma (tab.11x). L'età è uno di questi fattori: tuttavia più che considerare il paziente pediatrico in maniera genericamente più ottimistica di un adulto, sarebbe vantaggioso valutare il valore predittivo di ogni singolo segno clinico in relazione all'età ed assegnargli quindi un peso diverso, così da ottenere una formulazione prognostica più concreta sul futuro del piccolo paziente. Un ulteriore perfezionamento sul piano dell'accuratezza prognostica potrebbe essere la determinazione della specificità, della sensibilità e del potere predittivo di ciascun segno: diventerebbe così possibile determinare se un dato sintomo, in caso di errore, fornisca più facilmente valutazioni falsamente ottimistiche (bassa sensibilità) o falsamente pessimistiche (bassa specificità). L'unione di due segni, di cui uno molto sensibile e l'altro molto specifico, potrebbe consentire una notevole diminuzione del margine di errore, economizzando il numero dei dati necessari alla predizione. Ad esempio, nel bambino la migliore coppia di parametri, per una valutazione basata su due soli segni sembra essere il riflesso oculocefalico e la necessità di assistenza respiratoria. Infine è da rilevare come le scale finora proposte utilizzino per lo più valori di punteggio convenzionali e di fatto arbitrari: una scala finalizzata alla valutazione della prognosi dovrebbe viceversa ricorrere a punteggi che riflettano il reale contributo che ciascun segno porta alla sua definizione.

 

 

b) RIFLESSI DEL TRONCO

 

L'esame dei riflessi del tronco permette di definire con buona accuratezza il grado di disfunzione del tronco encefalico.

 

- Diametro e reazioni pupillari alla luce. Le pupille vanno esaminate sia per quanto concerne il diametro (miosi, midriasi) sia per quanto riguarda la reattività alla luce (reagenti, areagenti), ponendo particolare attenzione al manifestarsi di differenze fra i due lati.

Quando si valutano le pupille in un paziente in coma bisogna sempre escludere eventuali lesioni nervose periferiche, danni a carico del bulbo oculare e pregresse somministrazioni di farmaci in grado di interferire sui risultati dell'esame neurologico (come ad esempio atropina ed analgesici narcotici) per evitare diagnosi precipitose, quanto fuorvianti. In particolare, data l'attuale elevata incidenza di tossicomanie, l'osservazione di pupille puntiformi in un paziente giovane, caduto improvvisamente in coma, deve sempre far sospettare un'overdose di eroina, soprattutto se coesiste ipoventilazione o apnea.

La via afferente del riflesso fotomotore è costituita dal II nervo cranico; la via efferente dal III (fig.01x).

Nel paziente in coma la presenza di anisocoria depone per la presenza di un'ernia transtentoriale. In una simile evenienza infatti l'uncus comprime il III nervo cranio all'uscita dal mesencefalo, con conseguente blocco delle fibre pupillocostrittrici provenienti dal nucleo di Edinger-Westphal, per cui ne risulta midriasi omolaterale. Se l'ernia progredisce ulteriormente, l'interessamento anche del III nervo cranico controlaterale può far evolvere il quadro verso la midriasi areagente bilaterale che, se persistente, è indice di decerebrazione. L'anisocoria è quindi segno di importante compromissione encefalica, con rischio serio di evoluzione verso il danno cerebrale irreparabile. E' pertanto una condizione che richiede una rapida diagnosi di natura della lesione e, se possibile, il suo tempestivo trattamento.

Uno stato di miosi serrata (o pupille a punta di spillo), reagente, è spesso dovuta alla presenza di lesioni a livello pontino: talora la reazione pupillare alla luce non è facilmente evidenziabile proprio per il grado estremo di miosi.

 

- Posizione degli occhi. Una deviazione coniugata degli occhi, in assenza di convulsioni, è segno di lesione dei centri dello sguardo coniugato posti nella regione frontale posteriore omolaterale e/o nella metà controlaterale del ponte (fig.02x). Se il danno è a livello emisferico, gli occhi deviano verso il lato sede della lesione, se il danno è invece a livello pontino, la deviazione dello sguardo è dal lato opposto a quello sede della lesione.

 

- Riflesso oculocefalico. La via afferente del riflesso oculocefalico è costituita dai propriocettori dei muscoli del collo e forse anche dalle vie vestibolari. Da queste strutture i segnali raggiungono il centro pontino per lo sguardo coniugato, da dove vengono inviati bilateralmente al nucleo del III nervo cranico, tramite il fascicolo longitudinale mediale, ed al nucleo del VI. Il collegamento bilaterale consente la stimolazione dei motoneuroni di un lato e l'inibizione di quelli dell'altro. Ne consegue che la stimolazione della via afferente produce l'abduzione di un occhio e l'adduzione dell'altro, dato che il III paio innerva il muscolo retto mediale e il VI paio innerva il muscolo retto laterale: si ha, in definitiva, una deviazione coniugata degli occhi.

Per evocare il riflesso oculocefalico si ruota bruscamente da un lato la testa del paziente, sollevata di circa 30°, inducendo, se il riflesso è presente, un movimento degli occhi in direzione opposta a quella del movimento di rotazione impresso al capo, seguito dal ritorno alla posizione di riposo. Il riflesso oculocefalico è anche conosciuto come "test degli occhi di bambola", per l'evidente similitudine con quanto si osserva nei movimenti degli occhi di una bambola al variare della sua posizione. Nel paziente traumatizzato, prima di evocare il riflesso oculocefalico, è opportuno assicurarsi dell'assenza di eventuali lussazioni o fratture delle vertebre cervicali, nel qual caso potrebbe verificarsi infatti una lesione acuta del midollo cervicale.

 

Il riflesso oculocefalico è fisiologicamente presente nei primi mesi di vita, poi scompare per il controllo inibitore esercitato dai centri superiori; ricompare quindi negli stati di coma per fenomeno di liberazione: nel coma profondo presenta tuttavia anomalie o può essere anche del tutto assente, in rapporto con il grado di interessamento del tronco encefalico.

L'alterazione iniziale del riflesso oculocefalico di più comune riscontro nella pratica clinica è l'oftalmoplegia internucleare superiore (o sindrome del fascicolo longitudinale mediale), che consiste nella mancata adduzione dell'occhio: rotando il capo del paziente da un lato si osserva allora la sola abduzione di un occhio, mentre l'altro rimane immobile. Assieme all'anisocoria ed alla midriasi bilaterale, l'anormalità o l'assenza del riflesso oculocefalico sono segno di interessamento del tronco cerebrale, legato molto spesso alla presenza di un'ernia transtentoriale discendente. Molto più rara è l'osservazione di un'oftalmoplegia internucleare inferiore, provocata dall'interruzione delle fibre situate fra il centro per lo sguardo coniugato e il nucleo del VI nervo cranico: si osserva allora la sola adduzione. Un quadro del genere può talora osservarsi in caso di lesioni pontine (fig.03x).

E' da ribadire che il riflesso oculo cefalico nel trauma cranico grave è uno dei segni dotati del maggior valore prognostico, sia nell'adulto sia nel bambino, essendo la sua anormalità o assenza significativamente associata con una prognosi sfavorevole. La completa scomparsa del riflesso oculocefalico nel coma è per lo più legata ad una grave compromissione del tronco encefalico.

 

- Riflesso ciliospinale. Consiste nell'aumento del diametro pupillare in risposta all'applicazione di uno stimolo doloroso, quale può essere un forte pizzicamento del cucullare.

Le vie afferenti del riflesso ciliospinale sono quelle nocicettive, mentre la via efferente è rappresentata dall'effettore viscerale simpatico, situato nel diencefalo, le cui fibre, percorrendo il tronco cerebrale, giungono fino al centro ciliospinale nel midollo spinale, a livello della prima vertebra toracica. Da qui le fibre del secondo neurone raggiungono la catena simpatica paravertebrale per terminare nel ganglio stellato. Le fibre del terzo neurone postgangliare penetrano nel cranio assieme all'arteria carotide interna e vanno ad innervare il muscolo radiale dell'iride (fig.04x).

Il riflesso ciliospinale va considerato come una risposta simpatica allo stimolo doloroso: per la sua presenza è richiesta, oltre all'integrità delle vie efferenti periferiche, un buon funzionamento delle vie sensitive e di quelle viscerali simpatiche del tronco cerebrale.

Negli stati di coma il riflesso ciliospinale scompare in relazione ad una grave disfunzione del tronco encefalico, analogamente a quanto succede per il riflesso fotomotore ed il riflesso oculocefalico.

 

- Riflesso corneale e trigemino facciale. Il riflesso corneale consiste nella chiusura delle palpebre in risposta allo sfioramento della cornea con un batuffolo di cotone o un filo di garza. L'arco afferente è dal V nervo cranico, quello efferente dal VII (fig.05Ax, fig.05Bx, fig.05Cx).

Va premesso che nel coma gli occhi sono di norma chiusi finché non venga ristabilito il ritmo sonno-veglia, fenomeno che avviene di solito in condizioni di cronicità o in fase di guarigione; una resistenza al sollevamento delle palpebre in un paziente in stato di incoscienza depone più facilmente per una crisi isterica o per un blefarospasmo.

Il riflesso corneale può essere monolateralmente torpido o assente in caso di emiplegia. Nel coma post traumatico il riflesso corneale può essere assente monolateralmente a causa di paralisi periferica provocata, ad esempio, da frattura dell'osso temporale.

Il riflesso corneale, infine, può essere torpido o assente negli insulti vascolari nel territorio vertebrobasilare conseguentemente a danni a livello pontino.

Tra i riflessi del tronco il corneale è l'unico a non essere in alcun modo correlato con la prognosi del cranioleso, essendo questa, come più volte rilevato, in relazione diretta con la gravità delle lesioni a carico del tronco encefalico. Le alterazioni del riflesso corneale sono essenzialmente in rapporto con quadri di emiplegia, non necessariamente conseguenti ad ernia transtentoriale, ovvero sono il risultato di una paralisi periferica del VII nervo cranico.

Per esaminare il riflesso trigeminofacciale si comprime con l'unghia il forame sovraorbitario: la risposta consiste in una smorfia facciale omolaterale. Quest'ultimo riflesso è più facilmente evocabile nel paziente in stato stuporoso o in coma superficiale, piuttosto che nel paziente in coma profondo.

 

 

c) FUNZIONE MOTORIA

 

L'esame della funzione motoria nel paziente in coma comprende la valutazione del tono muscolare, dei riflessi profondi e delle risposte motorie allo stimolo doloroso.

Deve essere inoltre sempre considerata la presenza di eventuali posture stereotipate. In generale si può affermare che le alterazioni della funzione motoria e della postura sono correlate con il grado di profondità del coma e quindi anche con la prognosi.

Le risposte motorie allo stimolo nocicettivo possono essere appropriate, inappropriate o assenti, in rapporto con il livello e l'entità del danno cerebrale. Con il termine di risposta appropriata si intende la flessione normale, la localizzazione dello stimolo e l'esecuzione di ordini semplici (risposte cui la Glasgow Coma Scale attribuisce, rispettivamente, i punteggi da 4 a 6). Le risposte inappropriate sono la rigidità decorticata e la rigidità decerebrata (3 e 2 punti nella Glasgow Coma Scale): la prima consiste in una flessione spastica dell'arto superiore associata ad estensione dell'arto inferiore e flessione plantare del piede; la seconda in estensione ed iperpronazione bilaterale degli arti superiori ed estensione degli arti inferiori e flessione plantare dei piedi (talora può essere anche presente opistotono).

La rigidità decorticata è segno di lesioni a livello della capsula interna o del peduncolo cerebrale mentre la rigidità decerebrata è espressione di lesione mesencefalica. La rigidità decerebrata, che sperimentalmente si osserva nell'animale mesencefalico, va considerata fenomeno di esaltazione dei riflessi di postura antigravitaria di sostegno filogeneticamente più antichi; la sua presenza è legata al mantenimento dell'integrità delle vie vestibolo-spinali e delle radici spinali anteriori e posteriori. Sia nella rigidità decorticata che in quella decerebrata è presente ipertono muscolare, espressione di sofferenza cortico-spinale ed extra piramidale. L'ipertono non va tuttavia confuso con la paratonia, che è resistenza plastica e pressoché uniforme al movimento passivo verso qualsiasi direzione ed è frequente negli stati di coma superficiali ed in quelli di origine metabolica.

Il deterioramento rostro-caudale da lesione sopratentoriale espansiva, cui si è fatto più volte riferimento, sul piano motorio è schematicamente caratterizzato da tappe successive che sono la flessione anomala, la rigidità decorticata o l'emiplegia controlaterale al focolaio di lesione, la rigidità decerebrata e, infine, la tetraplegia flaccida.

 

L'emiplegia è segno di lesione diretta delle vie motorie centrali o di compressione da parte di un'ernia transtentoriale. In quest'ultimo caso si può talvolta osservare un'emiplegia omolaterale paradossa indotta dalla compressione della base del mesencefalo contro il bordo del tentorio, controlateralmente al focolaio espansivo. Pertanto la ricerca dei segni di emiplegia nel coma, assieme ai riflessi oculari riveste notevole importanza, potendo essere un prezioso indizio di un'incipiente deterioramento delle condizioni neurologiche. Dal lato emiplegico il riflesso corneale è frequentemente torpido o assente e la palpebra è ipotonica o flaccida. All'ispezione, inoltre, nel paziente sprovvisto di catetere tracheale, si può osservare dal lato emiplegico un maggiore rigonfiamento della guancia durante l'espirazione. In fase acuta gli arti emiplegici sono per lo più ipotonici o flaccidi, mentre l'ipertono è presente in condizioni di cronicità. Per valutare il tono degli arti si può eseguire il "test della caduta" sollevando e lasciando successivamente cadere entrambe le braccia sul letto: il braccio emiplegico, essendo flaccido, cade sul letto più pesantemente e più bruscamente. In maniera analoga si procede per la valutazione degli arti inferiori. Ovviamente questo test ha significato solo in presenza di asimmetrie di tono nei due lati. La diagnosi di emiplegia è, infine, completata dalla ricerca del segno di Babinski, che deve essere peraltro valutato con molta prudenza per evitare conclusioni fuorvianti. L'estensione dell'alluce può essere, nel coma profondo, presente bilateralmente anche in assenza di lesioni delle vie piramidali. La diagnosi di emiplegia non va quindi basata sulla sola presenza del segno di Babinski, che, viceversa, rappresenta un ulteriore dato di conferma quando siano presenti gli altri segni e quando si manifesti unilateralmente dal lato emiplegico.

I segni di meningismo, quando presenti, sono indici per lo più di lesione irritativa dello spazio subaracnoideo o di emorragia. Tuttavia nel coma profondo questi segni, che hanno il significato funzionale di una contrattura muscolare di difesa, possono mancare per l'abolizione dei riflessi e/o del tono muscolare. Pertanto, per formulare od escludere con certezza la diagnosi di meningite in un paziente in coma bisogna sempre ricorrere alla rachicentesi.

 

 

d) RESPIRAZIONE

 

L'esame del paziente in coma comprende anche la valutazione delle alterazioni del ritmo respiratorio indotte dal danno encefalico. La semeiologia delle turbe respiratorie ha perso oggi, in realtà, gran parte del suo significato, poiché nei pazienti in coma viene per lo più garantita la pervietà delle vie aeree attraverso cateterizzazione tracheale e la regolarità del ricambio gassoso mediante ricorso alla ventilazione artificiale. L'osservazione delle alterazioni del ritmo respiratorio conserva peraltro ancora tutta la sua validità nelle prime fasi del soccorso al paziente in coma, che può presentare (fig.06x):

- il respiro periodico (di Cheyne-Stokes) nelle lesioni sottocorticali;

- l'iperventilazione neurogena centrale nelle lesioni mesencefaliche;

- il respiro apnoico nelle lesioni rostrali del ponte;

- il respiro a grappolo nelle lesioni caudali del ponte;

- il respiro atassico nelle lesioni bulbari.

Tra queste alterazioni, l'iperventilazione neurogena centrale è l'unica che può rendersi evidente in corso di ventilazione meccanica, impedendo l'adattamento del paziente al ritmo imposto dal respiratore. Va sottolineato che l'iperventilazione neurogena centrale può essere anche conseguenza di una severa acidosi del liquor, tale da stimolare il centro respiratorio, pur in assenza di lesioni anatomiche a livello mesencefalico. In ogni caso l'iperventilazione neurogena centrale è un segno di grave sofferenza cerebrale, che può talvolta trarre in inganno il medico inesperto: i tentativi di respirazione autonoma del paziente possono infatti venir scambiati per la ripresa di una normale ventilazione spontanea, fenomeno che però contrasta con la presenza di segni di coma profondo.

 

Va, infine, ribadito che l'esame clinico deve essere sempre preceduto, o quanto meno accompagnato, ovviamente quando possibile, da una attenta anamnesi, che il più delle volte è in grado di orientare verso la giusta diagnosi, permettendo di evitare un impiego indiscriminato e non di rado fuorviante di indagini diagnostiche. Tuttavia anamnesi ed esame clinico, pur fornendo utili indicazioni sul tipo di intervento terapeutico da adottare e sulla sua efficacia, non consentono quella precisione e tempestività che sono possibili solo attraverso una mirata utilizzazione delle indagini strumentali e degli esami di laboratorio.

 

 

Indagini neuroradiologiche

 

a) Radiografia del cranio. E' di utilità pressoché esclusiva negli stati di coma da trauma cranico per evidenziare l'eventuale presenza di fratture del cranio e della colonna.

 

b) Tomografia assiale computerizzata (TAC). E' un'indagine essenziale nella diagnostica del coma da danno cerebrale organico, poiché consente di valutare la sede e la natura delle lesioni, l'esistenza di processi occupanti spazio e la presenza e l'estensione dell'edema cerebrale perilesionale.

Tutti i pazienti, in cui si sospetti l'esistenza di una lesione occupante spazio, sopra- o sottotentoriale, o di una lesione distruttiva, dovrebbero essere sottoposti ad indagine TAC, consentendo questa l'identificazione rapida delle lesioni suscettibili di trattamento neurochirurgico, la discriminazione delle lesioni ischemiche da quelle emorragiche e, più in generale, la valutazione dell'entità del danno intracranico. La TAC è inoltre in grado di evidenziare condizioni di ipertensione endocranica, attraverso l'interpretazione di segni indiretti, quali lo shift della linea mediana, le dimensioni del complesso ventricolare e i rilievi di erniazione transtentoriale discendente. La TAC presenta invece limiti nella corretta valutazione delle lesioni primitive del tronco encefalico, delle lesioni ischemiche e flogistiche in fase precoce e dell'edema cerebrale post-traumatico.

Sul piano prognostico i segni rilevabili alla TAC che sembrano possedere maggior valore predittivo sono lo shift della linea mediana e la rotazione del tronco cerebrale (segno di erniazione transtentoriale in fase avanzata) (fig.07x). Se la presenza di uno shift della linea mediana sembra in grado di anticipare l'evoluzione verso un rapido deterioramento neurologico nei pazienti che presentino un elevato punteggio della Glasgow Coma Scale al momento dell'esecuzione della TAC medesima, la persistenza di un grave shift della linea mediana è indice prognostico infausto. Nel coma post traumatico il reperto di una rotazione del tronco è per lo più correlato con importanti turbe funzionali dello stesso, evidenziate anche da alterazioni nei potenziali evocati uditivi e da scomparsa parziale o totale dei riflessi oculari: un simile quadro ha pure significato prognostico infausto.

 

c) Risonanza magnetica nucleare (NMR). La risonanza magnetica nucleare è un'indagine diagnostica relativamente recente che consente di ottenere un'immagine tomografica in funzione del diverso contenuto di protoni all'interno delle strutture studiate. La NMR ha permesso di allargare le possibilità diagnostiche nel campo delle patologie intracraniche poiché è in grado di identificare variazioni strutturali con una sensibilità superiore rispetto a quanto consentito dalla TAC. Tuttavia, mentre il riscontro di lesioni ischemiche è più precoce con la NMR rispetto alla TAC, l'opposto avviene in presenza di lesioni emorragiche in fase acuta. La NMR sembra inoltre aver aperto una via alla diagnosi diretta, sia qualitativa che quantitativa, dell'edema cerebrale, consentendo di valutarne le diverse fasi, seguirne l'evoluzione e chiarirne la dinamica molecolare. Interessanti risultati sono stati anche raggiunti nell'identificazione di encefalopatie dismetaboliche e/o tossiche nei soggetti con reperto TAC del tutto normale o dubbio.

 

 

d) Angiografia. Le indicazioni all'impiego dell'angiografia sono ovviamente molto diminuite dopo l'avvento della TAC e della NMR; essa rimane tuttavia un esame insostituibile nella diagnostica della patologia vascolare (aneurismi endocranici, malformazioni artero-venose).

 

e) Flusso ematico cerebrale (CBF). La determinazione del flusso ematico cerebrale mediante inalazione o somministrazione endovenosa di radionuclidi (Xe 133) è una metodica di indagine che tende ad essere progressivamente più utilizzata sia nella valutazione diagnostica che nel giudizio prognostico degli stati di coma. Del tutto innocua, in quanto non invasiva, essa consente di stimare le modificazioni della perfusione cerebrale correlate al danno encefalico e di osservare le variazioni indotte dal trattamento terapeutico. Il mappaggio del CBF ottenuto, analogamente all'EEG, mediante interpolazione dei dati rilevati da registrazioni multicanali, consente di avere un'immagine bidimensionale con una ragionevole risoluzione spaziale (fig.08x - fig.09x).

Il CBF può essere valutato anche con la SPECT (tomografia computerizzata ad emissione di fotone singolo) mediante gamma camera rotante o sistemi multicanale. Il vantaggio essenziale della SPECT è di consentire un'imaging tomografico con buona risoluzione spaziale. Tuttavia anche questa metodica presenta limiti non trascurabili.

 

f) Tomografia ad emissione di positroni (PET). I limiti maggiori della SPECT sono certamente superati dalla PET,  metodica che è però di utilizzazione clinica ancora assai limitata. L'indagine mediante PET ha il grande vantaggio di fornire risposte quantitative è quindi di maggior valore diagnostico e prognostico. Inoltre l'utilizzo di radioisotopi fisiologici permette di condurre indagini dinamico funzionali, non altrimenti effettuabili, per la determinazione della dimensione di una lesione, per la valutazione dell'attività metabolica e del flusso ematico ad essa correlata e per il monitoraggio degli effetti del trattamento farmacologico.

 

 

Indagini neuroelettriche

 

Il ricorso ad indagini neuroelettriche nella valutazione del paziente in coma è assai vantaggioso, in quanto si tratta di tecniche non invasive, e quindi esenti da complicazioni, facilmente eseguibili e ripetibili al letto del malato, capaci, infine, di fornire informazioni preziose sul grado di disfunzione neuronale e sulla sua evoluzione.

 

a) Elettroencefalogramma (EEG). L'elettroencefalogramma convenzionale consente di perfezionare la valutazione del danno neurologico ricavata dal solo esame clinico e, soprattutto nei casi in cui l'esame obiettivo sia reso inaffidabile (ad esempio, a causa dell'impiego di bloccanti neuromuscolari o per la presenza di estese lesioni cranio-facciali), permette di monitorare l'evoluzione delle condizioni neurologiche.

In termini del tutto generali i seguenti aspetti elettroencefalografici sono ritenuti importanti nella valutazione dello stato di coma di origine traumatica, vascolare e ischemica:

- grado di disorganizzazione: un tracciato altamente disorganizzato è indice di prognosi infausta;

- ritmo di fondo: quanto più il ritmo è rappresentato da attività lenta, in assenza di sedativi ed anestetici, tanto più ha significato predittivo sfavorevole. Le lesioni sottotentoriali determinano solitamente un'attività lenta bilaterale. Esiste tuttavia un'importante eccezione, rappresentata dall'"alfa coma": occasionalmente pazienti in coma per lesioni del tronco di origine vascolare o traumatica mantengono una normale attività alfa non influenzabile da stimoli. L'"alfa coma" ha una prognosi infausta nel 70% dei casi circa. In generale l'attività alfa nel coma è distinguibile dal normale ritmo alfa, per la localizzazione topografica: il ritmo alfa è normalmente in sede occipitale, mentre nel coma l'attività alfa è di localizzazione prevalentemente frontale e/o centrale;

- reattività allo stimolo: l'assenza di risposta alla stimolazione dolorosa è indice di prognosi infausta. Un tracciato costituito da attività lenta, di basso voltaggio, areagente si riscontra in presenza di danni corticali gravi ed estesi, la cui prognosi è infausta;

- presenza di anomalie focali dei ritmi: è espressione di danno localizzato più o meno esteso. Lesioni sopratentoriali generano abitualmente anomalie elettroencefalografiche focali, in quanto coinvolgono direttamente la corteccia oppure interrompono le proiezioni talamo-corticali. Prima manifestazione è, in genere, la comparsa di un'attività lenta o una riduzione del voltaggio. Se il danno è esteso e compare shift della linea mediana, può manifestarsi anche in uno stato di sofferenza a carico dell'emisfero controlaterale e quindi vari gradi di anomalie bilaterali dei ritmi.

Alcuni quadri EEG consentono inoltre ulteriori valutazioni diagnostiche e prognostiche:

- attività delta ritmica intermittente: compare generalmente nei primi stadi del coma contemporaneamente o dopo disorganizzazione e/o perdita del ritmo alfa e comparsa di attività lenta. E' maggiormente rappresentata negli adulti nelle regioni frontali e nei bambini in quelle occipitali. Consiste in bursts di alto voltaggio, regolari, mono o bilaterali, bloccati dall'apertura degli occhi. Si manifesta nelle lesioni sopratentoriali emisferiche o mediane, che aumentano la pressione a livello del terzo ventricolo, e nelle encefalopatie tossico-metaboliche e degenerative, che coinvolgono prevalentemente la sostanza grigia sottocorticale e corticale;

- tracciato alternante: è caratterizzato da periodi alterni di attività delta diffusa di alto voltaggio e potenziali irregolari di basso voltaggio, reagenti alla stimolazione ed alle modificazioni delle funzioni autonomiche. Questi quadri compaiono nelle patologie che coinvolgono la sostanza bianca sottocorticale.

- fenomeni periodici, che comprendono i seguenti quadri:

1) burst suppression: si riscontra generalmente nelle intossicazioni acute da barbiturici o altri farmaci depressori del sistema nervoso centrale, nelle encefalopatie ipossico-ischemiche e nell'ipotermia profonda; 2) scariche epilettiformi periodiche bilaterali: conseguono generalmente a grave episodio anossico-ischemico ed hanno prognosi assai riservata; 3) scariche epilettiformi in fase critica ed intercritica: si tratta di fenomeni focali o generalizzati che si osservano soprattutto in pazienti con contusioni cerebrali o ematomi intercerebrali e nelle encefalopatie metaboliche ed anossiche.

L'EEG convenzionale, pur restando insostituibile, presenta tuttavia diversi limiti, in quanto:

- il tracciato resta normale o presenta scarse alterazioni in molte patologie neurologiche;

- l'enorme lunghezza della registrazione si presta assai poco al monitoraggio continuo;

- la localizzazione del danno cerebrale è per lo più assai grossolana;

- l'analisi visiva del ritmo di fondo è più di tipo qualitativo che di tipo quantitativo.

In questi ultimi anni sono state perciò sviluppate tecniche di analisi computerizzata del segnale tali da permettere la valutazione quantitativa del tracciato e la compressione di brani più o meno lunghi della registrazione. Fra questi sistemi sono da ricordare quelli mono o bicanali, assai utili per il monitoraggio del ritmo di fondo in sala operatoria e nelle unità di terapia intensiva, e gli apparecchi che utilizzano l'analisi spettrale mediante trasformata di Fourier e successiva rappresentazione mediante CSA (Compressed Spectral Array). Quest'ultima tecnica permette di aumentare notevolmente il potere di risoluzione dell'EEG nell'analisi del ritmo di fondo rispetto al tracciato convenzionale (fig.10x). Il mappaggio dell'EEG, infine, consente di trasformare il segnale convenzionale in un'immagine dell'attività elettrica cerebrale spontanea. Attraverso il mappaggio dell'EEG è possibile migliorare la rappresentazione della localizzazione di un focolaio ed analizzare la distribuzione spaziale dei ritmi sullo scalpo (fig.11x).

 

 

b) Potenziali evocati. A differenza dell'EEG, che è la registrazione dell'attività elettrica cerebrale spontanea, i potenziali evocati consistono nella registrazione e nella misurazione delle variazioni di potenziali bioelettrici cerebrali indotte da uno stimolo specifico. Attualmente sono utilizzati nella pratica clinica i potenziali evocati visivi (VEP)(fig.12x), uditivi del tronco encefalico (ABR)(fig.13x), somatosensoriali (SEP)(fig.14x) e motori (MEP)(fig.15x).

I potenziali evocati a latenza breve forniscono una misura oggettiva della funzione dei sistemi e dei tratti sensoriali ad essi specificamente correlati. Essi non sono influenzati, grossolanamente, dallo stato di coscienza del paziente, né dalla somministrazione di sedativi ed anestetici generali. La loro utilità clinica è correlata alla possibilità:

- di dimostrare anomalie funzionali del sistema sensoriale, quando anamnesi ed esame neurologico siano equivoci o non affidabili;

- di contribuire a definire la distribuzione anatomica di un danno neurologico;

- di monitorare le modificazioni oggettive delle condizioni neurologiche;

- di fornire indicazioni utili alla formulazione della diagnosi e/o della prognosi.

Per la stretta relazione anatomica esistente tra le vie uditive centrali e formazione reticolare ascendente (fig.16x), gli ABR sono in grado di fornire indicazioni attendibili sulla prognosi del coma post-traumatico. Gli ABR sono correlati con le alterazioni dei riflessi del tronco, ad esclusione di quello corneale, ma non con l'atteggiamento posturale e con la durata del coma. Accanto ai pregi, gli ABR presentano tuttavia anche alcuni limiti:

- impossibilità di impiego della metodica in caso di lesioni dell'organo di senso;

- presenza di falsi negativi in caso di lesioni focali del tronco non coinvolgenti le vie uditive o di danno corticale o sotto corticale diffuso senza interessamento del tronco;

- assenza di informazioni quoad valetudinem.

Anche se, a rigore, gli ABR non potrebbero dare informazioni sulla qualità della sopravvivenza, in quanto non esplorano la funzione corticale, l'esperienza dimostra che esiste una certa correlazione fra alterazioni degli ABR e grado di disabilità. In certe situazioni, l'impiego associato di SEP e/o di VEP, permettendo di valutare la presenza di danni focali o diffusi a carico delle strutture emisferiche, può migliorare il giudizio prognostico rispetto al solo impiego degli ABR. In sostanza, nel coma post-traumatico, SEP e ABR sono indubbiamente indici sensibili della funzionalità, rispettivamente, emisferica e del tronco encefalico; la combinazione dei dati forniti dai SEP e ABR può compensare i limiti di ciascuna metodica e fornire una migliore valutazione della sede ed estensione del danno cerebrale, oltre ad un più attendibile indirizzo prognostico ( fig.17x, fig.18x). Per quanto riguarda i MEP, la loro recente introduzione nella pratica clinica non consente di trarre conclusioni definitive, sul loro ruolo nella diagnosi e nella prognosi del coma post-traumatico, anche se l'esperienza finora maturata suggerisce un loro elevato valore prognostico; inoltre i MEP sembrano un indice più preciso di danno delle vie piramidali rispetto ai dati forniti dall'esame clinico del paziente in coma (fig.19x). Negli stati di coma da cause ischemiche il monitoraggio seriato dei SEP è in grado di definire meglio la prognosi rispetto alla registrazione singola; nello stroke vertebro-basilare gli ABR si dimostrano indagine diagnostica preziosa, in quanto in grado di fornire indicazioni sulla sede ed entità del danno del tronco quando la TAC non è ancora significativa.

Nella valutazione del coma post-anossico gli ABR risultano meno affidabili del SEP, ma anche questi presentano alcuni limiti.

Nella formulazione della diagnosi di morte con criteri cerebrali l'obiettivo principale è dimostrare l'irreversibilità del danno del tronco encefalico e quindi l'irrecuperabilità della sua funzione. Il ricorso combinato agli ABR ed ai SEP sembra migliorare la sicurezza della diagnosi, fornendo documentazione obiettiva all'assenza di attività cerebrale (fig.20x, fig.21x). Poiché è fondamentale nella diagnosi di morte cerebrale escludere i falsi positivi, gli ABR ed i SEP, non essendo influenzati da anestetici e sedativi, né grossolanamente alterati nel coma di origine tossica o metabolica reversibile, hanno anche un ruolo non secondario nella diagnostica differenziale. L'impiego degli ABR e dei SEP ha tuttavia alcuni limiti: lesioni associate (quali, ad esempio, emotimpano o lesioni del midollo cervicale) possono essere responsabili di alterazioni o scomparsa di onde con conseguente impossibilità del loro utilizzo a scopo diagnostico. Inoltre, dal momento che i potenziali evocati esplorano soltanto vie specifiche, e non l'intera struttura anatomicamente e funzionalmente con queste correlata, la diagnosi di morte cerebrale resta essenzialmente clinica ed il loro ruolo è di conferma obbiettiva.

 

 

Rachicentesi ed esami sul liquor

 

La rachicentesi consente di valutare l'aspetto macroscopico del liquor e di eseguire tutta una serie di esami di laboratorio sul medesimo. E' opportuno rammentare che nel paziente in coma, allorché si sospetti la presenza di ipertensione endocranica, la puntura lombare deve essere eseguita con molta cautela e solo in caso di assoluta necessità, potendo questa contribuire a creare una situazione di impegno, quale un'ernia transtentoriale o transforaminale. Inoltre la rachicentesi è controindicata in presenza di focolai di osteomielite, di ascesso epidurale e di malformazioni arterovenose a livello lombare. Peraltro, in questi ultimi casi la puntura può essere effettuata ad un diverso livello. Nell'esecuzione della rachicentesi per evitare l'insorgenza di cefalee è bene impiegare aghi molto sottili (23 o 25 G) e penetrare nello spazio subaracnoideo tenendo la punta dell'ago con il becco di flauto in posizione verticale, in modo da divaricare e non recidere le fibre della dura e dell'aracnoide ovvero utilizzare aghi a punta smussa. Questi semplici accorgimenti consentono quasi sempre di evitare l'insorgenza di fastidiose liquorree, cui vanno attribuite le cosiddette cefalee da puntura lombare.

In condizioni fisiologiche il liquor si presenta limpido come acqua di roccia. Può essere torbido o purulento, in caso di processi flogistici, e xantocromico o francamente ematico, in caso di emorragia intracranica o spinale. In questo ultimo caso bisogna escludere che il reperto sia conseguenza di un sanguinamento prodotto dall'infissione dell'ago. A questo proposito è sufficiente raccogliere il liquor in tre provette successive e controllare se si decolora progressivamente; bisogna quindi centrifugare i campioni di liquor ottenuti e verificare la persistenza o meno di colorazione del sopranatante.

Gli esami del liquor di maggiore interesse nella diagnostica del coma sono:

- esame batteriologico e colturale, con relativo antibiogramma, in caso di sospette infezioni del sistema nervoso centrale;

 

- conteggio delle cellule: fisiologicamente nel liquor sono presenti soltanto linfociti in numero < 3/ml. Il riscontro di un numero elevato di globuli rossi depone per un'emorragia cerebrale (la TAC ha peraltro reso pressoché inutile la ricerca di sangue nel liquor), mentre un incremento nel numero dei globuli bianchi depone per un processo infiammatorio;

- test di Pandy: si esegue aggiungendo una goccia di liquor ad una soluzione di fenolo al 10%: la formazione di un precipitato indica un aumento delle gamma-globuline e delle proteine liquorali;

- dosaggio delle proteine: si ottiene mediante immunoelettroforesi. Le proteine sono di solito aumentate nelle meningiti batteriche acute. Rispetto al test di Pandy, che ha il pregio di poter essere eseguito estemporaneamente, il dosaggio delle proteine liquorali presenta l'indubbio vantaggio di consentire una determinazione quantitativa delle diverse frazioni;

- glicorrachia: nel liquor il glucosio è fisiologicamente presente attorno a valori di 60-80 mg/100 ml. Una glicorrachia al di sotto di 45 mg/100 ml è compatibile con una meningite batterica acuta o una meningite tubercolare;

- cloruri: possono essere ridotti nelle meningiti acute;

- pO2, pCO2, pH, lattato: i valori relativi possono essere alterati in diverse affezioni del sistema nervoso centrale ed in generale si può dire che gli spostamenti dalla norma riflettono il grado di sofferenza metabolica cerebrale conseguente all'insulto. Talora una grave acidosi liquorale può dare origine ad iperventilazione, per diretta stimolazione del centro respiratorio;

- BB-CPK: è l'isoenzima della creatinfosfokinasi specifica per il tessuto cerebrale. Il suo livello liquorale, almeno nel trauma cranico, sembra correlato con l'estensione del danno anatomico cerebrale e, di conseguenza, con la prognosi;

- test sierologici: sono utilizzabili per la diagnosi delle infezioni virali.

 

 

Monitoraggio della pressione intracranica (ICP)

 

L'esecuzione della rachicentesi permette anche di conoscere i valori di pressione del sistema liquorale, i quali, in situazione di pervietà degli spazi subaracnoidei, si identificano con il livello di pressione intracranica.

Benché la tecnica di misurazione della pressione intracranica per via subaracnoidea lombare possa apparire come la più semplice e maneggevole, tale da poter essere adottata in ogni situazione, ed abbia il pregio di consentire la misura diretta della pressione liquorale, nella pratica clinica essa è ormai quasi del tutto abbandonata perché presenta numerosi limiti, i più importanti dei quali sono rappresentati dai rischi connessi all'eventuale presenza di una lesione espansiva intracranica, e quindi alla possibilità di provocare o accelerare il verificarsi di un'erniazione transtentoriale, ed alla modesta attendibilità dei valori rilevati. Altri inconvenienti connessi a questa metodica di rilevazione della ICP sono l'inattendibilità dei livelli osservati in presenza di erniazione transtentoriale, la mancata registrazione di aumenti occasionali o di breve durata ovvero di fluttuazione dei valori ed, infine, i rischi di infezione.

Oggi i sistemi utilizzati per la misurazione della ICP sono fondamentalmente di due tipi: quelli con trasduttore esterno riempito di liquor (ventricolostomia, catetere subdurale) e quelli con trasduttore elettronico intracranico (vite subdurale e trasduttore epidurale).

L'importanza del monitoraggio continuo della pressione intracranica nel trattamento di un ampio spettro di malattie neurologiche è universalmente riconosciuta. Non solo la misurazione di tale parametro consente di diagnosticare precocemente l'insorgenza e la rapidità di evoluzione di lesioni espansive intracraniche, ma costituisce la più valida guida al trattamento di tali pazienti poiché, in presenza di ipertensione endocranica è proprio al suo controllo che va indirizzato ogni sforzo terapeutico. Basta infatti ricordare la strettissima correlazione esistente tra presenza di valori abnormemente elevati della pressione intracranica e gravità delle sequele neurologiche conseguenti a erniazione dell'encefalo.

 

 

Terapia

 

Schematicamente nella cura del paziente in stato di coma è possibile distinguere due fondamentali indirizzi terapeutici, che si completano a vicenda e che non devono mai essere dissociati l'uno dall'altro durante tutto l'arco del trattamento:

- la terapia sintomatica;

- la terapia etiologica;

 

Trattamento sintomatico

 

Il coma è una condizione che riveste sempre il carattere dell'urgenza. Se l'indagine anamnestica e l'esame clinico costituiscono le basi della diagnosi e della valutazione prognostica, prima di qualsiasi indagine strumentale e di laboratorio, il trattamento sintomatico rappresenta quasi sempre il primo approccio curativo al paziente comatoso. Compito fondamentale della terapia sintomatica è, innanzitutto, prevenire e/o correggere le reazioni secondarie, sia di carattere locale sia di carattere sistemico, che tendono a manifestarsi nel comatoso indipendentemente dai fattori causali, ma che possono influire non poco nell'aggravare il danno cerebrale primario.

Cardini fondamentali del trattamento sintomatico di prima istanza sono:

- assicurare la pervietà delle vie aeree;

- garantire la regolarità degli scambi gassosi a livello polmonare;

- mantenere un assetto cardiocircolatorio compatibile con un'adeguata perfusione cerebrale.

Per un'analisi dettagliata delle modalità tecniche con cui realizzare efficacemente il primo soccorso negli stati di coma, si rimanda alla trattatistica specialistica di carattere anestesiologico-rianimativo (vedi capitolo: "La rianimazione cardio-polmonare"). Alcuni semplici, fondamentali provvedimenti terapeutici vanno tuttavia richiamati, in quanto alla portata di ogni sanitario:

a) pervietà delle vie aeree: nei pazienti in stato di coma, o quanto meno con ottundimento della coscienza, è indispensabile innanzitutto accertare la persistenza dell'autonomia respiratoria, provvedere quindi, se necessario, a liberare il cavo orofaringeo dalla presenza di secrezioni, sangue, protesi ed eventuali corpi estranei, estendere, infine, il capo così che la possibile caduta all'indietro della lingua non sia di impedimento al passaggio dell'aria attraverso la rima glottidea. Quest'ultima manovra va, ovviamente, evitata quando vi sia il sospetto di lesioni traumatiche a carico del tratto cervicale della colonna;

b) posizione di sicurezza: va fatta assumere a tutti i pazienti in stato di incoscienza, o con coscienza obnubilata, ma con autonomia respiratoria conservata (fig.22x). Un simile atteggiamento posturale evita tutte le possibili suaccennate cause di ostruzione delle vie aeree;      

c) ventilazione artificiale di emergenza: quando la respirazione sia assente o profondamente alterata il paziente va sottoposto a ventilazione artificialmente indotta mediante maschera e pallone di Ambu ovvero tramite ricorso ad apposite cannule orofaringee (fig.23x). La tecnica di ventilazione bocca a bocca, finora molto raccomandata nelle situazioni di emergenza, è oggi da escludere per il possibile rischio di contaminazione, cui espone il soccorritore, in presenza di patologie infettive.

 

E' unanime l'accordo sull'opportunità che il paziente in stato di coma vada sempre ricoverato al più presto presso un'Unità di Rianimazione e/o Terapia Intensiva, dove non solo il trattamento sintomatico delle disfunzioni respiratorie e cardiocircolatorie può essere assicurato con la dovuta competenza, ma possono essere altresì garantiti tutti gli altri presidi necessari a prevenire, o per lo meno a limitare, l'estensione del danno cerebrale e ad evitare l'insorgenza di complicanze, quali: infezioni, decubiti, retrazioni tendinee e deformazioni articolari. Nelle Unità di Rianimazione e/o Terapia Intensiva è infatti possibile:

- il monitoraggio delle condizioni cliniche generali e di quelle neurologiche in particolare;

- la prevenzione ed il trattamento del danno neurologico secondario;

- il controllo della regolarità del ricambio gassoso;

- il mantenimento dell'assetto cardiocircolatorio più congruo ad assicurare adeguata perfusione cerebrale;

- la copertura del fabbisogno idroelettrolitico ed energetico;

- l'adozione ed il mantenimento della postura più idonea;

- il ricorso al nursing più accurato per l'igiene del corpo.

Un'analisi dettagliata di questi provvedimenti terapeutici esula dagli scopi del presente capitolo essendo la loro definizione ed applicazione strettamente connessa con i fattori causali del coma e quindi con il trattamento etiologico.

 

Trattamento etiologico

 

La terapia specifica va intrapresa al più presto, poiché solo l'allontanamento, o quantomeno il controllo della noxa patogena primitiva, consente, quando possibile, la remissione del coma ed il recupero completo o parziale delle funzioni neurologiche. Il trattamento specifico, per le cui modalità applicative si rimanda alla trattatistica specialistica, va sempre coordinato, come si è appena avuto occasione di dire, con quello sintomatico in funzione del quadro clinico d'insieme del paziente.

 

 

Letture consigliate

 

Cattaneo A.D.: Coma. Piccin Editore, Padova, 1983.

Facco E., Donà B., Munari M., Casartelli Liviero M., Baratto F., Toffoletto F., Behr A.: I potenziali evocati in terapia intensiva. In: E. Vincenti e G-P- Giron, “Aggiornamenti in Anestesia 1990”, SGE Editore, Padova, 87-110, 1991.

Giron G.P., Facco E.: Coma. In: “Guida clinica all’esame di laboratorio”, ed. Mediche SEI, Torino, 101-124, 1987.

Giron G.P., Facco E., Caputo P., Toffoletto F., Munari M., Fusaro A.: Stato di coma: criteri classificativi, diagnostici e prognostici. Acta Anaesth. Ital., 38:539, 1987.

Giron G.P., Facco E.: L’imaging funzionale cerebrale. Acta Anaesth. Ital., 42, 179, 1991.

Innocente F., Tiberio I., Ori C.: Pressione intracranica. In: Vincenti E. Giron G.P., “Aggiornamenti in Anestesia 1990”, SGE Editore, Padova, 163-183, 1991.

Masson M., Henin D.: Les Comas. Encycl. Med. Chir. Neurologie, 17023 Paris A-10, 12, 1979.

Papo I., Cohadon F., Massarotti M.: Le coma traumatique. Liviana Editrice, Padova, 1983.

Plum F., Posner J.B.: Diagnosis of stupor and coma. Davis Company, Philadelphia, 1972.

 

 

G.P. GIRON

Direttore Istituto di Anestesiologia

e Rianimazione,

Università di Padova

 

E. FACCO

Aiuto Istituto di Anestesiologia

e Rianimazione,

Università di Padova

 

C. ORI

Aiuto Istituto di Anestesiologia

e Rianimazione,

Università di Padova

 

B. DONA’

Aiuto Istituto di Anestesiologia

e Rianimazione,

Università di Padova

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