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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA

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 Ultimo aggiornamento: 23.12.2006

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CARDIOPATIA ISCHEMICA E VALUTAZIONE STRUMENTALE DEL CORONAROPATICO

 

A. CHERCHI - E. ONNIS - P.A. CHERCHI

 

 

La cardiopatia ischemica

 

La cardiopatia ischemica si identifica essenzialmente nelle conseguenze miocardiche dell'aterosclerosi coronarica.

Tuttavia aterosclerosi coronarica non significa automaticamente cardiopatia ischemica. L'aterosclerosi coronarica inizia in età giovanile e può rimanere senza conseguenze miocardiche, a meno che essa non diventi di grado tale da ostruire le arterie coronarie in misura significativa, cioè superiore al 75%, sia di per sé, sia per sovrapposta vasocostrizione.

La cardiopatia ischemica può manifestarsi sotto molteplici aspetti, che vanno dall'angina pectoris da sforzo ed a riposo, stabile ed instabile, all'infarto Q e non Q, alla morte improvvisa. La cardiopatia ischemica può manifestarsi, inoltre, con aritmie anche gravi o come insufficienza cardiaca. Infine, la cardiopatia ischemica in tutte le sue forme può essere del tutto silente. Questa esposizione riguarda prevalentemente la diagnosi strumentale della cardiopatia ischemica inquadrata nelle sue variabili cliniche. Essa viene fatta precedere da una breve trattazione degli aspetti più salienti del metabolismo miocardico e del flusso coronarico, in condizioni normali e patologiche, onde permettere una migliore comprensione dei diversi quadri anatomo-clinici di questa malattia multiforme.

 

 

Aterosclerosi coronarica

 

Le conoscenze in tema di aterosclerosi coronariche si sono andate precisando in questi ultimi anni, non solo dal punto di vista morfologico e patogenetico, ma anche in rapporto ai vari quadri clinici che ne derivano.

I quadri anatomici sono stati suddivisi in sei tappe da Stary. Le prime tre tappe consistono in una lenta progressione delle placche e vanno da I (presenza di macrofagi e di gocce di lipidi) a II (presenza anche di cellule muscolari lisce) a III (presenza anche di lipidi extracellulari) Le altre tappe possono presentare una rapida evoluzione: IV (presenza diffusa di lipidi extracellulari), Va (notevole presenza di lipidi extracellulari e capsula sottile), che può evolvere lentamente (mesi o anni in Vb e Vc (lesioni più fibrotiche e stenotiche). Tuttavia sia le lesioni di tipo IV e Va, sia direttamente, sia attraverso le fasi Vb e Vc, possono portare alla fase VI (rottura della placca, trombosi, occlusione, riocclusione).

L'insorgenza e l'evoluzione della placca aterosclerotica possono essere suddivise nelle seguenti tappe: 1) per effetto dei fattori di rischio e dello stress di parete (shear stress) le lipoproteine LDL e LP (a) penetrano nello strato sottoendoteliale, dove 2) subiscono un processo di lieve ossidazione, favorendo 3) l'adesione alla parete e la penetrazione nell'interno dello strato sottoendocardico di monociti, che diventano macrofagi. Questi macrofagi accentuano nettamente il grado di ossidazione delle lipoproteine, le quali si legano ai recettori spazzino (scavenger) dei macrofagi medesimi, trasformandoli in cellule schiumose (foam cells), le quali si possono rompere, liberando colesterolo sotto forma di fase lipidica cristallina olio-lipidica o di cristalli di colesterolo monoidrato. All'azione delle LDL si oppongono le HDL le quali inibiscono l'ossidazione delle LDL, impediscono l'ingresso ulteriore di LDL e favoriscono l'allontanamento delle LDL dalle pareti vascolari e dai macrofagi. Al contrario i macrofagi e le cellule schiumose, liberando vari mediatori, possono accelerare il processo aterosclerotico, danneggiando l'endotelio fino alla sua rottura e dando inizio alla trombosi e alle sindromi coronariche acute. Infine è da notare che le alterazione endoteliali possono attivare le piastrine, le quali, assieme all'endotelio attivato, possono liberare fattori di crescita (PDGF, bFGF e TGF-beta) i quali determinano la migrazione e la proliferazione di cellule muscolari lisce e di matrice extracellulare. Se la risposta fibrointimale predomina, la placca assume un aspetto fibrotico a lenta evoluzione (lesioni Vb e Vc). Se, invece, predomina la componente lipidica, il processo aterosclerotico evolve verso le fasi IV e Va a rapida evoluzione.

In sintesi, l'evoluzione lenta, prevalentemente fibrotica, delle placche porta a quadri di ischemia miocardica non evolutiva (angina pectoris stabile). Se, invece, la placca si fissura o perde il suo potere antiaggregante e antitrombotico si possono manifestare i quadri delle sindromi coronariche acute. I meccanismi che portano all'instabilità o vulnerabilità della placca sono molteplici e non completamente codificati: stress parietale circonferenziale, ipertensione, distensione pulsatile delle arterie, stress parietale, configurazione spaziale della placca e composizione lipidica della placca. Le lesione aterosclerotiche oltre alla trombosi possono portare a gradi variabili di vasocostrizione.

 

Fisiopatologia dell'insufficienza coronarica

 

METABOLISMO MIOCARDICO NORMALE E PATOLOGICO

 

In condizioni normali il metabolismo miocardico è prevalentemente aerobico. I substrati energetici sono rappresentati dagli acidi grassi liberi (NEFA) e dal glucosio, dall'acido lattico e dall'acido piruvico. Tutte queste sostanze esitano in acetil-Co-A, il quale penetra nel ciclo di Krebs, che si continua nella catena degli elettroni, per la cui neutralizzazione è necessaria la presenza di O2, il quale si lega a H+, dando luogo ad H2O.

Normalmente, soprattutto a digiuno, prevale l'utilizzo dei NEFA, per la maggiore attività degli enzimi che provvedono alla loro demolizione, con conseguente rapida produzione di acetil-Co-A, una delle sostanze che condizionano la scissione anaerobica del glucosio.

In presenza di insufficiente apporto di ossigeno il metabolismo aerobico si blocca progressivamente, incrementando il metabolismo anaerobico, con produzione di acido lattico e di idrogenioni liberi. La produzione miocardica di ATP si riduce notevolmente determinando importanti alterazioni miocardiche. Studi effettuati durante occlusione temporanea di rami coronarici, in corso di angioplastica coronarica, hanno dimostrato chiaramente che le alterazioni miocardiche ischemiche seguono la seguente progressione temporale: alterazioni diastoliche; alterazioni sistoliche; alterazioni emodinamiche ventricolari, con modificazione della pressione sistolica e diastolica; alterazioni elettrocardiografiche di tipo ischemico; dolore di tipo anginoso, il quale può essere anche assente (ischemia silente)(1) (vedi fig.01x) .

 

FLUSSO CORONARICO NORMALE E PATOLOGICO

 

L'insorgenza del metabolismo anaerobico è la conseguenza di un'ischemia miocardica transitoria (crisi ischemica transitoria) o persistente (infarto del miocardio).

L'ischemia miocardica transitoria è condizionata dal restringimento organico (stenosi coronarica fissa da placca aterosclerotica) o funzionale (stenosi coronarica dinamica, ipertono coronarico, vasospasmo coronarico). Uno degli elementi scatenanti è rappresentato da un aumento delle richieste di ossigeno miocardico, causato dall'aumento dei determinanti, tra i quali prevalgono la frequenza cardiaca, la pressione sistolica, la contrattilità miocardica ed il volume ventricolare, quale si ottiene con l'esercizio muscolare (2) . Tuttavia, l'ischemia può essere dovuta ad una netta riduzione transitoria del flusso sanguigno coronarico (vasospasmo) o anche alla diversione del flusso coronarico verso zone lontane dalla zona ischemica, per il fenomeno del cosiddetto furto coronarico, quale può essere realizzato dal dipiridamolo.

In condizioni normali il flusso coronarico è condizionato dal rapporto tra pressione di perfusione coronarica (pressione aortica - pressione atrio destro) e le resistenze coronariche. Le resistenze coronariche rappresentano un evento complesso, di cui occorre tenere conto nell'interpretazione dei fenomeni emodinamici coronarici. Una prima serie di resistenze è rappresentata, come negli altri organi, dalle resistenze arteriolari. Una seconda serie di resistenze è rappresentata dalla compressione che subiscono i vasi coronarici per effetto della contrazione fasica ventricolare, per cui il riempimento dei vasi di conduttanza coronarici epicardici avviene prevalentemente durante la sistole e quello dei vasi intramiocardici durante la diastole. L'effetto compressivo è maggiore nelle zone sottoendocardiche, che risentono anche dell'effetto della pressione endoventricolare. Ciò nonostante il flusso ematico sottoendocardico è superiore a quello sottoepicardico (rapporto 1, 2:2) per effetto delle maggiori dimensioni dei vasi sottoendocardici.

Il flusso coronarico è condizionato da molteplici fattori, che cercheremo di riassumere. E' noto da tempo che il flusso coronarico risente poco, entro certi limiti, delle variazioni della pressione arteriosa, per il fenomeno cosiddetto di autoregolazione: in presenza di aumento della pressione le coronarie si restringono, mentre in presenza di riduzione esse si dilatano, permettendo al sangue di giungere al miocardio in quantità commisurata alle necessità metaboliche.

In condizioni patologiche, il flusso coronarico è condizionato dalla presenza di un'altra serie di resistenze, situate a livello delle arterie coronariche epicardiche di conduttanza: placche aterosclerotiche e/o fenomeni vasocostrittivi, fino al limite estremo dello spasmo coronarico, eventualmente moderati da circolazione collaterale, originantesi da altri vasi arteriosi coronarici.

La presenza di una stenosi organica fissa o dinamica determina un aumento della velocità di flusso al livello della stenosi, la genesi di vortici nelle zone poststenotiche ed una caduta della pressione di perfusione zonale, per cui si giunge ad ischemia di grado variabile dopo sforzo od anche a riposo.

L'ischemia miocardica che si realizza in assenza di alterazioni coronariche organiche (sindrome X, malattia dei piccoli vasi) è stata attribuita ad una riduzione della riserva coronarica, conseguente alla ridotta capacità di vasodilatazione dei piccoli vasi, soprattutto microvasi miocardici prearteriolari (angina microvasale). Il problema necessita di ulteriori approfondimenti e conferme.

Le cellule endoteliali sono state considerate per lungo tempo come un rivestimento liscio delle cavità cardiache e dei vasi sanguigni sui quali il sangue scorre dolcemente. Le cose sono radicalmente mutate dopo l'esperimento di Furchgott e Zavadzki, i quali hanno messo in evidenza la formazione di una sostanza rilasciante (EDRF), identificata poi come NO. No origina dalla L-arginina per opera di una NO-sintasi con esito anche in L-citrullina.

Numerosi altri mediatori vasali di origine endoteliale sono stati identificati, tra cui principalmente i vasodilatatori prostaciclina, i fattori iperpolarizzanti ed i fattori vasocostrittori, endoperossidi, angiotensina II ed endotelina. Il tono vasale dipende dal bilanciamento di fattori vasodilatatori e vasocostrittivi, principalmente da EDRF. Sempre crescenti evidenze sperimentali sembrano indicare in NO il fattore più importante nel determinare il tono vasale basale e la risposta vasodilatatrice.

E' noto infatti che NO viene prodotto continuamente in condizioni basali ed aumenta in risposta alle variazioni pulsatorie ed allo stress di parete (shear stress). NO viene prodotto sia sui vasi di conduttanza sottoepicardici sia, ed in misura nettamente maggiore, nei piccoli vasi arteriolari, condizionando la distribuzione del sangue alle varie parti del cuore. In particolare la produzione di NO sembra responsabile del fenomeno dell'autoregolazione di cui si è già parlato. Da notare che NO contrasta l'azione vasocostrittrice di endotelina-1 (ET-1) generata dall'ipossia e da PDGF-B, che è anche mitogeno.

Il tono ed il flusso vascolare sono anche sotto il controllo del sistema neurovegetativo tramite le terminazioni presenti bella tunica media coronarica, particolarmente a livello delle arteriole. I recettori simpatici sono di tipo alfa1 alfa2 beta1 beta2. Le terminazioni alfa1 sono presenti a livello postsinaptico in corrispondenza delle cellule muscolari lisce ed agiscono da vasocostrittrici, provocando la fosforilazione della lipasi C, dando luogo a IP3 e DAG, determinando aumento di calcio intracellulare, con conseguente attivazione della protein-chinasi C e fosforilazione calmodulina-dipendente della chinasi della catena leggera della miosina, portando a vasocostrizione. I recettori alfa2 sono presenti a livello postsinaptico nelle cellule muscolari lisce, e determinano contrazione per inibizione dell'adenilciclasi e fosforilazione delle catene leggere della miosina. Recettori alfa2 sono pure presenti nell'endotelio, provocando liberazione di NO e vasodilatazione. In sintesi, la stimolazione alfa-adrenergica determina un aumento del tono vascolare coronarico di circa il 20-30%, con costrizione delle arteriole di calibro minore, anche dopo beta-blocco. I recettori beta2 sono situati a livello endoteliale e hanno azione vasodilatante.

Le terminazioni vagali agiscono su recettori di tipo M2 a livello endoteliale (producendo NO), a livello presinaptico simpatico (modulando la liberazione di NA),e a livello della muscolatura liscia vasale (inibendo l'adenilciclasi ed incrementando la conduttanza della membrana cellulare per il potassio), con tendenza globale alla vasodilatazione. Altri recettori di tipo M3 attivano la fosfolipasi C e la cascata dei polifosfoinositidi, con aumento del calcio endocellulare. In complesso la stimolazione vagale porta a dilatazione e concorre a modulare il tono dei vasi coronarici di conduttanza e di resistenza.

Le terminazione vegetative rilasciano numerose sostanze. Infatti, le terminazioni vegetative simpatiche, oltre a NA, liberano ATP (determinando vasocostrizione tramite i recettori purinergici P2 situati sulle cellule muscolari lisce e vasodilatazione tramite i recettori P2 situati nell'endotelio) e NPY (determinando costrizione dei muscoli lisci vasali, soprattutto arteriolari). Le terminazioni vagali liberano GRP, sostanza P e VIP, i quali, somministrati per via endocoronarica causano dilatazione dei vasi di conduttanza, ma non di quelli di resistenza.

L'aumento delle necessità metaboliche porta alla degradazione dell'ATP fino all'adenosina, la quale stimola i recettori A2, provoca l'aumento dell'AMPc, con conseguente vasodilatazione, adeguando il flusso alle necessità metaboliche.

La vasomotilità delle coronarie può essere influenzata da sostanze secrete da cellule di vario ordine, quali miociti, piastrine, neurofili, monociti macrofagi e mastociti. E' noto da tempo che la prostaciclina agisce da coronaridilatatrice. Sostanze liberate dalle piastrine hanno effetti diversi. Il trombossano agisce da vasocostrittore. La serotonina agisce tramite diversi recettori (5HT1A-D, 5HT2) in modo contrastante, la somma di queste azioni determina costrizione dei vasi di diametro superiore a 90 micron e dilatazione di quelli a diametro minore. La sua azione è anche dose dipendente, dilatatrice a piccole dosi, costrittrice a grandi dosi. La bradichinina, che origina dal chininogeno plasmatico ad opera della callicreina, svolge un ruolo fisiologico nel circolo coronarico. Essa agisce tramite i recettori B2, situati nell'endotelio, determinando vasodilatazione tramite NO, prostanoidi e EDHF.

 

La trombina agisce sull'endotelio normale determinando vasodilatazione. Infine, l'istamina, liberata dai mastociti, costringe i vasi di calibro maggiore e dilata i vasi di calibro minore. Alcuni ormoni influenzano il tono coronarico: la vasopressina, agendo suo recettori V1 delle cellule muscolari lisce, determina costrizione soprattutto sui vasi di calibro inferiore ai 90 micron; l'ATII determina vasocostrizione, agendo direttamente sulle cellule muscolari lisce, ed indirettamente, favorendo la liberazione di NA a livello presinaptico; i peptidi natriuretici atriali agiscono egualmente da dilatatori a livello delle cellule muscolari lisce.

In condizioni patologiche l'endotelio coronarico subisce un processo chiamato di attivazione, il quale, almeno in parte, è responsabile dell'evoluzione della placca aterosclerotica. La presenza nell'endotelio di cellule infiammatorie (neutrofili, linfociti, monociti, mastociti) determina la liberazione di citochine, con conseguenze negative molteplici. L'endotelio attivato determina vasocostrizione riducendo la liberazione di NO, EDHF e prostaciclina, producendo endotelina e liberando altre sostanze vasocostrittrici (TBA2, serotonina, PAF, TNF). L'endotelio attivato favorisce la coagulazione, riducendo la produzione di t-PA, NO e prostaciclina, ed esprimendo PAI-I e fattore tissutale, ai quali si lega il fattore VII della coagulazione.

 

Quadri clinici ed anatomopatologici.

 

L'esame clinico rappresenta ancora oggi l'elemento diagnostico più importante di crisi ischemica miocardica transitoria. Il criterio diagnostico più rilevante è costituito dal dolore anginoso nelle diverse modalità di comparsa e di ripetizione nel tempo.

Il dolore dell'angina pectoris, come si è visto, è l'ultimo elemento ad apparire nel corso della cascata ischemica.

Esso è dovuto all'azione di sostanze algogene, generate dal metabolismo anaerobico, le quali stimolano i recettori algogeni cardiaci, perimiocitici e perivasali, arrivano al midollo spinale e, dopo essere stati sottoposti a selezione (teoria dei cancelli - "gates"), raggiungono i centri superiori, dove vengono integrati fino a causare il sintomo dolore.

Per motivi non ancora completamente chiariti, l'ischemia miocardica anche intensa, può non essere percepita come dolore, dando luogo a quadri di ischemia miocardica silente, di cui si parlerà più diffusamente oltre. Il dolore originato dal miocardio ischemico viene sentito come appartenente ai metameri somatici cui appartiene il cuore.

Nell'evenienza più tipica, il dolore dell'angina viene avvertito nella sede di elezione, che è tipicamente retrosternale alta, meno frequentemente retrosternale bassa, ma che viene sentito anche come irradiazione alle braccia, preferibilmente al braccio sinistro , all'epigastrio , al collo ed alla mandibola.

Generalmente il dolore retrosternale viene avvertito come sensazione di oppressione e di costrizione, più raramente di bruciore.

Raramente il dolore è sostituito da una difficoltà respiratoria, blocco toracico da sforzo. Talvolta il dolore anginoso compare solo nelle sedi periferiche, come dolore mandibolare, come sensazione di morsa ai due polsi, come dolore epigastrico ecc.

Le modalità di comparsa e di ripetizione del dolore permettono di individuare i diversi quadri clinici, che corrispondono approssimativamente ai vari quadri anatomofunzionali, quali sono stati individuati mediante coronarografia statica e funzionale e mediante angioscopia coronarica.

E' da segnalare che un dolore retrosternale tipico può essere di origine esofagea ed è praticamente indistinguibile da quello di origine coronarica, data la sovrapposizioni di fibre sensitive afferenti al midollo spinale tramite il sistema nervoso simpatico (cuore T1-T4; esofago C8-T10).

Il dolore di origine esofagea può essere scatenato da varie anomalie, quali l'esofago a schiaccianoci (nutcracker) e il riflusso gastroesofageo.

 

 

Sindromi ischemiche non evolutive

 

Questo gruppo di sindromi ischemiche transitorie è caratterizzato dalla mancanza di evolutività temporale che corrisponde sufficientemente alla mancanza di evoluzione anatomica.

Il quadro più tipico è rappresentato dall'angina pectoris da sforzo stabile nelle sue due varietà, a soglia anginosa fissa e variabile. Tutt'e due sono caratterizzate dalla comparsa di dolore tipico durante lo sforzo, dalla breve durata, in genere di non più di cinque minuti, dal suo recedere con il riposo e con l'assunzione di trinitrina. L'angina a soglia fissa compare per impegni lavorativi di intensità simile, non variabili nel tempo, mentre l'angina a soglia variabile si manifesta per impegni lavorativi di intensità mutevole, in rapporto alle diverse ore del giorno, all'impegno psichico, ai pasti. Il test ergometrico conferma l'esistenza di una soglia anginosa fissa, quando la durata massima dell'esercizio o quella della comparsa della soglia elettrocardiografica ischemica convenzionale (sottolivellamento di ST orizzontale o discendente uguale a 0,1 mV) non variano più del 15-20%. L'angina da sforzo a soglia fissa corrisponde in genere a stenosi coronariche fisse con scarsa componente funzionale, mentre l'angina a soglia variabile sembra corrispondere a stenosi coronariche con ampia possibilità di svilupparsi di una componente funzionale vasocostrittrice, sia a livello della stenosi (stenosi coronarica dinamica, per lo più di tipo eccentrico) o di zone viciniori. L'identificazione della componente funzionale vasocostrittrice sarà esaminata più oltre. L'angina pectoris stabile apparentemente non evolutiva, può manifestarsi anche spontaneamente, per lo più sporadicamente (angina pectoris a riposo). Essa sembra dovuta al sovrapporsi ad una coronaropatia cronica di grado variabile di una componente funzionale vasocostrittrice importante che scatena l'ischemia e l'angina anche a riposo. L'altra evenienza, quella dell'angina mista da sforzo e spontanea, è caratterizzata dalla comparsa nello stesso individuo dell'angina pectoris da sforzo e di quella a riposo.

L'identificazione esatta delle varie forme di angina pectoris non è un mero esercizio dialettico ma riveste notevoli implicazioni cliniche. Sulla base del teorema di Bayes, un sintomo, un segno clinico, un segno strumentale hanno la capacità di individuare una determinata malattia organica in rapporto alla loro sensibilità, specificità, accuratezza diagnostica e potere predittivo. Per sensibilità si intende la capacità del test di identificare con un risultato positivo i pazienti affetti dalla malattia che si ricerca (test positivi/soggetti affetti dalla malattia %), per specificità la capacità del test di identificare con un risultato negativo i soggetti esenti dalla malattia (test negativi/soggetti esenti dalla malattia %). L'accuratezza diagnostica di un test risulta dal rapporto tra soggetti correttamente identificati sia come malati sia come sani rispetto al numero totale dei soggetti esaminati. La capacità predittiva del test è la percentuale dei test sicuramente positivi rispetto al numero totale dei test positivi (veri e falsi) rilevati nel campione esaminato. Il rischio relativo esprime la possibilità percentuale che hanno i soggetti con test positivo di avere o di poter avere la malattia indagata rispetto ai soggetti con test negativo.

 

La capacità predittiva di un test (sintomo, segno clinico, di laboratorio o strumentale) dipende dalla probabilità pre-test che hanno i soggetti esaminati di essere veramente affetti dalla malattia indagata. Così, nel caso di un'angina pectoris, la possibilità che il soggetto che presenta il sintomo dolore sia veramente affetto da stenosi coronarica di grado significativo (gold standard, anatomico o funzionale) varia in rapporto alla tipicità del dolore toracico, all'età e al sesso del paziente, oltre che all'esistenza di fattori di rischio di malattia cardiovascolare. Un paziente che presenti una angina tipica, in genere definita come dolore retrosternale che insorge dopo sforzo fisico, che cessa con il riposo e/o risponde alla trinitrina, ha le maggiori probabilità di essere affetto da coronarosclerosi rispetto ai soggetti che presentano solo due dei tre elementi caratteristici, e a quelli con dolore toracico atipico.

Inoltre, il potere predittivo del sintomo angina varia in rapporto al sesso e all'età. Infatti, sulla base dei dati di Diamond e Forrester, una stenosi coronarica era presente all'esame autoptico in misura correlata con l'età ed il sesso (M, F): 30-39 anni M = 1,9%, F = 0,3%; 40-49 anni: M = 5,5%, F = 1%; 50-59 anni: M = 9,7%, F=3,2%; 60-69 anni: M=12,3%, F=7,5%. Tali percentuali salgono nella popolazione con sintomi anginosi. Angina tipica: 88,9 ± 0,7; angina atipica probabile: 49,9 ± 1,1; dolore toracico non anginoso: 16,0 ± 1,2. Pertanto un'accurata anamnesi è essenziale per una corretta impostazione clinica della diagnosi della cardiopatia ischemica. Ad esempio, un uomo di età compresa tra i 40 anni ed i 69 anni, con angina tipica, ha una probabilità di avere una coronaropatia di circa il 90%. Una donna con lo stesso sintomo ha una probabilità di avere una coronaropatia nettamente minore: 55% circa a 40-49 anni; 70% circa a 50-59 anni; poco meno del 90% a 60-69 anni.

 

Angina di Prinzmetal

 

Nel 1959 Prinzmetal descrisse una variante dell'angina pectoris classica. A differenza dall'angina classica che si manifesta durante sforzo e che si accompagna a sottolivellamento di ST, espressione di ischemia sottoendocardica sinistra, la variante si presenta generalmente a riposo e si accompagna a sopralivellamento di ST, espressione di ischemia elettrocardiografica sottoepicardica (transmurale). Egli, sulla base di ricerche sperimentali condotte sul cane, attribuì la variante a spasmo di un'arteria coronarica epicardica. Questa eziologia è stata poi ampiamente convalidata nell'uomo.

La "variante" si manifesta ex abrupto senza essere accompagnata da aumento dei determinanti del consumo di ossigeno del miocardio. Essa è dovuta a vasospasmo coronarico e si accompagna a segni scintigrafici di ipoperfusione miocardica. La variante si manifesta in coronarie affette da aterosclerosi, ma anche apparentemente indenni dal punto di vista coronarografico. La normalità coronarografica non corrisponde sempre ad una normalità anatomica ed istologica delle coronarie, come è stato dimostrato con certezza in casi incidentalmente finiti al tavolo autoptico. La variante dell'angina può essere riprodotta negli aspetti clinici, elettrocardiografici e coronarografici mediante somministrazione endocoronarica o endovenosa di ergonovina, sostanza nota come agente capace di provocare vasospasmo per azione diretta sulla muscolatura liscia vasale, oppure mediante iniezione endocoronarica di acetilcolina per il prevalere dell'azione costrittrice, legata alla stimolazione dei recettori M2 situati sulla membrana delle cellule muscolari lisce, su quella dilatatrice, normalmente prevalente, conseguente all'attivazione dei recettori M2 situati nell'endotelio e causanti liberazione di NO. Al contrario dell'acetilcolina, la sostanza P agisce, come di consueto, dilatando le coronarie; tuttavia questo effetto non avviene mediante liberazione di NO, ma attraverso un EDHF, con stimolazione del canale calcico ATP-dipendente, iperpolarizzazione delle cellule muscolari lisce, conseguente ad estrusione di potassio. E' evidente quindi che nell'angina vasospastica esiste uno stato di aumento del tono delle cellule muscolari lisce delle coronarie che le rende più responsive agli stimoli costrittori. E' stato più discusso se la tendenza alla vasocostrizione sia localizzata o diffusa. Recenti evidenze sembrano deporre per uno stato di aumentata sensibilità diffusa. Una ricerca recente ha esaminato la risposta allo stimolo dell'acetilcolina e della nitroglicerina, somministrate per via endocoronarica, a soggetti normali giovani ed anziani, a pazienti sofferenti di angina coronarica spastica ed a pazienti affetti da coronaropatia ischemica cronica, studiando in modo particolare i segmenti prossimali e distali dei tre rami coronarici. L'acetilcolina ha provocato lieve dilatazione nei normali giovani, lieve costrizione nei normali anziani, moderata costrizione nei coronarici cronici, intensa costrizione nei segmenti sede di spasmo. Al contrario la TNG ha determinato moderata dilatazione nei normali giovani e anziani ed un'intensa vasodilatazione nei coronarici cronici e nei pazienti affetti da angina vasospastica. Dopo TNG le coronarie hanno raggiunto le stesse dimensioni in tutti i gruppi studiati. Questi dati depongono per un aumento dello stato contrattile di base, che favorisce la vasocostrizione da acetilcolina nei coronarici cronici e soprattutto nei pazienti sofferenti di angina vasospastica, con conseguente notevole dilatazione dopo TNG.

La causa di questa diffusa vasoreattività coronarica agli stimoli costrittori e dilatatori sarebbe da attribuire essenzialmente alla ridotta formazione di ossido nitrico dalla L-arginina, causa prima della tendenza alla vasocostrizione da acetilcolina e della tendenza alla vasodilatazione a seguito della somministrazione di TNG. Questi effetti cominciano a comparire nell'anziano (probabilmente non perfettamente normale), si evidenziano nell'aterosclerosi coronarica ed assumono il massimo rilievo nell'angina vasospastica.

Altre ricerche recenti effettuate mediante registrazione elettrocardiografica continua in 12 derivazioni per 48 ore hanno permesso di evidenziare alterazioni elettrocardiografiche riferibili a spasmi migranti da una coronaria all'altra, a spasmi sequenziali in diverse zone della stessa coronaria, e spasmi simultanei in diverse coronarie, concorrendo ad evidenziare uno stato diffuso di vasomotilità, con conseguenze cliniche differenti.

 

 

Le sindromi coronariche acute

 

L'accrescimento progressivo di placche aterosclerotiche coronariche, che riducono il lume coronarico in misura significativa, in genere superiore al 70%, causa ischemia miocardica, anginosa o silente, quando aumentano le richieste miocardiche di ossigeno, essenzialmente durante esercizio fisico o durante coinvolgimento emotivo. Ogni tanto però l'accrescimento delle placche aterosclerotiche, anche non molto rilevanti, viene turbato da fissurazione, rottura della placca, o semplicemente da quel fenomeno definito come attivazione dell'endotelio. L'endotelio perde le sue caratteristiche essenziali di essere vasodilatatore, antiaggregante piastrinico ed antitrombotico. Ne conseguono quadri anatomo-clinici di gravità crescente dall'angina instabile all'infarto non Q e all'infarto Q, dovuti essenzialmente a riduzione improvvisa del flusso coronarico per sopraggiunta trombosi. L'angina instabile è generalmente causata da una piccola fissura o rottura endoteliale, eventualmente complicata da trombo labile, di durata inferiore ai 10-20 minuti, accompagnata sovente da vasocostrizione. Questa improvvisa accelerazione del quadro aterosclerotico coronarico si manifesta clinicamente, essenzialmente, sotto forma di angina pectoris di prima insorgenza, di aggravamento per intensità e numero delle crisi di una preesistente angina, oppure per la comparsa di angina a riposo di lunga durata, di almeno 20 minuti. L'infarto non Q consegue ad un danno endoteliale maggiore e a una trombosi di più lunga durata, probabilmente maggiore di un'ora. L'infarto non Q è in genere un infarto di piccole dimensioni e non evolve verso l'infarto Q perché il territorio sottostante è per lo più protetto da ampio circolo collaterale, permettendo al trombo di lisarsi spontaneamente e all'eventuale spasmo di risolversi. L'infarto Q è causato generalmente da fissurazione più ampia della placca con formazione di un trombo persistente, di durata superiore all'ora, con conseguente necrosi transmurale del miocardio. E' incerto se l'ipercoagulabilità sanguigna (aumento dell'aggregabilità piastrinica, riduzione della fibrinolisi spontanea, attivazione del sistema coagulativo, aumento della fibrinogenemia) possa causare di per sé una delle suddette sindromi coronariche acute. L'improvvisa comparsa delle sindromi coronariche acute può determinare instabilità elettrica miocardica e portare alla morte improvvisa, che è responsabile della perdita di circa il 50% dei pazienti che muoiono per ischemia acuta del miocardio.

 

Le tre sindromi coronariche acute, angina instabile a riposo prolungata, infarto non Q e infarto Q sono in genere caratterizzate da dolore anginoso che dura più di venti minuti e inducono il paziente al ricovero immediato. L'infarto Q e non Q si riconoscono soprattutto dall'aumento degli enzimi sierici miocardici, CKP, SGOT, LDH e permettono una sicura identificazione, anche se non immediata. Il quadro clinico dell'angina instabile è dominata dal dolore anginoso, sia come dolore da sforzo all'esordio, sia come aggravamento di precedente dolore per qualità e quantità, sia soprattutto come angina a riposo prolungata, in genere superiore ai venti minuti. Il quadro clinico si accompagna quasi sempre a modificazioni dell'elettrocardiogramma di base (sopra o sottolivellamento di ST > di i mm, onde T negative e profonde nelle derivazioni precordiali, modificazione transitoria durante il dolore).    

La diagnosi è meno certa se la sintomatologia anginosa è meno tipica oppure se accompagnata da modeste alterazioni elettrocardiografiche (sottolivellamento di ST> 0,5 < 1 mm; onde T negative di basso voltaggio in derivazioni ad ampie onde R).

 

 

Ischemia miocardica silente

 

L'ischemia miocardica può manifestarsi senza dolore, per cui viene definita come ischemia asintomatica o silente. Il quadro più tipico è rappresentato da pazienti che hanno avuto crisi ischemiche miocardiche accompagnate da angina tipica, i quali manifestano nel corso dei test ergometrici classiche modificazioni elettrocardiografiche ischemiche non accompagnate da dolore.

Le cause della mancanza di dolore durante esercizio sono ancora incompletamente note, anche se si pensa ad un difetto dei sistemi di allarme algogeni, tant'è vero che i pazienti con ischemia silente possono effettuare lavori più impegnativi rispetto agli ischemici sintomatici, esponendosi a pericolose ischemie. Crisi coronariche ischemiche silenti si manifestano prevalentemente con aumento della frequenza cardiaca, di grado variabile, in genere non eccessivo, suggerendo il prevalere dell'aumento del consumo di ossigeno del miocardio anche se talvolta sembra esistere una componente vasocostrittrice.

Anche l'angina instabile può accompagnarsi a crisi ischemiche silenti, anche se il meccanismo patogenetico è differente da quello dell'angina cronica stabile.

Inoltre, da sempre è noto che anche l'infarto può insorgere senza dolore, soprattutto nei diabetici e negli anziani. Anche il post-infarto può essere accompagnato da numerose crisi ischemiche silenti.

 

 

Alterazioni elettrocardiografiche di tipo ischemico indotte dallo sforzo in soggetti asintomatici

 

La diagnosi di ischemia silente viene fatta in presenza di segni elettrocardiografici ischemici soprattutto da sforzo, in pazienti che hanno presentato sicure crisi di angina pectoris.

Alterazioni ischemiche di ST senza dolore possono osservarsi anche in soggetti completamente asintomatici, apparentemente sani.

Studi recenti hanno dimostrato che anche queste modificazioni di ST in soggetti asintomatici sono probabilmente da ascriversi, almeno in un certo numero di casi, ad ischemia miocardica e vengono considerati come un fattore di rischio di futuri eventi cardiaci indipendentemente da altri fattori noti.

 

 

Angina pectoris a coronarie normali

 

Si tratta di un gruppo di pazienti numericamente molto importante, perché costituisce il 10-20% dei pazienti che arrivano alla coronagrafia per la presenza di dolori anginosi o simil-anginosi e che all'indagine angiografica dimostrano avere coronarie sottoepicardiche apparentemente normali.

Un'evidenza del genere è stata descritta in varie cardiopatie: miocardiopatia ipertrofica ed attribuita ad alterazioni della media e dell'intima a livello dei piccoli vasi intramurali precapillari (100-500 micron); ipertrofia ventricolare da ipertensione arteriosa o da stenosi aortica ed attribuita ad una discrepanza tra aumento della massa miocardica e della rete vascolare cardiaca; prolasso della valvola mitrale.

Inoltre un quadro del genere è stato descritto anche in assenza di alterazioni cardiache valvolari o miocardiche e costituisce quel complesso sintomatologico denominato provvisoriamente sindrome X. In realtà questa sindrome sembra racchiudere quadri anatomo-funzionalí diversi, i quali hanno in comune l'esistenza di dolori anginosi tipici ed atipici (da sforzo a soglia variabile o ad insorgenza spontanea) con test ergometrico elettrocardiografico negativo e positivo, con coronarie sottoepicardiche apparentemente normali alla coronarografia, non rispondenti allo stimolo vasocostrittore dell'ergonovina, con ridotta riserva coronarica allo stimolo dipiridamolico, con o senza segni biochimici di metabolismo anaerobico, espresso come ridotto consumo di lattati o produzione dei medesimi.

Alcuni Autori hanno isolato in questo contesto sintomatologico pazienti normotesi con angina atipica, coronarie normali insensibili all'ergonovina, riduzione della riserva coronarica, test ergometrico negativo, ridotto consumo o produzione di lattati. Essi hanno ritenuto di situare a livello dei piccoli vasi intramurali precapillari l'ostacolo emodinamico, incrementabile con l'ergonovina, realizzante una caduta di pressione, cui i vasi sottoepicardici rispondono con vasodilatazione ed a cui i vasi sottoendocardici massimamente dilatati per l'ischemia non possono ovviare. Si realizzerebbero quindi zone ischemiche localizzate, che l'elettrocardiogramma non può evidenziare ma che causano produzione di lattato e dolore. Da sottolineare che questi quadri sono più frequenti nelle donne ed in persone con instabilità emotiva, responsabile probabilmente della sensibilità agli stimoli algogeni. Recentemente, un quadro del genere è stato descritto anche in ipertesi con test ergometrico in genere negativo senza ipertrofia ventricolare sinistra ed attribuito ad una ridotta capacità vasodilatativa delle arterie precapillari di tutto l'organismo, dipendente da una riduzione della vasodilatazione legata all'EDRF endoteliale, od anche a possibili alterazioni anatomiche di questi vasellini.

Gli Autori hanno proposto di chiamare questi ultimi due quadri angina microvascolare.

Recentemente è stata dimostrata una stretta connessione tra sindrome X e patologia esofagea (Chauhan et al., 1996). Infatti l'instillazione di acido cloridrico diluito (0,1 M per 4 minuti) nell'esofago distale ha causato la riduzione del 59% del flusso coronarico della discendente anteriore, accompagnata da tipica angina pectoris nel 57% dei 35 pazienti affetti da sindrome X e in nessuno dei 24 pazienti di controllo cardiotrapiantati. La riduzione del flusso coronarico è avvenuta in assenza di riduzione del calibro della coronaria sottoepicardica e, pertanto, attribuita a costrizione dei piccoli vasi coronarici. Secondo gli Autori l'angina e la riduzione del flusso coronarico sono da attribuirsi verosimilmente ad un riflesso esofago-coronarico, dando una base anatomo-fisiologica all'angina intricata (angor intriqué; linked angina). Questo complesso sintomatologico che si chiama sindrome X, per certi versi ancora misterioso, necessita di ulteriori ricerche e approfondimenti.

 

Sempre nel campo dell'angina a coronarie normali, l'indagine coronarografica è stata integrata recentemente con l'ecografia intracoronarica, associata a doppler intracoronarico, allo scopo di precisare meglio l'anatomia coronarica e la riserva coronarica da papaverina in un gruppo di 44 pazienti anginosi con coronarie angiograficamente normali. La ricerca ha evidenziato che solo il 36% di tali pazienti presentava coronarie veramente normali, il 48% presentava segni iniziali di aterosclerosi, spesso con dilatazione dei vasi coronarici. Solo il 16% dei pazienti poteva essere considerato appartenente alla sindrome X per morfologia coronarica normale e ridotta riserva coronarica.

 

 

VALUTAZIONE STRUMENTALE DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA

 

Esame coronarografico

 

Attualmente si utilizzano molti test per la diagnosi e la valutazione della cardiopatia ischemica nelle sue componenti anatomiche e funzionali, tuttavia il test aureo di riferimento (gold standard) è ancora oggi rappresentato dall'esame coronarografico in condizioni di base, dopo esercizio e dopo test provocativi. In condizioni di base, la coronarografia permette lo studio anatomico dei vasi coronarici, fino a raggiungere quelli di dimensioni non inferiori ai 2 mm. Il suo studio permette di identificare il lume delle arterie coronariche maggiori e dei rami principali. Un restringimento viene considerato di grado significativo, in grado cioè di provocare ischemia miocardica in seguito ad aumenti delle richieste metaboliche di ossigeno, quando la stenosi è superiore al 75% in genere, od anche al 50% nel caso del tronco comune della coronaria sinistra. Alcuni Autori sostengono che ai fini della significatività è più corretto considerare la dimensione del lume coronarico e non il restringimento relativo rispetto ai rami vicini. La morfologia della stenosi non è univoca in quanto può interessare tutta la circonferenza del vaso (stenosi concentrica), o solo parte di essa (stenosi eccentrica), con presenza di tessuto muscolare nelle zone indenni, con capacità di contrazione (stenosi dinamica). La morfologia può essere alterata per fissurazione della placca o per il sovrapporsi di trombi intravasali. L'esame coronarografico, soprattutto con l'attuale evoluzione della tecnica dell'analisi digitalizzata delle immagini, permette anche uno studio più accurato della motilità coronarica, sia spontanea sia conseguente ad agenti vasomotori. Si può quindi provocare, in condizioni particolari, costrizione fino allo spasmo con l'ergonovina intracoronarica o endovena, l'acetilcolina endovena, l'iperventilazione con o senza tris buffer, il test da freddo (cold pressure test, CPT). Si può studiare anche l'effetto di vasodilatatori arteriosi, quale il dipiridamolo. L'indagine emodinamica comporta anche l'indagine ventricolografica sinistra con possibilità di ottenere informazioni sulla funzione globale, rilevata in genere mediante frazione di eiezione, o zonale, con messa in evidenza di alterazioni cinetiche di vario grado, dall'ipocinesia alla acinesia ed alla discinesia.

La capacità risolutiva dell'indagine coronarografica è spesso insufficiente ad identificare lesioni aterosclerotiche iniziali. L'identificazione di coronarie veramente normali sembra poter essere fatta solo mediante ecografia endocoronarica.

 

 

Test ergometrico elettrocardiografico

 

Ancor oggi il test più utilizzato per la diagnosi, la valutazione e la prognosi della cardiopatia ischemica è rappresentato dal test ergometrico elettrocardiografico, integrato dalla misurazione della pressione arteriosa durante esercizio. Gli ergometri più utilizzati sono l'ergometro trasportatore (treadmill) ed il cicloergometro, con esecuzione della prova in posizione eretta (treadmill) oppure seduta o supina (cicloergometro). I test al treadmill più utilizzati sono quelli di Bruce, Naughton e di Balke. I test cicloergometrici più usati sono quelli 25 watt/2-3 minuti, 30 watt/3 min oppure 10 watt/min; quest'ultimo, da noi introdotto nella diagnosi di insufficienza coronarica nel 1962, è preferito in quanto permette di valutare il carico lavorativo nel modo più minuzioso ed anche perché molto gradito ai pazienti. Attualmente è riconosciuto che i migliori risultati si ottengono con la registrazione delle 12 derivazioni classiche, 3DS, 3 DUA, e 6 precordiali da V1 a V6. I risultati che si ottengono con la registrazione di un'unica derivazione precordiale, in genere CM5 o CE5, sono nettamente inferiori sotto l'aspetto della sensibilità, rispetto a quelli ottenibili con le 12 derivazioni. La misura della pressione arteriosa avviene con metodo non invasivo ascoltatorio. Con la registrazione dell'elettrocardiogramma e della pressione arteriosa si ottengono i seguenti dati essenziali: modificazioni di ST, modificazioni di QRS, comparsa di onda U o Q, eventuali aritmie, frequenza cardiaca, picco sistolico, prodotto frequenza cardiaca per pressione sistolica, dato correlato con il consumo di ossigeno del miocardio, soprattutto se valutato sotto esercizio. Infatti, il consumo di ossigeno del miocardio (MVO2) è legato alla frequenza cardiaca, alla pressione sistolica, al volume ventricolare sinistro, alla durata dell'eiezione ventricolare ed alla contrattilità miocardica. L'aumento del 100% della frequenza cardiaca (FQ della pressione sistolica (PS) e della contrattilità miocardica determinano per ciascuno di essi aumento dell'MVO2 di circa il 50%, mentre l'effetto del TE è praticamente irrilevante. Tenuto conto che la contrattilità aumenta di pari passo con l'aumentare della frequenza cardiaca, risulta evidente che l'aumento del prodotto FC x PS ben si correla con MVO2. Eventuali variazioni del volume ventricolare sinistro possono contribuire all'aumento di MVO2 (dilatazione ischemica della cavità ventricolare sinistra) o alla sua riduzione (trinitroglicerina).

I risultati migliori si ottengono facendo eseguire l'esercizio fino alla comparsa dei sintomi (angina, dispnea intensa, stanchezza) salvo interrompere il test precocemente per comparsa di aritmie (iper o ipocinetiche) o per mancato aumento della pressione arteriosa da un livello lavorativo all'altro.

Le informazioni del test ergometrico sono di natura diagnostica, valutativa e prognostica e dipendono dalle condizioni pre-test, quali la presenza di dolori toracici di vario tipo, di pregresso infarto o di condizioni fisiche apparentemente normali (soggetto asintomatico).

Nell'evenienza più frequente, quella della diagnosi di insufficienza coronarica in presenza di dolori toracici, si tratta di incrementare la probabilità pre-test, essenzialmente legata alla prevalenza di coronaropatia nel gruppo di appartenenza del soggetto esaminato (angina tipica, angina atipica, dolore toracico atipico, assenza di sintomi).

Il parametro che è stato più estesamente studiato è rappresentato dal sottolivellamento ischemico di ST. In genere si assume come significativo di ischemia sottoendocardica un sottolivellamento orizzontale o discendente di ST di almeno 1 min (0,1 mV), o un sottolivellamento ascendente di almeno 2 mm a 0,08 sec dal punto J. La specificità del test si accresce con l'aumentare del sottolivellamento, sia pure a scapito della sensibilità.

 

Nell'evenienza del quadro clinico di angina tipica da sforzo una probabilità pre-test dell'85-95% sale a 95-100% in presenza di test positivo e scende a 50-80% in caso di test negativo. Allo stesso modo nel caso di angina atipica ma probabile si passa dal 50-70% pre-test all'85-95% con test positivo e al 35-45% con test negativo, mentre nel caso di un dolore toracico non anginoso dal valore pre-test del 1525% si passa al 23-35% con test positivo al 15-20% con test negativo. Nel caso di popolazione asintomatica si passa dal valore di 5% pre-test al 10-20% e 0-5% post-test, rispettivamente nell'evenienza di test positivo o negativo.

Risulta quindi evidente che un test ergometrico aggiunge poco in senso positivo o negativo alla diagnosi di cardiopatia coronarica nel caso dell'angina tipica da sforzo, del dolore toracico non anginoso e della popolazione asintomatica.

La maggiore utilità si trova nel caso dell'angina pectoris atipica ma probabile, dove la probabilità sale dal 50-70% all'80-95% in presenza di test ergometrico positivo.

Tuttavia, un test ergometrico è indicato anche nel caso dell'angina tipica, quando si vogliano avere informazioni sulla gravità della coronaropatia. Un test nettamente positivo è indicativo di interessamento multivasale o del tronco comune della coronaria sinistra ed è rappresentato dal sopralivellamento di ST in assenza di onde Q di necrosi (nel qual caso il sopralivellamento esprime semplicemente un'alterazione della motilità della parete sottostante); sottolivellamento di ST>0,25 mV; inizio precoce dell'ischemia per bassi carichi, in genere nei primi 3 minuti; persistenza prolungata dei segni ischemici nel recupero (>8 min); importanti aritmie ventricolari, con frequenze cardiache moderate, inferiori ai 120-130/min. Oltre alle modificazioni di ST, altri segni elettrocardiografici sono indicativi di gravità: capacità di esercizio inferiore ai 3 minuti, bassa frequenza cardiaca massima (<120 b/min), basso doppio prodotto massimo (<15.000), riduzione della pressione sistolica di oltre 10 mmHg rispetto ai valori rilevati durante il gradino lavorativo prece dente; eccessivo aumento della pressione diastolica in soggetti non ipertesi (110-120 mmHg).

La sensibilità del test ergometrico elettrocardiografico varia in rapporto al carico lavorativo massimale: essa è del 55-70% in caso di test sottomassimale con frequenze cardiache massime pari all'85% del valore massimo predetto per l'età e del 65-85% nei test massimali limitati da sintomi. Inoltre sono causa di ridotta sensibilità del test: l'uso di una sola derivazione precordiale (-20% rispetto alle 12 derivazioni); l'esistenza di una coronaropatia monovascolare; la presenza di flusso coronarico adeguato alle richieste metaboliche per stenosi coronarica lieve od esistenza di circoli collaterali; il dolore chiaramente non coronarico.

La specificità del test ergometrico, cioè l'evenienza di un risultato normale in assenza di coronaropatia, varia dall'80 al 95% nei maschi e dal 60 all'80% nelle donne. I risultati falsamente positivi sono stati attribuiti a numerose cause. In passato si sono considerati come falsi positivi modificazioni di ST simili a quelli che insorgono dopo iperventilazione; il problema deve essere rivisto tenendo conto che l'iperventilazione può causare vasocostrizione e vasospasmo. Falsi positivi possono osservarsi in presenza di alterazioni della ripolarizzazione legate ad ipertrofia ventricolare, turbe della conduzione intraventricolare sinistra e sindrome di WPW. Falsi positivi possono presentarsi, soprattutto in soggetti di sesso femminile, in presenza di labilità neurovegetativa, con instabilità pressoria ed alterazioni transitorie di ST che scompaiono con il prosieguo dell'esercizio. In caso di conclusioni dubbie, ma di fondato sospetto di coronaropatia si procede cercando di portare la probabilità post-test ad un livello superiore, utilizzando test ergometrici che studiano l'irrorazione miocardica (scintigrafia con tallio-201) o la motilità parietale sinistra (ventricolografia radioisotopica; ecocardiografia), cioè quegli eventi che nel corso di una crisi ischemica precedono temporalmente le alterazioni elettrocardiografiche ed il dolore.

Un problema tuttora aperto è quello della comparsa di modificazioni di ST durante esercizio muscolare in soggetti asintomatici. Ampi studi hanno dimostrato che questo evento si manifesta in soggetti di età superiore ai 40 anni nel 13% dei maschi e nel 28% delle donne. In gruppi selezionati con test ergometrico positivo la prevalenza di coronaropatia dimostrata angiograficamente era del 35%. Tuttavia la probabilità di futuri eventi cardiaci (comparsa di angina, infarto miocardico, morte improvvisa) sembra piuttosto modesta in questi pazienti. In ampi studi condotti su circa 8000 soggetti questa evenienza è stata rilevata nell'arco medio di 6 anni (3-12,7 anni) nel 5,2% dei soggetti con test positivo (con variazioni che vanno dall'1,6% nelle donne al 9% nei maschi) nonostante essi avessero un indice di rischio variabile da 3,6 a 5,5 rispetto a quello di 1 dei soggetti a test negativo. La bassa prevalenza di futuri eventi cardiaci (5%) porta a valutare la probabilità post-test sul 25% (con valori variabili nelle diverse casistiche dal 5 al 46%) per cui è da ritenere che il 75% di questi test positivi siano in realtà falsamente positivi. La notevole variabilità dei risultati dipende dalla non uniformità dei campioni esaminati; inoltre è da notare che le donne sono state poco studiate. Il potere predittivo sarebbe nettamente più basso nei giovani rispetto agli anziani.

La presenza di uno o più fattori di rischio accrescerebbe il potere predittivo di un test ergometrico positivo rispetto a quello negativo (28% contro 20% in una casistica). In uno studio di Bruce, condotto in soggetti di età compresa tra i 35 ed i 55 anni, è risultata chiara l'incidenza dei fattori di rischio sulla probabilità di futuri eventi coronarici dopo test ergometrico positivo. Il 41% di questi pazienti non presentava fattori di rischio (storia familiare di cardiopatia ischemica, fumo di sigaretta, pressione sistolica > 140 mmHg, ipercole-sterolemia) ed aveva una probabilità di evento cardiaco primario dello 0,0086 in 5 anni. La presenza di un fattore di rischio aumentava la probabilità allo 0,018 e quella di due fattori a 0,41. Pertanto un test positivo è in grado di identificare questi pazienti ad alto rischio, ma il loro numero è molto basso (1% della popolazione generale). Di conseguenza l'opportunità di effettuare un test ergometrico in soggetti asintomatici dovrebbe essere ristretto ai pazienti con almeno due fattori di rischio. Inoltre esso potrebbe essere utile in soggetti oltre i 40 anni che intendono iniziare un'attività fisica intensa. Infine esso può essere richiesto per determinate categorie di soggetti potenzialmente pericolosi per la loro attività (piloti, autisti di autobus).

In passato vi sono stati numerosi tentativi tendenti ad utilizzare le modificazioni di QRS da esercizio ai fini della diagnosi di insufficienza coronarica, in modo da aumentare la sensibilità e specificità del test. E' stata segnalata la riduzione di Q ed attribuita ad ischemia settale. E' stato pure segnalato l'aumento del voltaggio di R ed attribuito sia all'aumento ischemico del ventricolo sinistro (effetto Brody) oppure, Più probabilmente, al ritardo ischemico del tempo di attivazione endocardio-epicardio. Dopo esercizio, l'onda S è stata descritta aumentata nei normali e nei coronaropatici; tuttavia, l'aumento sarebbe minore nei coronaropatici, a causa dell'ischemia sottoendocardica. Recentemente è stato sottoposto a controllo e confrontato con la scintigrafia miocardica il punteggio QRS proposto da Michaelides et al. (1990). Il punteggio QRS (QRS score) viene ottenuto dalle differenze che si osservano in Q, R e S prima e dopo test di Bruce modificato, sulla base della seguente formula:

 

(deltaR x deltaQ x deltaS)aVF + (deltaR - deltaQ - deltaS)V5.

Utilizzando come valore di separazione (cut off)>5 tra normali e coronaropatici, il punteggio QRS ha presentato una sensibilità diagnostica di cardiopatia ischemica dell'88,2%, una specificità dell'84,9%, ed un'accuratezza predittiva dell'87,1%, nettamente superiore a sensibilità e specificità e accuratezza predittiva di ST (54,9%, 83%, 64,5%) (valori prossimi a quelli ottenuti con metanalisi da Gianrossi et al.: sensibilità 68%; specificità 77%). E stata dimostrata, inoltre, una correlazione positiva tra punteggio QRS e grado del sottolivellamento di ST, anche con il numero dei difetti reversibili osservati con la scintigrafia al tallio. I betabloccanti riducono il punteggio ischemico. La ricerca necessita di conferme su più ampie casistiche.

Il test elettrocardiografico ergometrico rappresenta anche un utile indice prognostico nei pazienti che hanno avuto una crisi coronarica acuta. Il problema è stato recentemente riesaminato su un'ampia casistica, composta da 740 pazienti ricoverati per una coronaropatia instabile (angina instabile ed infarto non Q, a patogenesi e prognosi simile). Un ECGD alla dimissione, registrato in 160 casi, ha identificato un sottolivellamento di ST nel 18% dei casi. Tali pazienti, nei tre mesi successivi, hanno manifestato un infarto del miocardio in una percentuale nettamente maggiore rispetto ai pazienti che non avevano presentato un sottolivellamento di ST (23% contro 7%). Il test ergometrico 10 watt/min, limitato dai sintomi, effettuato su tutti i 740 pazienti, ha messo in evidenza un sottolivellamento di ST nel 52% dei casi, ivi inclusi anche il 79% dei pazienti positivi all'ECGD. Il 13% dei pazienti con test ergometrico positivo ha avuto infarto o morte entro tre mesi, in misura nettamente maggiore rispetto ai pazienti con test negativo (5%).

Il test ergometrico elettrocardiografico concorre ancora oggi alla valutazione prognostica degli infartuati, anche se tale valutazione è complessa e tiene conto di molteplici elementi (età; funzione ventricolare sinistra, con mortalità post-infartuale maggiore quando il volume del ventricolo sinistro è superiore a 130 ml o quando FE è inferiore al 45%; ricerca del miocardio vitale). Un test ergometrico sottomassimale, effettuato alla dimissione, se positivo a basso carico (frequenza cardiaca <70% del teorico), comporta mortalità ad un anno superiore al 5% ed induce ad effettuare indagini invasive coronarografiche. I pazienti con test sottomassimale negativo hanno mortalità all'anno dell'1-2% e devono essere rivalutati dopo 3-4 settimane. Accessoriamente si deve ricordare che l'elettrocardiogramma viene utilizzato anche in concomitanza con altri test valutativi, soprattutto scintigrafia miocardica, rispetto ai quali è inferiore.

 

 

Scintigrafia miocardica

 

La scintigrafia miocardica con tallio-201 è stata utilizzata fin dal 1975 per lo studio della funzione miocardica, dapprima a riposo e dopo esercizio fisico. Il tallio si fissa -sul miocardio in funzione del flusso coronarico relativo alla zona interessata, per cui, per ottenere una buona risposta, non è necessario che l'esercizio fisico sia spinto fino all'ischemia, ma è sufficiente la riduzione del flusso zonale. Nel soggetto normale si ha una distribuzione omogenea del tallio a tutto il cuore. Nel caso della cardiopatia ischemica si manifesta un difetto di perfusione nella zona interessata dall'ischemia. Se il difetto permane per almeno 3-4 ore, esso veniva considerato come espressione di zona morta (infarto del miocardio), mentre se esso scompare dopo 3-4 ore, per il fenomeno della redistribuzione, tale difetto corrisponde ad ischemia miocardica reversibile, quindi a miocardio vitale. Il test è stato potenziato nel 1990 a seguito della segnalazione di Dilzisian et al., secondo i quali una nuova iniezione di tallio dopo l'acquisizione delle immagini da ridistribuzione delle quattro ore, determina nel 40-50% dei casi una ulteriore assunzione di tallio nelle zone precedentemente non irrorate e ritenute morte. Il protocollo è stato variamente modificato, ma il concetto rimane sempre lo stesso. Inoltre, la scintigrafia miocardica ha subito successivamente ulteriori perfezionamenti a seguito della messa a disposizione di nuovi traccianti e di nuovi test provocativi. Il nuovo tracciante più utilizzato è il tecnezio-99m (99mTc) legato a isonitrili (Sestamibi(c)), il quale dà immagini più nette rispetto al tallio-201. Recentemente il 99mTc è stato legato alla tetrafosmina (Myoview(c)) dando luogo ad un indicatore veramente promettente. Da notare che i traccianti legati al 99mTc hanno il vantaggio di permettere, con lo stesso esame, anche la determinazione della frazione di eiezione mediante la tecnica del primo passaggio o di quella dell'equilibrio. I progressi tecnici sono stati egualmente notevolmente rilevanti. La scintigrafia miocardica è stata effettuata nei primi anni con il metodo planare fino alla comparsa della SPECT (Single-Photon Emission Computerized Tomography), particolarmente nelle versioni a più teste, che ruotano attorno al paziente per 90' (a due teste) o per 120' (a tre teste). La metodica è stata ulteriormente migliorata con l'introduzione di analisi computerizzate le quali portano anche alle immagini a occhio di bue (bull's eye), le quali permettono un'accurata definizione del livello, del sito e dell'ampiezza dei difetti di perfusione. Lo stress fisico è stato sostituito successivamente da stress farmacologici, quali dipiridamolo, adenosina e dobutamina, le cui caratteristiche saranno meglio precisate nel capitolo dedicato all'ecocardiografia.

Il dipiridamolo è stato utilizzato inizialmente solo nei pazienti che non potevano effettuare un adeguato esercizio fisico (vasculopatie periferiche, lesioni vascolari celebrali, malattie respiratorie croniche non ostruttive, malattie articolari della colonna lombare o delle gambe, uso di beta bloccanti o di calcioantagonisti, scarsa motivazione, fattori comportanti esercizio a basso carico quali stanchezza o dolore toracico). Il dipiridamolo viene iniettato in vena alla dose di 0,14 mg/kg/min per 4 minuti, seguito eventualmente da un breve periodo di esercizio fisico o di pugno intensamente chiuso (hand-grip) per favorire la deviazione del flusso sanguigno dai visceri addominali al cuore. Dopo l'infusione del dipiridamolo si iniettano i traccianti. Le immagini vengono acquisite 3-5 minuti dopo il tallio-201 e 30-120 minuti dopo il Sestamibi. In presenza di sintomi o di modificazioni elettrocardiografiche l'effetto del dipiridamolo viene contrastato mediante aminofillina iniettata lentamente in vena alla dose di 125 mg.

Successivamente, al posto del dipiridamolo si è proposta l'utilizzazione dell'adenosina. Il protocollo consiste nell'iniettare l'adenosina alla dose di 140 micro g/kg/min per circa 6 minuti. Il tracciante viene iniettato attraverso una seconda linea venosa a metà infusione di adenosina. Eventuali disturbi secondari scompaiono rapidamente, data la breve emivita dell'adenosina; in caso contrario si usa la teofillina.

 

La dobutamina viene utilizzata nei soggetti inidonei ad effettuare un esercizio fisico e particolarmente in quei soggetti in cui è controindicato l'uso dei due precedenti vasodilatatori (ipotensione a riposo, asma, broncopneumopatia cronica ostruttiva, malattia del seno carotideo). La dobutamina viene iniettata in genere in gradini successivi, ciascuno della durata di 5 minuti, con inizio da 5 micro g/kg/min e successivi incrementi di 5/micro g/kg/min per stadio fino ad arrivare fino a 20 e talvolta a 40 micro g/kg/min. Sensibilità e specificità diagnostica dei test scintigrafici farmacologici con dipiridamolo e adenosina sembrano non differire di molto tra di loro (sensibilità e specificità 70-95%) e tra di essi e il test scintigrafico ergometrico. I dati concernenti la dobutamina non sono ancora sufficientemente rilevanti, ma sembrano soddisfacenti, mostrando sensibilità 90-70% e specificità 90-67%.

I test scintigrafici hanno anche importante valore prognostico, sia dopo esercizio che dopo dipiridamolo ed adenosina. Hanno chiaramente valore prognostico sfavorevole la presenza di difetti reversibili multipli, la notevole assunzione polmonare del tracciante, espressione di congestione polmonare, e sensibile dilatazione ventricolare sinistra. Allo stesso modo un test al dipiridamolo negativo ha una notevole capacità predittiva negativa per futuri eventi miocardici ischemici in coronaropatici (eventi importanti, cioè infarto o morte in un periodo di tempo inferiore ad un anno). Significato prognostico favorevole è stato segnalato in pazienti che stanno per essere sottoposti a interventi vascolari, particolarmente in coronaropatici diabetici, ed in occasione della dimissione di pazienti infartuati (previsione di angina instabile, reinfarto, morte). Un confronto completo tra i vari test (ECG, scintigrafia, ecocardiografia) sarà effettuato più avanti.

 

 

Ecocardiografia

 

L'ecocardiografia basale rappresenta un elemento insostituibile nella diagnosi delle cardiopatie. In particolare, nel campo della cardiopatia ischemica essa costituisce un elemento diagnostico, valutativo e prognostico di sempre crescente importanza.

La diagnosi della cardiopatia ischemica rappresentata nella sua espressione più classica della angina da sforzo è legata alla possibilità di riprodurre in laboratorio l'ischemia miocardica. L'aumento dei determinanti del consumo di ossigeno del miocardio in presenza di stenosi coronarica critica, determina una cascata di eventi che vanno dalla riduzione del flusso fino all'angina. Inizialmente si manifesta una riduzione del flusso diretto verso la zona sottostante la stenosi con conseguente disparità di flusso tra zone normalmente irrorate e zone ischemiche. Seguono quindi nelle zone ischemiche alterazioni metaboliche con passaggio al metabolismo anaerobico, riduzione della contrazione miocardica, comparsa di alterazioni elettrocardiografiche ischemiche ed, eventualmente, angina.

L'ischemia miocardica determina notevoli alterazioni funzionali miocardiche. Nel soggetto normale durante la sistole si determina una notevole riduzione concentrica delle dimensioni ventricolari, un progressivo ispessimento del miocardio, dovuto principalmente allo strato sottoendocardico. In caso di ischemia l'ispessimento del miocardio si riduce fino a scomparire del tutto. Si osservano, inoltre, zone più o meno estese di alterazioni cinetiche, che vanno dalla ipocinesia (riduzione dei movimenti sistolici della parete) alla acinesia (assenza di movimenti sistolici) alla discinesia (movimento paradosso della parete miocardica verso l'esterno). Per la diagnosi di ischemia miocardica tutt'e due i fenomeni vanno accuratamente osservati. E' dimostrato poi che vari elementi della cascata ischemica possono essere messi in evidenza da indicatori diversi. L'eterogeneità del flusso tra zone ischemiche e zone normali viene evidenziata dal tallio-201, il quale viene assunto solo dalle cellule integre bene irrorate.

Pertanto la scintigrafia miocardica necessita di uno stress minore di quello richiesto per una positività dell'ecocardiogramma, espressione della contrazione miocardica, e ancor meno di quello indispensabile per la comparsa delle alterazioni elettrocardiografiche ischemiche e del dolore anginoso.

L'ecocardiogramma è stato studiato nella cardiopatia ischemica dapprima come eco monodimensionale ed in seguito come eco bidimensionale. Le modificazioni ecocardiografiche ischemiche sono state analizzate, sia in condizioni basali che dopo agenti stressanti, dapprima visivamente, successivamente mediante registrazione su videonastro ed, infine, su immagini digitalizzate immagazzinate in cine, suddivise in quadranti (cine loop quad screen), ottenendo ottimi risultati. Gli agenti stressanti sono rappresentati dall'esercizio fisico e dagli agenti farmacologici di cui si è già parlato, ma che saranno analizzati più accuratamente, con particolare riguardo alla loro utilizzazione in ecocardiografia. L'esercizio fisico è stato realizzato con mezzi diversi (preferibilmente bicicletta in Europa, ergometro trasportatore negli USA) e con modalità differenti: durante o dopo esercizio, in posizione eretta o supina. La registrazione immediatamente dopo sforzo sarebbe valida perché lo stordimento ischemico da esercizio determinerebbe alterazioni della contrazione miocardica che si prolungano per alcuni minuti. Alcuni Autori, ancora oggi, prediligono l'esercizio fisico in posizione supina, con gambe sollevate di 30' sul livello del letto per favorire il ritorno venoso al cuore e quindi l'aumento del volume ventricolare, uno dei determinanti del consumo di ossigeno del miocardio.

Il dipiridamolo (DP), in campo di ecocardiografia, è stato utilizzato inizialmente in modo simile a quanto effettuato in precedenza nel campo della scintigrafia miocardica e, cioè, somministrando 0,14 mg/kg/min per 4 minuti, in modo da raggiungere la dose complessiva di 0,56 mg/kg. Poiché la sensibilità e la specificità del test erano risultate piuttosto modeste la dose del dipiridamolo è stata aumentata, somministrando dopo 4 minuti di intervallo e test negativo, 0,28 mg/kg in 2 minuti, fino a raggiungere cioè la dose complessiva di 0,84 mg/kg in 10 minuti. In presenza di ischemia, dolore anginoso od altri effetti collaterali si somministra aminofillina (240 mg in 3 minuti). Il dipiridamolo, alle dosi iniziali, aveva mostrato modesta sensibilità (52-56%, ma alta specificità). Le dosi maggiori hanno aumentato la sensibilità (da 53% a 74%) senza modificare la specificità. Il dipiridamolo agisce bloccando la riassunzione dell'adenosina (potente dilatatore naturale derivante dalla demolizione dell'ATP) per cui successivamente si è pensato di utilizzare l'adenosina medesima come agente stressante. L'adenosina (ADP) viene iniettata in vena alla dose di 0,14 mg/kg/min per 6 minuti. Gli effetti secondari dell'adenosina sono simili a quelli causati dal dipiridamolo, ma scompaiono rapidamente, dato il piccolissimo tempo di dimezzamento: cefalea, arrossamento del viso, dispnea, dolore toracico, nausea, vertigini. Da notare però che l'adenosina può provocare blocco atrio-ventricolare, anche se transitorio e di breve durata. Gli studi con adenosina sono relativamente poco numerosi; tuttavia i risultati sembrano simili a quelli ottenuti con il dipiridamolo.

 

La dobutamina (DB) è una catecolamina sintetica ottenuta per modificazione della struttura chimica dell'isoproterenolo, di cui mantiene parte delle caratteristiche, agendo sui recettori alfa-1, alfa-2, beta-1, beta-2. A piccole dosi, stimolando i recettori P, aumenta la contrattilità miocardica senza modificare sensibilmente la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. A dosi maggiori determina l'aumento della frequenza cardiaca e della pressione sistolica, la quale però si riduce a dosi elevate, probabilmente per stimolazione dei recettori beta-2. La dobutamina causa nel coronaropatico ischemia aumentando i principali determinanti del consumo di ossigeno del miocardio, frequenza cardiaca, pressione arteriosa e contrattilità miocardica. Al determinismo dell'ischemia zonale sembra concorrere l'effetto vasodilatante dei recettori beta-2 a livello delle arteriole. Un certo numero di pazienti, particolarmente quando assumono betabloccanti, non raggiunge l'85% della massima frequenza cardiaca prevista per l'età (220 - anni di età), per cui, in caso di test negativo, si somministrano dosi successive di atropina, ciascuna di 0,25 mg, fino ad un massimo totale di 1 mg.

L'eco-dobutamina ha un potere diagnostico di cardiopatia ischemica molto simile a quello del test eco-ergometrico e, probabilmente, lievemente superiore a quello dell'eco-dipiridamolo. L'eco-dobutamina è stato studiato intensamente in questi ultimi anni e i suoi risultati dipendono da molti fattori, tra cui la dose di farmaco necessaria per causare alterazioni cinetiche parietali, l'entità della riduzione cinetica indispensabile per la diagnosi e la prevalenza della coronaropatia nel campione esaminato. Tenuto conto di queste premesse, sembra che il test eco-dobutamina abbia una sensibilità del 54-96% ed una specificità del 60-95%, cioè valori molto vicini a quelli che si ottengono con la SPECT tallio-dipiridamolo e, talvolta, superiori a quelli eco-esercizio e eco-dipiridamolo. La sensibilità dell'eco-dobutamina sarebbe superiore a quella dell'ecoadenosina.

Il test eco-dobutamina sembra possedere anche notevole significato prognostico. Una risposta normale indicherebbe una bassa incidenza di futuri eventi cardiaci gravi (scompenso cardiaco, infarto, morte) a differenza di un test positivo (espresso da comparsa di nuove alterazioni cinetiche o peggioramento di alterazioni cinetiche preesistenti). Il rischio sarebbe minore in presenza di alterazioni presenti solo nell'eco di base. Una riduzione del volume ventricolare sinistro dopo dobutamina inferiore al 15% sarebbe espressione di malattia plurivasale. Un test positivo sarebbe premonitore di eventi cardiaci gravi (angina instabile, infarto, morte) nei pazienti che si sottopongono a interventi chirurgici non cardiaci.

 

 

Ricerca del vasospasmo coronarico

 

Risulta sempre più evidente che una componente funzionale vasocostrittiva è frequentemente presente nella cardiopatia coronarica ischemica per alterazione dei normali fenomeni vasomotori coronarici illustrati nella premessa.

I test più frequentemente utilizzati sono rappresentati in misura maggiore dall'ergonovina e dall'acetilcolina, ed in misura minore dall'iperventilazione e dal cold pressure test (CPT).

 

 

ERGONOVINA

 

Da tempo era noto che gli alcaloidi dell'ergot possiedono potentissima attività vasocostrittrice per azione diretta sulle cellule muscolari lisce. Nel 1949 l'ergotamina fu utilizzata da Stein per la diagnosi di insufficienza coronarica in pazienti anginosi. Successivamente, nel 1975, Heupler e Coll. proposero l'uso dell'ergonovina per via endovenosa per provocare lo spasmo nei soggetti affetti o sospettati di avere l'angina di Prinzmetal. Studi condotti su diverse serie di pazienti hanno messo in evidenza che l'ergonovina è in grado di determinare spasmo coronarico in pazienti affetti da angina a riposo, che rispondono anche con modificazioni di ST, in genere di tipo sopralivellamento e/o angina, mentre non provoca coronarospasmo in quei soggetti che non rispondono con segni elettrocardiografici ischemici e/o dolore anginoso tipico.

Successivamente, sono stati proposti altri agenti per provocare lo spasmo coronarico (metilcolina, cold pressure test, iperventilazione, adrenalina, istamina, esercizio fisico) ma l'ergonovina è ritenuta tuttora il test di riferimento per la provocazione dello spasmo delle arterie coronariche predisposte. Tuttavia, l'uso dell'ergonovina per via endovenosa in UTIC è molto diminuito perché i pazienti possono presentare oltre allo spasmo tutti i sintomi e i segni della crisi di angina vasospastica, quali ipotensione, riduzione della portata cardiaca, blocco A-V, tachicardia e fibrillazione ventricolare ed in qualche caso anche la morte, senza contare che un certo numero di pazienti può presentare nausea, vomito e sia pur raramente crisi ipertensive. La somministrazione di ergonovina per via coronarica selettiva in dosi progressive (6-50 mg in totale) permette di evitare gli effetti sistemici del farmaco e consente l'identificazione delle coronarie predisposte allo spasmo.

 

 

ACETILCOLINA

 

E' noto che la stimolazione del vago determina coronarodilatazione e che il suo mediatore, l'acetilcolina, non diffonde nel sangue. Recentemente, l'acetilcolina è stata iniettata direttamente in arteria coronarica allo scopo di provocare spasmo nei soggetti predisposti.

L'acetilcolina è stata utilizzata, alle dosi di 20, 50, 100 micro g, somministrata per via coronarica, con intervalli di 5 minuti tra una dose e l'altra, per studiare la risposta delle arterie coronariche di soggetti normali giovani e adulti e di pazienti affetti da aterosclerosi coronarica ed anche da angina vasospastica. La ricerca ha messo in evidenza risposte vasomotorie differenti, che vanno da una lieve costrizione nei giovani normali a gradi crescenti di vasocostrizione dai normali anziani ai coronarosclerotici e ai pazienti affetti da angina di Prinzmetal, nei quali compare un vero spasmo. Tutti i soggetti hanno risposto all'effetto dilatatore della nitroglicerina, somministrata alla dose di 0,3 mg in vena ottenendo dimensioni coronariche simili nei diversi gruppi. Pertanto la ricerca ha messo in evidenza l'esistenza di gradi variabili di reattività coronarica alla costrizione e alla dilatazione, di ordine crescente dai normali giovani ai normali anziani, ai coronaropatici cronici, ai pazienti affetti da angina vasospastica. Tali effetti sarebbero dovuti in modo prevalente a un difetto di produzione di EDRF o/anche ad una esagerata risposta delle cellule muscolari lisce.

 

 

IPERVENTILAZIONE

 

Anche l'iperventilazione è stata proposta per provocare vasocostrizione ed eventualmente vasospasmo coronarico. Sembra che l'iperventilazione agisca mediante alcalosi per cui il test viene fatto precedere dalla somministrazione endovenosa di Tris buffer (100 ml in 2 min) in modo da ottenersi in totale un pH > 7,65. L'alcalosi provocherebbe una perdita di idrogenioni a livello delle cellule muscolari lisce vasali determinando un accumulo di calcio-ioni e vasocostrizione. La tecnica consiste nell'invitare il paziente a respirare nel modo più profondo possibile alla frequenza di 25 atti respiratori al minuto per un periodo complessivo di 5 minuti, aumentabile fino ad 8 minuti, cioè fino alla comparsa di un sopralivellamento di ST, o di sensazione di vuoto alla testa o di intorpidimento delle labbra e degli arti. In presenza di risposta positiva (ST sottolivellato >1,5 o ST sopralivellato >2 mm) si può arrestare la crisi mediante iniezione e.v. di TNG 0,25 mg, iniezione che può ripetersi dopo 2 minuti in caso di insuccesso.

 

La tecnica della iperventilazione è stata utilizzata per studiare i suoi effetti sul tono coronarico mediante coronarografia, elettrocardiografia ed ecocardiografia. La tecnica elettrocardiografica è sembrata particolarmente utile nello studio almeno preliminare dei pazienti con sporadiche crisi anginose a riposo, meno di 1-2 alla settimana; in queste evenienze è doveroso escludere mediante ergometria i casi in cui compaiono modificazioni elettrocardiografiche per carichi molto lievi e, pertanto, sospetti di avere alterazioni multivasali e quindi potenzialmente pericolose per la possibilità di evocare spasmi plurivasali. L'ecocardiografia è stata recentemente utilizzata per evidenziare non invasivamente spasmi multivasali nell'angina di Prinzmetal. Inoltre, il test è stato utilizzato nella versione più semplice (iperventilazione per 5 minuti) per cercare di evidenziare mediante comparsa di sottolivellamento di ST in fase di recupero l'esistenza di una componente vasocostrittiva nell'angina stabile da sforzo o mista; tuttavia, queste ricerche necessitano di ulteriori conferme su casistiche più ampie.

 

 

COLD PRESSURE TEST (CPT)

 

Il CPT consiste nello studiare la risposta cardiovascolare all'immersione in una bacinella di acqua ghiacciata di un arto (mano e braccio) per 90 secondi. Il CPT determina un incremento dell'attività simpatica e provoca un aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, due dei determinanti di MVO2, aumento del flusso coronarico nelle coronarie normali, scarso aumento in quelle aterosclerotiche e riduzione in quelle stenotiche.

Studi recenti hanno dimostrato che il CPT determina vasodilatazione dei segmenti coronarici normali, agendo sui recettori beta delle cellule muscolari lisce ed aumentando il flusso coronarico e l'attività dei recettori alfa-2 dell'endotelio vasale, i quali ultimi determinano la liberazione di ERDF. Al contrario, il CPT determina vasocostrizione di segmenti aterosclerotici, i quali sembrano aver perso l'attività prodilatativa legata prevalentemente alla liberazione di EDRF. L'azione dilatativa è nettamente inferiore a quella della TNG ed è prevenuta dai beta-bloccanti.

Il CPT può provocare franco vasospasmo nell'angina di Prinzmetal.

 

 

STRESS MENTALE

 

Anche gli stress mentali sono stati utilizzati per evidenziare la comparsa di crisi ischemiche transitorie a seguito di impegni mentali (conoscitivi) emozionali e non.

I test più utilizzati sono i seguenti:

 - aritmetica mentale: consiste nell'invitare il paziente a sottrarre da un numero a 4 cifre il numero 7, il più rapidamente ed il più correttamente possibile, anche sotto lo stimolo dell'esaminatore per la durata di 5 minuti;

 - contrasto colore-parole: anche questo test, come il precedente è un test conoscitivo con elementi di frustrazione. Al paziente viene presentata rapidamente una serie di diapositive che riportano il nome di un colore scritto con una tinta di colore diverso dal nome (ad esempio: rosso scritto in verde). Il paziente deve rapidamente dire a voce alta il nome della tinta utilizzata e non quello del colore indicato (nell'esempio verde e non rosso);

 - discorso pubblico simulato: il test è personalmente rilevante e stimolante dal punto di vista emotivo. Il paziente viene invitato a tenere un discorso di fronte a due operatori, i quali intervengono sottolineando con moderazione eventuali errori di sostanza o di forma;

 - lettura: il test è stato proposto per studiare l'effetto fisiologico di un discorso impersonale, non emotivamente coinvolgente. Il paziente legge a voce alta per la durata di 3 minuti un testo scelto dall'esaminatore.

 

L'effetto di questi stress mentali è stato studiato mediante elettrocardiografia e ventricolografia radionuclidica. Quest'ultima metodica si è rivelata molto sensibile nel mettere in evidenza alterazioni attribuibili ad ischemia transitoria. E' da notare che questi segni di ischemia transitoria oltre ad essere stati silenti si sono manifestati per un doppio prodotto nettamente inferiore a quello osservato con il test ergometrico. E' quindi possibile che l'aumento dell'attività adrenergica oltre ad aumentare frequenza cardiaca e pressione arteriosa possa agire favorendo una riduzione del flusso coronarico per vasocostrizione di coronarie malate. E' stato postulato che molte crisi ischemiche transitorie spontanee in realtà siano conseguenza di stress mentali.

 

 

Elettrocardiografia ambulatoriale (dinamica secondo Holter)

 

Recentemente la diagnostica e la valutazione strumentale del coronaropatico si è arricchita dell'apporto dell'elettrocardiografia dinamica, introdotta da Holter nel 1960.

Il metodo consiste nella registrazione dell'elettrocardiogramma per periodi di 24, 48, 72 ore, eventualmente associata al rilievo della pressione arteriosa. L'elettrocardiogramma viene registrato con derivazioni bipolari, ottenute congiungendo alcuni punti precordiali (C) con il manubrio sternale (M): CM3, CM5 o con il punto omologo destro (C): CC5; o anche con il dorso (B): CB5, in modo da evidenziare l'ischemia anterolaterale; oppure in modo da indagare l'ischemia inferiore, mediante derivazioni II o aVF modificate. L'esperienza attuale favorisce le registrazioni di CM5, CC5, CC3, aVF. L'elettrocardiogramma viene rilevato mediante registratori a nastro, in modo continuo, o a memoria solida, in modo continuo o per campione. Un apposito pulsante permette al paziente di segnalare l'insorgenza di fenomeni anormali quali angina o aritmie. In modo simile all'elettrocardiogramma che si ottiene a riposo o durante esercizio, l'indice di ischemia più utilizzato consiste nell'analisi delle deviazioni di ST dall'isolettrica.

D'accordo con il teorema di Bayes, anche l'ECG dinamico comporta falsi positivi, legati a molteplici fattori, quali modificazioni fisiologiche (posizione del corpo, stato postprandiale, tono vegetativo), oppure legate al segnale ECG (risposta di frequenza, risposta di fase, rapporto ampiezza/disturbi, stabilità della linea di base), nonché quella dovuta all'interpretazione del dato (battiti ectopici, derivazioni bipolari, criteri sull'episodio, problemi tecnologici, accuratezza della lettura visiva). Da tenere in conto che ST può essere modificato non solo dall'ischemia ma anche da ipertrofia ventricolare, squilibrio elettrolitico, disturbi di conduzione, oscillazioni del sistema autonomico, agenti farmacologici. Per ovviare a questi inconvenienti, con criteri arbitrari si attribuiscono ad ischemia le deviazioni di ST di almeno 1 mm, valutate a 0,08 secondi dal punto J, che persistono per almeno 1 minuto. Si sono usati anche criteri diversi per definire l'ischemia, quale durata di ST di 30 secondi o ritorno alla linea di base in 1 o 3 minuti; tuttavia sembra che questi criteri siano meno validi dei precedenti. E' da notare però che finora mancano lavori definitivi che stabiliscano l'accuratezza diagnostica delle modificazioni di ST. Comunque, allo stato attuale, con tutte le precedenti riserve, si attribuiscono con molta verosimiglianza le modificazioni di ST ad ischemia miocardica in quei casi in cui vi è stata o vi è dimostrazione di una certa cardiopatia coronarica, quali angina pectoris da sforzo, sicuramente documentata, angina instabile, infarto miocardico, nonché evidenziazione coronarografica di coronaropatia ostruttiva.

 

Recentemente è stata attirata l'attenzione sulla variabilità degli episodi coronarici ischemici nella singola giornata e nel tempo. Così Tzivoni, sulla base di registrazioni di 24 ore ripetute per 3 giorni di seguito, assumendo come test di riferimento il giorno con maggiore numero di crisi o con crisi più gravi, ha messo in evidenza una variabilità del 36% del numero delle crisi, del 51% della loro durata e del 31% dell'ampiezza dello slivellamento di ST. Questi dati sono stati confermati da Nabel, a dimostrazione della variabilità degli episodi ischemici tra i giorni, settimane e mesi, indipendentemente dalla stabilità della sintomatologia.

Ai fini interpretativi è stata richiamata recentemente l'attenzione sulla modificazione dell'onda S, la quale si riduce prima (65%) o durante (35%) gli episodi ischemici. L'ampiezza dell'onda S sembra essere correlata con la gravità dell'episodio. Si deve usare cautela nel determinare l'ampiezza di QRS sui nastri dell'ECG dinamico; infatti l'onda R sembra poco riproducibile con il sistema a modulazione di frequenza (Fm) mentre le modificazioni di S sembrano valide sia con il metodo di ampiezza (Ma) sia con quello Fm.

In complesso lo studio dell'ECG dinamico ha dato notevoli informazioni. Esso ha permesso di evidenziare modificazioni di ST durante le attività quotidiane e durante il riposo, con prevalenza variabile dal 75% al 90%.

Ha dimostrato che il freddo, lo stress emotivo o mentale, il fumo di sigaretta possono causare modificazioni di ST ed ischemia silente. Nell'angina instabile il numero, la durata e l'intensità delle crisi sono correlate con la gravità della malattia. Inoltre, nelle attività quotidiane le crisi ischemiche si manifestano spesso con frequenze cardiache inferiori di 10-20 battiti al minuto rispetto alle frequenze cardiache capaci di causare ischemia durante esercizio. Infine è stata dimostrata la variabilità circadiana delle crisi ischemiche: gli episodi di sottolivellamento di ST si manifestano di preferenza tra le 6 e le 12, mentre gli episodi di sopralivellamento si manifestano maggiormente tra le 24 e le 6 del mattino. Queste variazioni sembrano manifestarsi parallelamente a varie modificazioni circadiane dell'organismo umano, quali i tassi ematici di catecolamine e cortisolo, con predilezione per quelle ore che più frequentemente coincidono con l'infarto.

Dubbio è invece il rapporto tra queste variazioni cicliche ed aritmie ventricolari e morte improvvisa.

L'utilità pratica della registrazione dell'elettrocardiogramma dinamico (ECG-D) è però dibattuta da alcuni Autori. Viene fatto rilevare che l'ECG-D non è sufficiente per la diagnosi di ischemia, sia sintomatica che silente, anche perché la diagnosi di ischemia silente viene posta usualmente mediante il test elettrocardiografico ergometrico eseguito in pazienti con segni o sintomi legati a cardiopatia coronarica.

Inoltre viene discussa l'utilità dell'ECG-D nel controllo della terapia, perché anche gli episodi di ischemia silente (comprendenti tra l'altro più del 75% di tutte le crisi) rispondono bene alla terapia antischemica classica con nitrati, betabloccanti e calcioantagonisti.

Altri Autori non condividono però questo punto di vista ed hanno sottolineato l'importanza prognostica dell'ECG-D. In un recente studio è stato messo in evidenza che i pazienti affetti da coronaropatia cronica stabile con test ergometrico elettrocardiografico positivo hanno un diverso destino a seconda delle modificazioni di ST nell'ECG-D. Infatti i pazienti con modificazioni di ST nell'ECG-D (sintomatici solo nel 14% dei casi) hanno presentato nell'arco approssimativamente di un anno nuovi eventi coronarici (morte, infarto, angina instabile o procedimenti di rivascolarizzazione) in numero nettamente maggiore rispetto ai pazienti che non avevano manifestato alterazioni di ST nell'ECG-D. Da notare che l'ECG ergometrico non possedeva tale potere predittivo.

Recenti ricerche hanno confermato che l'ischemia che si manifesta nell'arco della giornata nei coronaropatici cronici è condizionata prevalentemente da intensi sforzi fisici, come camminare rapidamente, e psichici, quali crisi di intensa irascibilità, eventi che determinano l'aumento della frequenza cardiaca. Il fumo delle sigarette è un altro sicuro stimolo ischemico.

Il caffè e l'alcol, di per sé, non sono agenti stressanti, ma potenziano l'azione del fumo.

L'utilità prognostica dell'ECG-D, registrata al momento della dimissione dei coronaropatici, è stata molto contestata recentemente. Tuttavia ulteriori ricerche (ACIP), effettuate su larga scala, hanno permesso di ribadire il valore prognostico. Negli infartuati la mortalità ad un anno è risultata tre volte maggiore nei pazienti che avevano presentato segni ischemici, rispetto a quelli che avevano presentato un ECG-D normale. Inoltre, in tale ricerca, l'ECG-D aveva rappresentato l'unico elemento prognostico di riospedalizzazione per infarto o angina instabile nel breve periodo, probabilmente per esistenza di placche aterosclerotiche instabili, ma silenti.

 

 

Confronto tra i vari stress-test

 

Nel corso dell'esposizione si sono forniti dati relativi a sensibilità e specificità dei vari test, ma un confronto tra di essi necessita di grandi numeri, quali quelli che si possono ottenere mediante metanalisi oppure attraverso grandi ricerche prospettiche che ancora mancano. Una grande metanalisi è stata effettuata da O'Keefe et al (1955) sulla base di oltre 75 casistiche, comprendenti più di 7000 pazienti, accuratamente selezionati.

Dopo esercizio fisico, la scintigrafia planare con tallio è risultata più sensibile dell'ecocardiografia (96% vs 73%, p<0,05). Sempre dopo esercizio fisico, anche la scintigrafia SPECT è risultata più sensibile dell'ecocardiografia (90% vs 81%, p<0,0001), la cui specificità era però maggiore (72 % vs 89 %, p<0,06); tuttavia la frequenza di casi normali (normalcy rate) era simile (89%).

La SPECT da vari stress farmacologici è risultata simile per adenosina, dipiridamolo e dobutamina con sensibilità globale del 90% e specificità globale del 86%; in questo contesto fa eccezione l'adenosina, la quale ha mostrato specificità maggiore rispetto al dipiridamolo (83% VS 78%; p<0,04).

Un confronto tra eco-dobutamina e SPECT-adenosina, effettuato sugli stessi pazienti, ha messo in evidenza una maggiore sensibilità della SPECT-adenosina rispetto all'eco-dobutamina (89% vs 81%, p<0,0001) ma con specificità simile (83%).

Studi comparativi tra eco e SPECT, registrati dopo esercizio fisico all'ergometro trasportatore o alla cicletta, oppure dopo dobutamina, hanno dato risultati molto simili in sensibilità (78% vs 83%) e specificità (86% vs 77%), NS. La SPECT è risultata più sensibile dell'eco (esercizio o dobutamina) nell'identificare la coronaropatia monovasale (76% vs 67%, p<0,05) e la coronaropatia multivasale (72% vs 50%, p<0,001). L'identificazione dei singoli vasi coronarici significativamente stenotici è risultata maggiore dopo esercizio SPECT rispetto all'esercizio eco, sia pure limitatamente alla círconflessa (72% vs 33%, p<0,00001). Allo stesso modo la SPECT-adenosina è risultata più sensibile dell'eco-dobutamina nell'identificazione della criconflessa (69% vs 54%, p<0,05) e della coronaria destra (65% vs 57%, p< 0,001). Questa importante statistica ha affrontato anche il problema della capacità diagnostica della PET (sensibilità 91%, specificità 80%), la quale non è risultata superiore alla scintigrafia miocardica.

 

In sintesi si può dire che questa metanalisi ha documentato che la scintigrafia miocardica ha sensibilità maggiore rispetto all'ecocardiografia da esercizio e da dobutamina da esercizio, adenosina, dipiridamolo e dobutamina.

La tallio-SPECT esercizio è risultata più sensibile dell'eco -esercizio e dell'eco-dobutamina nell'identificare la componente mono o plurivasale; in particolare la SPECT-esercizio è risultata più sensibile nell'identificare la circonflessa; la SPECT-adenosina è stata superiore all'eco-dobutamina nell'identificare la circonflessa e la coronaria destra.

La specificità è risultata simile in tutte le evenienze, ad eccezione della SPECT-esercizio che ha dato risultati minori rispetto a tutti gli altri test.

Gli Autori hanno sottolineato che questi dati sono da considerarsi provvisori e che possono subire modificazioni a seguito dei miglioramenti tecnologici e della scintigrafia e dell'ecocardiografia.

 

 

Ricerca della vitalità miocardica

 

In questi ultimi anni vi è stato un crescente interesse per l'identificazione del miocardio vitale in campo di cardiopatia ischemica, non solo dal punto di vista fisiopatologico, ma anche sotto l'aspetto clinico, allo scopo di poter prevedere l'esistenza di miocardio recuperabile con interventi di rivascolarizzazione, soprattutto nel campo del post infarto e della cardio-miopatia ischemica cronica.

Molti metodi sono stati proposti per la valutazione del miocardio vitale; tuttavia la loro attendibilità è tuttora in corso di verifica. La PET è stata proposta per lo studio del flusso coronarico (13-N, NH3, ammoniaca; 1-O acqua), del metabolismo miocardico glucidico (18-fluorodesossi-glucosio) e del consumo di ossigeno del miocardio (11-C acetato ) il tallio-201 per studiare l'integrità cellulare; l'ecocardiogramma e la MRI per l'evidenziazione dello spessore miocardico di base e la sua risposta agli stimoli inotropi.

Le condizioni che promanano dai disturbi del flusso coronarico sono l'ischemia acuta transitoria, lo stordimento miocardico (stunning), l'ibernazione (hibernation) e l'infarto miocardico, transmurale o sottoendocardico. L'ischemia acuta transitoria dà origine alla cascata ischemica, di cui si è già parlato. Lo stordimento del miocardio è una condizione di ridotta contrazione miocardica, che consegue ad ischemia acuta prolungata e che persiste a lungo anche quando il flusso coronarico si è restaurato. I meccanismi che sono alla base dello stordimento miocardico sono incompletamente noti ed includono la riduzione della disponibilità delle fonti energetiche (ATP, CP, CK, glucosio), l'aumento del calcio intracellulare, la presenza di radicali liberi dell'ossigeno. Persiste però una certa riserva metabolica. Studi ECO-PET hanno messo in evidenza una discrepanza tra flusso mantenuto e contrattilità ridotta (perfusion/contraction mismatching).

L'ibernazione è una condizione di contrattilità miocardica cronicamente ridotta in funzione di un diminuito flusso coronarico, cui la funzione miocardica sembra adeguarsi (perfusion/contraction matching). Studi ECO-PET preliminari avevano mostrato una concordanza di flusso ridotto e di metabolismo conservato, anche se a lungo andare, la morfologia miocardica subisce però notevoli modificazioni (rigonfiamento cellulare, riduzione del numero delle miofibrille, accumulo di glicogeno). Lo stordimento miocardico ricupererebbe spontaneamente in ore, giorni o mesi, mentre l'ibernazione necessiterebbe di interventi di rivascolarizzazione. Il tessuto stordito risponderebbe positivamente allo stimolo catecolaminico a piccole e grandi dosi. Il tessuto ibernato risponderebbe, invece, allo stimolo catecolaminico con reazione bifasica, con aumento dello spessore miocardico a piccole dosi e cessazione della contrazione a grandi dosi.

L'occlusione trombotica di una coronaria, se persistente per un tempo sufficientemente prolungato, porta all'infarto miocardico Q, transmurale, con susseguenti fenomeni di espansione (assottigliamento ed allungamento dell'area di necrosi) e di rimodellamento (ipertrofia e dilatazione delle zone sane). Se l'occlusione dura poco, a seguito di trombolisi spontanea o farmacologica, o di angioplastica precoce, oppure, se vi è l'intervento di collaterali, ne consegue un infarto non transmurale, la cui gravità dipende dall'estensione della necrosi dalla zona sottoendocardica (che concorre in misura determinante alla contrazione miocardica) alla zona sottoepicardica. Danni inferiori al 20% determinano gradi variabili di ipocinesi, mentre interessamenti superiori al 21% causano acinesi. Il miocardio, sede di infarto non transmurale, risponde allo stimolo dobutaminico a piccole dosi in funzione dell'estensione del danno sottoendocardico dove coesistono zone di miocardio necrotico e zone di miocardio ricuperabile, salvabile. In presenza di miocardio stordito, la dobutamina determinerebbe un aumento dell'ispessimento contrattile a piccole e grandi dosi. Nel caso invece del miocardio a rischio (jeoparzided) si osserverebbe una risposta bifasica, incremento contrattile a piccole dosi, riduzione a grandi dosi, espressione di ibernazione.

Il problema della vitalità del miocardio è stato ulteriormente indagato in questi ultimi anni mediante studi di flusso coronarico e di metabolismo miocardico mediante PET, anche allo scopo di meglio definire lo stordimento (stunning) e l'ibernazione (hibernation).

Studi recenti (Conversano et al., 1996, Di Carli et al., 1996) effettuati con PET su pazienti affetti da coronaropatia avanzata hanno messo in evidenza in segmenti miocardici disfunzionanti capacità metabolica conservata e flusso coronarico ridotto, come atteso, ma anche flusso coronarico normale. Pertanto la disfunzione miocardica sarebbe da attribuire a fasi intermittenti di stordimento piuttosto che a vera e propria ibernazione. Di Carli et al. (1996), studiando pazienti con cardiomiopatia ischemica e ridotta frazione di eiezione (27±7% ; 15%-42%) hanno potuto dimostrare che i risultati della rivascolarizzazione sono tanto migliori, quanto più grande è la discrepanza flusso/metabolismo (blood flow/metabolism mismatch) indicativa di miocardio vitale. Questi dati PET ben si accordano con i risultati ottenuti con studio scintigrafico SPECT-tallio a riposo con ridistribuzione (Ragosta, 1993), i quali avevano messo in evidenza che il miglioramento della funzione contrattile del ventricolo sinistro a seguito di interventi di rivascolarizzazione era commisurata al grado dell'ischemia messa in evidenza pre-operatoriamente con il tallio.

 

 

Valore prognostico dei vari test

 

La cardiopatia ischemica si manifesta variamente, sotto forma di angina stabile, di angina instabile, infarto del miocardio e morte improvvisa, per cui si è cercato di identificare indici prognostici specifici derivandoli dai vari test (elettrocardiogramma da sforzo, scintigrafia miocardica, ecocardiografia, PET), naturalmente con riferimento ai quadri clinici di base.

Una delle prime ricerche aveva messo in evidenza, in un gruppo di pazienti ambulatoriali con dolore toracico, utilizzando come indicatori di futuri eventi cardiaci gravi lo slivellamento di ST, la positività del test ergometrico al tallio e l'entità delle alterazioni coronarografiche. Successivamente, lo stesso gruppo (Pollock et al.) ha messo in evidenza il valore prognostico incrementale dei vari test, iniziando con l'insieme esame clinico-elettrocardiogramma da sforzo, per seguire poi con la scintigrafia planare al tallio e con la coronarografia, allo scopo di identificare i pazienti ambulatoriali a lieve e notevole rischio.

 

In pazienti asintomatici ma ad alto rischio (fratelli di pazienti affetti da precoce coronaropatia) una scintigrafia al tallio positiva aveva potere predittivo di futuri eventi cardiaci gravi nettamente superiore al test ergometrico elettrocardiografico (Blumenthal, 1996).

Su pazienti con angina stabile si è dimostrato recentemente che la durata del test ergometrico classico, sottomassimale o massimale, indipendentemente dalle modificazioni di ST, costituisce un indice prognostico importante. La SPECT-tallio da sforzo o da dipiridamolo costituisce un indice prognostico di basso rischio quando è negativa e di alto rischio quando è positiva per ischemia. L'esame nucleare SPECT-sestamibi, ha permesso di identificare l'estensione della coronaropatia sulla base di elementi derivati dal test ergometrico effettuato contemporaneamente, dalla tomografia SPECT e dai dati anatomofunzionali desunti dalla ventricolografia al primo passaggio.

Il problema del potere predittivo del test ergometrico classico e della scintigrafia al tallio nel campo dell'angina instabile stabilizzata con terapia medica è stato recentemente riesaminato. Dai lavori presi in considerazione si evince chiaramente che il test ergometrico classico ha un notevole potere predittivo positivo o negativo di futuri eventi cardiaci gravi, mentre la scintigrafia al tallio ha solo valore incrementale.

Nel campo della cardiopatia ischemica cronica, il valore prognostico del test SPECT-tallio a riposo, con redistribuzione, è stato recentemente esaminato in un gruppo di pazienti coronarici cronici, con ridotta funzione ventricolare (frazione di eiezione di circa il 27%), tutti trattati con la sola terapia medica. I pazienti che hanno presentato ridistribuzione, ritenuta espressione di ibernazione miocardica, hanno avuto un esito sfavorevole e morte, in numero nettamente superiore ai pazienti che non avevano mostrato segni di ischemia. Del tutto recentemente altri Autori (Williams et al., 1996) hanno segnalato che i coronaropatici cronici con disfunzione ventricolare sinistra (frazione di eiezione 30 ± 5), trattati con terapia medica, hanno una prognosi peggiore, quando all'eco-dobutamina presentano segni di tessuto vitale solo a piccole dosi (<10) o di ischemia (comparsa di nuova disfunzione o aggravamento di precedenti disfunzioni) indipendentemente dall'età e dalla riduzione della funzione di eiezione.

 

 

Valutazione funzionale della donna

 

La valutazione diagnostica della cardiopatia ischemica nella donna necessita di una trattazione particolare date le differenti caratteristiche biologiche e cliniche della cardiopatia ischemica nella donna (Douglas P.S., Ginsbourg G.S., 1996).

L'esame della donna presunta coronaropatica deve essere preceduto da un'accurata valutazione dei fattori di rischio, che si suddividono in maggiori, intermedi e minori. I maggiori fattori di rischio di coronaropatia sono rappresentati dall'angina tipica, dallo stato di post-menopausa, dal diabete e dalla vasculopatia periferica. L'angina tipica, retrosternale, causata dall'esercizio fisico o dalle emozioni, con cessazione rapida dopo riposo o assunzione di TNG, si accompagna nella donna ad una prevalenza di coronaropatia del 62%, mentre l'angina atipica, per qualità e sede, è più frequente a riposo, ha una prevalenza del 40%, prevalenza che si riduce al 4% nel caso del dolore toracico atipico non coronarico. La menopausa, fisiologica o chirurgica, si accompagna ad aumento di LDL e a riduzione di HDL. L'uso in post-menopausa di estrogeni riduce questi fattori di rischio del 50%. L'uso dei contraccettivi ormonali riduce il rischio di placca aterosclerotica almeno fino all'età di 35 anni, a condizione che non si fumi.

Il diabete è un fattore predittivo molto importante, superiore a quello che possiede nell'uomo. La coesistenza di una vasculopatia periferica aggrava la prognosi della coronaropatia. Allo stesso modo un rapporto anomalo intima/media carotidea è un indice prognostico grave di coronaropatia.

I fattori di rischio intermedi sono piuttosto numerosi. L'ipertensione arteriosa costituisce indice prognostico sfavorevole nelle anziane e prognosi maggiormente sfavorevole nelle giovani. Il fumo si associa alla metà dei casi di coronaropatia nella donna, dove questo fattore di rischio è rilevante anche se il numero delle sigarette fumate è modesto. Bassi livelli di HDL sono più predittivi di coronaropatia di alti livelli di LDL. I trigliceridi sembrano essere influenti solo quando superano i 400 mg/dl.

Si deve tenere conto anche dei fattori minori, quali l'età (superiore a 65 anni), l'obesità centrale, lo stile di vita sedentario, la familiarità coronaropatica, fattori psicosociali e comportamentali variabili ed alcune variabili ematochimiche (aumento del fibrinogeno e del PAI).

Basandosi sugli elementi precedenti si deve stabilire l'entità del probabile rischio di coronaropatia, perché tale livello determina il ricorso a indagini diagnostiche di progressiva importanza.

Le pazienti a basso rischio (inferiore al 20%) sono caratterizzate soprattutto da giovane età, stato di pre-menopausa, dolore atipico, normale tolleranza al glucosio, assenza di vasculopatie periferiche. Le pazienti a grande rischio (maggiore dell'80%) presentano almeno due dei determinanti maggiori (dolore tipico, post-menopausa, diabete, vasculopatia periferica) oppure uno di essi più due dei determinanti intermedi o minori. Le pazienti a rischio intermedio, compreso tra il 20% e l'80%, costituiscono un gruppo nel quale è difficile emettere un giudizio diagnostico di grande probabilità. In caso di basso rischio, non è necessario procedere ad altre indagini. Nei casi di rischio intermedio si deve effettuare un test ergometrico classico; se negativo, non si procede oltre; se invece il test è positivo si procede all'effettuazione di un test con immagini (ecocardiogramma o scintigrafia miocardica) ed eventualmente a coronarografia. Nell'evenienza di rischio più grave, se il test ergometrico classico è negativo, non occorre procedere oltre, perché il numero dei falsi negativi è molto basso nella donna. Se il test non è conclusivo oppure positivo si procede all'indagine coronarografica.

 

 

SINTESI CONCLUSIVA

 

Nell'esposizione precedente si è cercato di dare una visione aggiornata dei problemi relativi alla diagnosi della cardiopatia ischemica ed alla sua valutazione in termini di gravità e prognosi, soprattutto mediante ricorso ai metodi non invasivi o scarsamente invasivi.

E' evidente che ancora oggi l'elemento diagnostico di riferimento (gold standard) per la diagnosi della cardiopatia coronarica ischemica è rappresentato dal rilievo angiografico di una stenosi significativa del tronco comune della coronaria sinistra o di uno dei tre tronchi coronarici principali. La diagnosi clinica procede da un'accurata indagine anamnestica, in quanto la documentazione di un pregresso infarto o di un'angina instabile permette il suo riconoscimento certo.

Ma l'elemento più rilevante è rappresentato dal dolore toracico che, come abbiamo visto, può presentarsi sotto tre modalità (angina tipica, angina atipica ma probabile, dolore toracico atipico probabilmente non coronarico) a prevalenza nettamente differente.

 

L'approfondimento diagnostico strumentale è particolarmente indicato nel caso del dolore toracico atipico, ma probabilmente anginoso. I test consigliati sono, in ordine di successione, i test ergometrici, usando come indicatori l'elettrocardiogramma, la scintigrafia miocardica e l'ecocardiogramma. Nei casi in cui non è possibile poter effettuare un test ergometrico, prevale oggi l'orientamento all'uso degli stressanti farmacologici (dipiridamolo, adenosina, dobutamina) usando come indicatori la SPECT e l'ecocardiogramma.

La diagnosi della variante di Prinzmetal è affidata al rilievo anamnestico di dolori a riposo soprattutto notturni, al rilievo di un sopralivellamento di ST, in assenza di segni di pregresso infarto, sia mediante rilievo continuo dell'ECG, sia mediante test provocatori quali iperventilazione, ergonovina, acetilcolina, questi ultimi due limitati oggi prudenzialmente al momento dell'indagine coronarografica.

L'evidenziazione clinica strumentale di una componente vasocostrittrice si avvale di alcuni elementi di sospetto o di certezza, quali la variabilità della soglia anginosa durante esercizio, l'esistenza di un'angina spontanea, il rilievo di crisi ischemiche durante le registrazioni continue dell'elettrocardiogramma precedute da aumento della frequenza cardiaca in misura inferiore a quello osservato durante ergometria, oppure anche senza aumento della frequenza cardiaca.

La diagnosi di ischemia silente nella pratica clinica è legata al rilievo di modificazioni di ST durante esercizio, in assenza di angina ed in presenza di dati anamnestici che depongano per l'esistenza di una coronaropatia. Allo stato attuale l'ECG dinamico permette solo di stabilire il numero delle crisi, sintomatiche e non, ma non di stabilirne la causa.

La ricerca di una possibile coronaropatia ischemica nei soggetti del tutto asintomatici è consigliabile venga limitata ai pazienti con almeno due fattori di rischio o a quelli considerati a rischio di danno per la collettività (autisti di autobus, piloti ecc.).

La valutazione prognostica della cardiopatia ischemica si evince da due criteri. Il primo è rappresentato dalla gravità della coronaropatia, indicata anche dal test ergometrico, il quale esprime un criterio di grande probabilità di stenosi del lume del tronco comune o di tre vasi, quando termina precocemente con bassa frequenza cardiaca e basso doppio prodotto e notevole sottolivellamento di ST. L'altro criterio sembra risiedere nel rilievo di ischemia silente rilevata durante registrazione dell'ECG dinamico.

Non bisogna però dimenticare che un certo numero di pazienti privi di segni di stenosi coronariche significative all'esame angiografico lamentano dolori anginosi tipici ed atipici, in parte legati a ischemia miocardica da ridotta dilatabilità dei piccoli vasi coronarici.

E' evidente che il test preferito per causare in laboratorio l'ischemia miocardica è quello ergometrico.

Tuttavia, nel caso in cui i pazienti non possano effettuare esercizio fisico con le gambe per problemi agli arti inferiori (artriti, artrosi, fratture, amputazioni, vasculopatie obliteranti degli arti inferiori, debolezza neuro-muscolare) o per motivi che riducono la capacità di esercizio (obesità, broncopneumopatie croniche ostruttive, ridotta frazione di ciezione del ventricolo sinistro, età avanzata, interventi chirurgici recenti) od anche per mancanza di motivazione o collaborazione da parte del paziente, si può ricorrere ad altri test, quali elettrostimolazione atriale (atrial pacing), dipiridamolo, adenosina, dobutamina, CPT, esercizio isometrico, ergometria con arti superiori, usando come indicatori l'elettrocardiogramma, la comparsa di angina, difetti di captazione alla scintigrafia con tallio, una ridotta frazione di eiezione o comparsa di anomalie parietali alla ventricolografia radioisotopica ed all'ecocardiogramma.

Inoltre si deve sottolineare che la diagnosi della cardiopatia ischemica nella donna è diversa. Essa sembra però oggi più facile partendo da un'accurata stima dei fattori di rischio specifici per il sesso femminile e che permettono di suddividere le pazienti in tre gruppi: ad alto, medio e basso rischio, con necessità di ricorrere ad indagini supplementari notevolmente differenti, con risultati pratici accettabili.

Infine occorre sottolineare che la valutazione diagnostica e prognostica della cardiopatia ischemica in tutte le sue varianti è attualmente sottoposta ad intense ricerche allo scopo di precisare meglio il valore relativo dei vari test.

 

 

 

Letture consigliate

 

 

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