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ARGOMENTI DI MEDICINA CLINICA

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 Ultimo aggiornamento: 23.12.2006

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SINDROMI IPOGLICEMICHE

 

Introduzione

 

Il termine ipoglicemia indica una condizione metabolica caratterizzata da livelli ematici di glucosio troppo bassi per l'organismo; in sostanza, si riferisce ad una condizione chimica e non clinica. L'ipoglicemia non costituisce quindi di per sé una malattia, ma è l'espressione di un'alterazione dei meccanismi che regolano l'omeostasi del glucosio. Tenendo presenti questi concetti, in via preliminare è necessario stabilire con esattezza i valori di riferimento per le concentrazioni ematiche di questo monosaccaride da considerare normali per l'uomo, compito non privo di difficoltà per ragioni di ordine anche metodologico. Attualmente, il metodo più diffuso e affidabile per la determinazione della glicemia si basa su reazioni enzimatiche specifiche (glucosio-ossidasi, esochinasi) e ad esso faremo riferimento nel prosieguo della trattazione. Altri metodi di determinazione più aspecifici, basati su reazioni non enzimatiche, sono passati in disuso, o comunque possono essere considerati ormai superati. Un altro fattore da valutare è il substrato sul quale l'analisi viene condotta. La differenza artero-venosa della glicemia è di solito modesta dopo un digiuno di 10-12 ore, ma diventa significativa per diverse ore dopo l'ingestione degli alimenti. Inoltre, la glicemia eseguita su sangue intero fornisce valori inferiori del 15% circa rispetto ai corrispondenti livelli plasmatici e sono state anche dimostrate differenze nei valori glicemici in relazione alla profondità della vena usata per il prelievo. Ad eccezione di casi particolari, nello svolgimento del capitolo si farà riferimento sempre a valori ottenuti su plasma di sangue venoso espressi in mmol/l (*) o in mg/100 ml.

In condizioni fisiologiche, la glicemia oscilla tra 2,7 e 8,3 mmol/1, pari a 50-150 mg/100 ml; né sono evidenziabili, dopo un digiuno protratto di 24-48 ore, variazioni importanti. Nei soggetti adulti va considerato sicuramente patologico un livello glicemico inferiore a 2,5 mmol/1, fermo restando che i sintomi della ipoglicemia possono manifestarsi anche con valori più alti (ipoglicemia relativa) o, per converso, non essere presenti per glicemie ancorainferiori quando queste si siano instaurate lentamente (ipoglicemia cronica).

Più difficile è stabilire limiti netti nel periodo neonatale, ma si possono in genere considerare patologici livelli glicemici inferiori a 1,6 mmol/1 nei nati a termine di peso normale, ed inferiori a 1,1 mmol/1 nei prematuri.

Anche nell'anziano non è stato stabilito con sicurezza quale sia il livello glicemico più basso da considerare normale.

 

 

Fisiopatologia

 

L'omeostasi glicidica è la risultante di complesse interazioni tra numerose e diverse influenze ormonali, metaboliche e nervose che agiscono su differenti substrati per mezzo di attività enzimatiche specifiche.

Le fonti dalle quali deriva il glucosio circolante sono due: assorbimento dal tubo digerente e produzione a livello epatico. Nel continuo equilibrio tra utilizzazione periferica del glucosio e sua immissione in circolo, il fegato rappresenta l'organo chiave, capace di captare glucosio dal pool circolante e di immagazzinarlo sotto forma di glicogeno, di liberare glucosio in circolo dai depositi preformati, di sintetizzare lo zucchero a partire da molecole più piccole (gluconeogenesi)(fig.01x).

Per alcuni organi e cellule, quali il cervello, la retina, la midollare del rene, i globuli rossi e i globuli bianchi, il glucosio rappresenta l'unico substrato utilizzabile. Il fabbisogno giornaliero imprescindibile di destrosio è nell'uomo adulto pari a circa 180g.

Il glucosio che entra nelle cellule viene trasformato in glucosio-6-fosfato, punto di partenza per tutte le successive vicende metaboliche intracellulari dello zucchero:

 

a. glicogenosintesi: formazione di glicogeno che rappresenta la forma di deposito dei carboidrati;

b. glicolisi con formazione di piruvato (due molecole di piruvato, per ogni molecola di glucosio);

c. ossidazione diretta attraverso la via dell'esosomonofosfato;

d. formazione di acido glucuronico;

e. formazione di esosamine e mucopolisaccaridi.

In ordine ad una schematizzazione del bilancio glicidico, tenendo conto che l'unica fonte di glucosio per l'organismo è rappresentata dagli alimenti, si possono distinguere due fasi principali:

 

a. fase (post)alimentare, che inizia subito dopo l'introduzione degli alimenti e termina quando la concentrazione dei substrati energetici è tornata ai valori precedenti l'ingestione di cibi;

b.fase del digiuno, che inizia quando termina la precedente e arriva fino alla introduzione di nuovi alimenti.

 

Nella prima fase, lo zucchero assorbito con gli alimenti, viene captato dalle cellule epatiche e immagazzinato sotto forma di glicogeno. Il principale stimolo alla glicogenosintesi epatica è rappresentato dall'aumento dei livelli di insulina circolanti, la cui secrezione da parte del pancreas endocrino è stimolata dai livelli ematici progressivamente crescenti di glucosio e aminoacidi. In questa fase, le concentrazioni epatiche di glicogeno variano da 20 a 80 g/kg di tessuto. Quando la captazione di glucosio da parte del fegato e la contemporanea utilizzazione periferica dello zucchero superano la quantità di esoso assorbita a livello intestinale, la glicemia tende a scendere ed ha inizio la seconda fase.

Nella fase del digiuno, la diminuzione dell'insulinemia e la contemporanea ipersecrezione di ormoni ad azione iperglicemizzante, quali il glucagone, le catecolamine, il cortisolo e il somatotropo, trasformano il fegato da un organo di captazione e deposito del glucosio ad un organo che lo produce e lo immette in circolo. La glicemia diventa così la risultante tra l'utilizzazione periferica di glucosio e la sua produzione epatica, quest'ultima rappresentata in diversa percentuale dalla glicogenolisi e dalla gluconeogenesi. La prima, ad es., rappresenta il 75% dell'output epatico di glucosio dopo 12 ore di digiuno, ma scende a meno del 10% dopo due giorni, in relazione al progressivo esaurimento delle scorte di glicogeno preformate.

Più lungo è l'intervallo di tempo intercorso dall'ultima assunzione di cibo, maggiore è il ruolo della gluconeogenesi nel mantenimento della omeostasi glicidica. La gluconeogenesi dipende strettamente da un adeguato apporto di substrati, e cioè aminoacidi (in particolare alanina), glicerolo, piruvato e lattato, che provengono dai processi di lipolisi e proteolisi. Anche in questa fase, il fattore ormonale più importante di regolazione è l'insulina, la diminuzione dei valori circolanti della quale - indotta dalla riduzione della glicemia- stimola la gluconeogenesi e favorisce la proteolisi e la lipolisi. Un ruolo certamente importante rivestono i glucocorticoidi, che favoriscono la gluconeogenesi e la liberazione di aminoacidi a livello muscolare, le catecolamine, il glucagone e l'ormone della crescita, nel loro insieme denominati "ormoni della controregolazione". Tra questi, il glucagone e l'adrenalina rispondono più prontamente degli altri e prima che la glicemia abbia raggiunto valori francamente ipoglicemici, raggiungono concentrazioni plasmatiche molto elevate e dipendenti dalla velocità di discesa della glicemia. In sostanza, la controregolazione non è un fenomeno con una soglia ben definita, ma una continua modulazione di secrezioni ormonali le concentrazioni ematiche delle quali sono inversamente correlate alla glicemia ed il cui fine è il mantenimento costante dei livelli glicemici, prevenendo prima che contrastando l'eventuale ipoglicemia.

Se appare evidente che l'ipoglicemia è un sintomo che si manifesta ogni qualvolta il continuo equilibrio tra produzione di glucosio e sua utilizzazione si sposta a favore di quest'ultima, è altrettanto chiaro che i meccanismi in grado di condurre all'ipoglicemia sono molteplici e differiscono in relazione alla fase (postalimentare e del digiuno) nella quale la stessa si manifesta.

Le ipoglicemie della fase postalimentare insorgono nel periodo di transizione in cui il fegato si deve trasformare da organo che capta e immagazzina glucosio a organo che produce e immette in circolo l'esoso. La loro causa va ricercata in una alterazione dell'equilibrio tra i diversi fattori che regolano le attività enzimatiche epatiche. Si tratta, in ogni caso, di disordini funzionali.

Le ipoglicemie della fase del digiuno si instaurano quando la produzione epatica di glucosio è minore della sua utilizzazione periferica. Le cause sono dunque da ricercare in un'inadeguata produzione dello zucchero e/o in una sua eccessiva utilizzazione. La prima può essere ricondotta ad una ridotta disponibilità di substrati, ad una ridotta funzionalità epatica, ad una alterazione dei fattori di regolazione; la seconda ad un'alterazione della bilancia ormonale o alla presenza di voluminosi tumori non endocrini che consumino elevate quantità giornaliere di glucosio.

La complessità e la molteplicità dei fattori omeostatici che presiedono al mantenimento di una glicemia costante e la pluralità delle loro azioni a diversi livelli e su diversi organi rendono ragione della frequenza con la quale si possono spesso riconoscere, alla base di una ipoglicemia manifesta, accanto alla causa principale, concause diverse che rappresentano spesso anche l'evento scatenante.

 

 

Sintomatologia

 

Il tessuto nervoso, ed in particolare il cervello, hanno bisogno di un continuo apporto di glucosio. Infatti, le scorte di glucosio e glicogeno a livello cerebrale sono pari a circa 0,5 mg/g di tessuto e sono sufficienti solo al fabbisogno energetico di qualche minuto. I sintomi a carico della sfera nervosa si manifestano nell'uomo quando la glicemia arteriosa è inferiore a 2,2 mmol/1 e sono generalmente i primi a comparire nel corso dell'ipoglicemia. In ogni caso, è necessario sottolineare come i sintomi dell'ipoglicemia siano estremamente multiformi, non specifici e non sempre presenti anche quando la glicemia sia oltremodo bassa. Il termine neuroglicopenia indica l'evento biologico che si avvera quando l'apporto di carboidrati diventa inadeguato al fabbisogno della cellula nervosa. La neuroglicopenia può manifestarsi in varia maniera: può essere acuta (il paziente cade in uno stato soporoso e finanche in coma nel giro di pochi minuti senza avvertire alcun segno premonitore), subacuta (il paziente permane in uno stato di sonnolenza senza perdere completamente conoscenza e rimane così anche per lungo tempo), cronica (più rara, si manifesta con cambiamenti di personalità e con manifestazioni psichiche complesse). Va anche aggiunto che un quadro neuroglicopenico può insorgere quando si sia verificata una brusca caduta dei livelli glicemici precedentemente molto elevati come si ha nel diabete non controllato (ipoglicemia relativa).

Qui di seguito vengono riportati schematicamente i sintomi e i segni riscontrati in pazienti affetti da sindromi ipoglicemiche di varia origine e natura:

Disturbi generali aspecifici all'inizio della crisi (attenenti prevalentemente alla sfera nervosa): irritabilità, stato ansioso, incapacità alla concentrazione, cefalea, astenia, adinamia;

Disturbi a carico dell'apparato gastroenterico: senso di fame, secchezza delle fauci con polidipsia, dolori addominali, nausea, vomito, talora diarrea;

Disturbi carliovascolari e respiratori: tachicardia, aritmie varie, angina (rara), ipotensione, anisosfigmia, bradipnea.

Disturbi del sistema nervoso autonomo: palpitazione, pallore, scialorrea, sudorazione, lacrimazione;

Disturbi neurologici: parestesie, fascicolazioni, crisi convulsive, paralisi, contratture (trisma), disturbi oculari (oftalmoplegia, diplopia, nistagmo, ambliopia, xantopsia, scotomi, anisocoria, midriasi), disordini extrapiramidali (tremori, rigidità, attacchi coreoatetosici);

Disturbi psichici: ansia, depressione, stato confusionale, atteggiamenti schizoidi, riso immotivato, melanconia, stato onirico, afasia, narcolessia.

Se il quadro ipoglicemico è completo è difficile incorrere in errori diagnostici; ma quando i sintomi sono subdoli possono entrare in discussione molte altre condizioni morbose. I quadri clinici con manifestazioni somiglianti ai disturbi delle sindromi ipoglicemiche sono elencati nella Tab.01x.

 

 

Classificazione delle sindromi ipoglicemiche

 

Esistono a tutt'oggi differenti classificazioni. Le due più utili riteniamo siano quella clinica e quella etiopatogenetica. La lista degli stati morbosi che possono accompagnarsi ad ipoglicemia si accresce ogni anno e le classificazioni che riportiamo sono incomplete: tuttavia, sono certamente bastevoli per ricordare al medico le principali manifestazioni morbose ed aiutarlo nella diagnosi differenziale.

 

 

Studio del paziente con ipoglicemia

 

Di fronte ad un paziente con sospetta sindrome ipoglicemica è necessario per prima cosa stabilire se i sintomi riferiti siano realmente causati dall'ipoglicemia. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, il medico raramente riesce ad essere presente durante una crisi ipoglicemica o sospetta tale. Quando ciò avviene, è imperativo eseguire un prelievo per la glicemia prima di somministrare zucchero o farmaci, al fine di documentare con chiarezza la relazione tra sintomi e glicemia. Nei casi in cui il prelievo non sia possibile (paziente non ospedalizzato, crisi assai rare) è utile istruire il paziente sull'uso delle strisce reattive per la glicemia in maniera che egli possa eseguire da solo l'analisi in corso di crisi.

Il secondo punto essenziale è l'anamnesi: essa è fondamentale per stabilire il rapporto temporale tra i pasti e l'insorgenza dei disturbi. Un'ipoglicemia che si manifesta 2-4 ore dopo i pasti è verosimilmente un'ipoglicemia funzionale; al contrario, un'ipoglicemia a digiuno è più frequentemente di tipo organico (confronta ).   È da tenere presente che la severità, la natura e la durata dei sintomi possono essere mal riferiti dal paziente per problemi di amnesia legata all'ipoglicemia e i particolari raccolti vanno perciò sempre confrontati con quanto esposto dai familiari.

L'estrema aspecificità dei sintomi della ipoglicemia, in particolare di quella cronica, contribuisce a determinare una delle situazioni morbose in patologia umana la cui diagnosi è per gran parte affidata ai risultati delle indagini di laboratorio. L'obiettività clinica, infatti, può essere praticamente assente. Il primo passo deve essere quello di dosare ripetutamente in condizioni di base la glicemia, l'insulinemia e il poptide C circolanti. Quando la glicemia è inferiore a 2,5 mmol/1 l'insulinemia, valutata con metodo radioimmunologico (IRI), deve essere indosabile e comunque inferiore a 6 mU/ml e il peptide C in condizioni normali (C-IR) assai basso (inferiore a 0,3 pmol/ml corrispondenti a 1 microgrammi/1). Il dosaggio di quest'ultimo, affiancato a quello della insulina, è particolarmente utile per due motivi:

 

a. La sua presenza in circolo in concentrazioni parallele ai livelli di IRI conferma che l'eventuale iperinsulinismo è di origine endogena; al contrario, IRI alta e C-IR basso depongono inequivocabilmente per un iperinsulinismo esogeno, di più frequente riscontro nel personale sanitario addetto a pazienti diabetici;

b. L'emivita del poptide C è più lunga di quella dell'insulina e le sue variazioni di concentrazione plasmatica, attuandosi più lentamente, sono più affidabili.

Tuttavia, nell'interpretazione dei dati bisogna tenere presente che elevati livelli circolanti di insulina radioimmunologica possono essere dovuti ad interferenza nel dosaggio per la presenza di anticorpi circolanti anti-insulina o essere presenti in alcuni rari disordini genetici della sintesi dell'insulina (iperproinsulinemia ed iperinsulinemia familiari).

Sulla base dei risultati cosi ottenuti e dei dati anamnestici sarà possibile escludere le forme di ipoglicemia dovute a somministrazione di insulina e distinguere tra ipoglicemia a digiuno e ipoglicemia da stimolo e, nell'ambito della prima, le forme con insulina soppressa da quelle con insulina elevata.

Nei casi con insulinemia soppressa, utili informazioni si potranno avere dalle indagini collaterali miranti ad individuare l'esistenza di tumori extrapancreatici come anche dal dosaggio dei valori plasmatici degli ormoni della controregolazione (cortisolo principalmente) e dei metaboliti intermedi che costituiscono i substrati principali per la gluconeogenesi (alanina, piruvato, lattato, glicerolo). In casi selezionati e di fronte a precisi quesiti diagnostici sarà opportuno valutare il numero e l'attività dei recettori all'insulina, l'attività insulino-simile plasmatica nelle sue varie frazioni (ILA, NSILA-s, NSILA-p). A questo punto si renderà necessario sottoporre il paziente a quelle prove dinamiche che di volta in volta, sulla base degli elementi acquisiti, si riterranno più adeguate.

 

 

Prova del digiuno protratto

 

Al paziente, ospedalizzato e sotto accurato controllo clinico, viene proibito qualsiasi alimento o farmaco, eccezione fatta per l'acqua, il tè molto diluito, la camomilla senza zucchero. A partire dalla 12^a ora dall'ultimo pasto (che viene in genere fatto consumare la sera) vengono effettuati prelievi per la glicemia e l'insulinemia ogni 3-4 ore. La prova viene prolungata per 72 ore; al termine di tale periodo, se non è comparsa ipoglicemia, il paziente esegue un esercizio fisico di media entità per circa 30 minuti allo scopo di favorire, attraverso un aumento del consumo periferico del glucosio indotto dal lavoro muscolare, l'eventuale insorgenza di una crisi.

Durante la prova nei soggetti normali la glicemia non deve scendere sotto 2,5 mmol/1 e, in ogni caso, anche se si repertano valori inferiori, l'insulina circolante deve essere praticamente indosabile e comunque inferiore a 6-10 mU/ml ed i valori di peptide C minori di 0,3 pmol/ml (corrispondenti a 1 microgammi/1).

 

 

Test di soppressione con l'insulina

 

La prova si esegue somministrando al paziente, digiuno da 10 ore, 0,1 U/kg di peso corporeo di insulina regolare fino ad un massimo di 10 unità per via endovenosa in bolo o per infusione venosa lenta nel corso di 60 minuti.I prelievi per la glicemia e i livelli circolanti del poptide C, cortisolo, ormone della crescita e catecolamine vengono eseguiti ai tempi-15, 0, 15, 30, 45, 60, 90, 120 e 180 min. Il test non può essere considerato valido se la glicemia non scende sotto le 2,2 mmol/l.

La prova si prefigge due scopi principali:

 

a. Valutare la sensibilità dei tessuti periferici all'insulina e, parallelamente, la capacità pancreatica a sopprimere la produzione endogena dell'ormone;

b. Studiare la capacità di risposta dell'asse ipotalamo-ipofisi e del sistema simpatico e, dunque, gli ormoni della controregolazione nella condizione di stress che l'ipoglicemia comporta.

 

In caso di sospetta elevata sensibilità periferica all'insulina (ipopituitarismo, M. di Addison) la dose dell'ormone va dimezzata; per converso, va aumentata di fronte a stati patologici che si accompagnano a resistenza alla insulina (obesità).

 

 

Test al diazossido

 

Il diazossido è un farmaco benzotiadierinico non diuretico, capace di inibire la secrezione di insulina e di ridurre la utilizzazione periferica del glucosio inducendo così un aumento della glicemia. La prova viene eseguita infondendo 600 mg di diazossido (Hyperstat) nell'arco di un'ora e prelevando il sangue per la glicemia e l'insulinemia ogni 15 minuti iniziando mezz'ora prima dell'infusione e terminando due ore dopo.

Nei soggetti normali si osserva una soppressione dei livelli insulinemici durante l'infusione; al termine di questa i valori di IRI circolante ritornano prontamente alla norma. La glicemia sale durante l'infusione e si mantiene più elevata rispetto ai valori di partenza fino alla conclusione. L'utilità clinica della prova risiede anche nella possibilità di verificare l'eventuale risposta al farmaco qualora la sua somministrazione si rendesse necessaria come forma di terapia medica.

 

 

Test del glucagone

 

Il glucagone esercita un effetto stimolante sulla secrezione insulinica ed è nel contempo il più potente agente glicogenolitico conosciuto. Il test è di indubbia utilità per valutare la riserva epatica di glicogeno e, a differenza di altre prove di stimolo per la secrezione insulinica (tolbutamide, calcio, leucina), è scevro da rischi in quanto aumenta i livelli glicemici.

L'ormone viene somministrato alla dose di 30 microgrammi per kg di peso corporeo fino ad un massimo di 1 mg per via venosa in due o tre minuti ed i prelievi di sangue per la glicemia, l'insulinemia, il peptide C e-in caso di sospetta glicogenosi tipo I-per il lattato vengono eseguiti in condizioni basali ed ogni 5 minuti fino a 30 minuti dopo la somministrazione. Nel soggetto normale a digiuno, si osserva un aumento della insulinemia e della glicemia (rispettivamente di 50 mU/ml e di 1,5-4 mmol/l) che si risolve nelle ore successive. Più che per studiare la secrezione di insulina, il test è indispensabile per fornire indicazioni probanti circa la funzione epatica nell'ambito del metabolismo glicidico. Un aumento della glicemia inferiore a 0,5 mmol/l si osserva nelle epatopatie croniche, negli errori congeniti del metabolismo associati a difetto di gluconeogenesi e di accumulo di glicogeno, nell'ipoglicemia alcool-indotta. In tutte queste condizioni, peraltro, l'aumento della secrezione insulinica appare nei limiti della norma. Nei pazienti con glicogenosi tipo I (malattia di Von Gierke) la somministrazione di glucagone provoca un cospicuo aumento dei livelli circolanti di lattato ed è quindi potenzialmente pericolosa. I livelli di lattato vengono ricondotti nei limiti della pronta somministrazione di glucosio per via venosa.

 

 

Prova da carico di glucosio per via orale (OGTT)

 

Si esegue somministrando per os al paziente, digiuno da 8-10 ore, 200ml di una soluzione contenente 75 g di glucosio (1,75 g/kg nei bambini) ed eseguendo i prelievi di sangue per la determinazione della glicemia e dell'insulinemia in condizioni basali ad ogni 30 minuti primi per 5 ore. Durante la prova il paziente deve giacere in posizione supina, senza fumare; se necessario, è concesso bere dell'acqua. Se compaiono disturbi, è opportuno eseguire il prelievo anche al momento dell'esordio dei fastidi e valutare le concentrazioni plasmatiche anche degli ormoni della controregolazione. Di norma, durante il carico orale di glucosio la glicemia presenta un iniziale incremento cui fa seguito una discesa dei valori glicemici a livelli inferiori a quelli di base (cosiddetta ipoglicemia di rimbalzo). L'ipoglicemia di rimbalzo è un fenomeno fisiologico, dovuto alla secrezione insulinica che segue l'ingestione dello zucchero. Essa diventa patologica quando la glicemia scende sotto le 2,5 mmol/1. Tuttavia, valori inferiori a 1,7 mmol/1 possono essere osservati anche in soggetti peraltro perfettamente normali senza che si abbia alcun sintomo. Il nadir della curva glicemica è generalmente compreso tra le 2 e le 5 ore dopo l'ingestione dello zucchero. La prova, per quanto utile, è influenzata da troppi fattori per avere un chiaro significato diagnostico; fra questi fattori ricordiamo la dose di glucosio (maggiore è la quantità di zucchero somministrata, maggiore è la frequenza con cui la glicemia scende a valori patologici), la velocità di svuotamento gastrico, la reattività dell'asse entero-insulare che condiziona la secrezione insulinica.

 

Va infine rilevato che il carico glicidico non riproduce esattamente le condizioni usuali nelle quali l'ipoglicemia postprandiale o sospetta tale si manifesta. Pur tenendo conto di questi limiti, la prova è molto importante per la diagnosi di ipoglicemia postprandiale, fermo restando che ad essa non va attribuita, per i problemi sopra esposti, un significato definitivo; si potranno evitare così tante diagnosi errate.

 

 

Tumori endocrini del pancreas

 

Si tratta di neoplasie benigne (80-90% dei casi) o maligne ( 10-20% ), piuttosto rare ( 1 caso per anno per milione di abitanti), in grado di produrre e immettere in circolo insulina, che in genere si sviluppano dalle cellule dei dotti pancreatici, anche se il termine insulinoma col quale vengono comunemente indicate fu coniato nel presupposto che tali tumori originassero dalla trasformazione neoplastica delle cellule beta insulinari. In genere il tumore non produce soltanto insulina, ma anche uno o più ormoni gastrointestinali (polipoptide pancreatico, polipeptide vasoettivo, glucagone, somatostatina), pur essendo il quadro clinico preminentemente determinato dall'iperincrezione di insulina. Questa pluri-potenzialità secernente nasce dalla comune origine embriologica delle cellule endocrine del canale digerente, tutte appartenenti alla serie APUD (acronimo dalla espressione anglosassone Amine Precursor Uptake and Decarboxylation).

L'aspetto morfoistologico alla microscopia ottica è piuttosto vario e talvolta sovrapponibile a quello di un'insula normale. Tuttavia, al microscopio elettronico è possibile distinguere 4 varietà di insulinomi a seconda della presenza/assenza e della tipicità dei granuli secretori nel citoplasma delle cellule neoplastiche.

In meno dell'1% dei casi il tumore è ectopico, sito lungo il decorso del tenue, nelle vie biliari o in vicinanza del pancreas. Talvolta è multiplo e si possono configurare quadri assai rari di microadenomatosi diffusa.

 

All'indagine anamnestica è spesso possibile rilevare che gli episodi di ipoglicemia più o meno gravi datano da diverso tempo (in genere più di due anni) e si sono accentuati nell'ultimo periodo. Negli intervalli il paziente si sente bene. All'inizio le crisi si presentano a distanza dai pasti, spesso in concomitanza con una modesta attività fisica. Successivamente, le crisi insorgono in qualunque momento. L'obesità, quando presente, è imputabile all'eccesso alimentare al quale si sottopone il paziente che è riuscito ad individuare lo stretto rapporto dell'insorgenza dei sintomi con il digiuno. Questi tumori, peraltro, si caratterizzano oltre che per un globale aumento della secrezione insulinica, anche per l'inappropriata produzione della stessa, in quanto i livelli circolanti dell'ormone permangono elevati nel digiuno anche quando la glicemia si riduce al di sotto dei livelli normali. In effetti, il contenuto di insulina per grammo di tessuto tumorale è spesso inferiore a quello di pancreas normale, con una percentuale di proinsulina nettamente maggiore; questo elevato contenuto in proinsulina si riflette anche nei livelli plasmatici dell'ormone. Il difetto principale sta dunque nell'incapacità del tessuto tumorale a sopprimere la produzione di insulina in corso di ipoglicemia. Per questo sono fondamentali il rapporto tra glicemia e insulinemia dopo una notte di digiuno e i risultati della prova del digiuno e del test all'insulina.

In ogni paziente con glicemia a digiuno pari o inferiore a 2,5 mmol/l l'IRI deve essere assai bassa o indosabile ed il peptide C inferiore a 0,5-0,3 pmol/ml. Per questo, livelli dosabili di insulinemia in un paziente con glicemia francamente patologica sono fortemente indicativi per un iperinsulinismo organico (fig.02x).

Nei casi dubbi è utile eseguire un test del digiuno prolungato a 72 ore con prova da sforzo finale. Più del 90% dei pazienti con insulinoma diventano ipoglicemici dopo 12-36 ore di digiuno. Se sopravviene l'ipoglicemia prima di interrompere la prova è imperativo raccogliere un campione di sangue per la glicemia, l'insulinemia e la proinsulina circolante. Nei soggetti abituati a basse concentrazioni di glucosio, la neuroglicopenia può non comparire pur in presenza di glicemia assai bassa (1,5 mmol/l). Per tal motivo è importante, durante la prova, eseguire sempre i prelievi agli intervalli stabiliti (ogni 4 ore o più spesso se il caso lo richiede), tenere sotto stretta sorveglianza il paziente e, alla fine delle 72 ore, far eseguire un esercizio fisico moderato che-aumentando il fabbisogno periferico di glucosio-contribuisce ad innescare una eventuale crisi ipoglicemica.

La mancata soppressione dell'IRI in corso di ipoglicemia può essere comprovata eseguendo un test all'insulina e valutando le concentrazioni di peptide C come espressione della secrezione endogena dell'ormone. Valori superiori a 0,5 pmol/ml (corrispondenti a 1,5 microgrammi/l) sono fortemente indicativi per un iperinsulinismo endogeno , ma si possono osservare falsi negativi nei pazienti con elevata secrezione di proinsulina o tumore parzialmente sopprimibile.

Nella nostra esperienza abbiamo trovato utili altre due prove di soppressione: quella al diazossido e quella alla somatostatina.

Nel corso della prima, nei pazienti con adenoma insulare l'IRI rimane soppressa fino a 60 minuti dopo la fine della infusione e la glicemia talvolta non aumenta, quando invece nei soggetti normali si osserva un pronto ritorno dei livelli insulinemici ai livelli di base.

Nella prova alla somatostatina (Stilamin) il farmaco viene infuso a concentrazioni crescenti (25, 50, 100 microgrammi/ora) ed i prelievi eseguiti ogni 15 minuti per tre ore . Nella nostra casistica abbiamo potuto rilevare una certa corrispondenza tra sopprimibilità dell'IRI circolante e grado di differenziazione del tumore.

Più incostanti e per questo meno affidabili appaiono i risultati delle prove di stimolo (tolbutamide, calcio) che - in caso di positività- espongono anche al rischio di gravi crisi ipoglicemiche.

Il test al glucagone ed il carico di glucosio per os possono fornire indicazioni talvolta utili. Nel corso del primo si può osservare un aumento marcato (superiore alle 100 mU/ml) dei valori di IRI circolante che può provocare un'ipoglicemia grave. L'OGTT prolungato a 5 ore dimostra una risposta insulinica inappropriata, e cioè senza corrispondenza con i livelli glicemici, con una curva glicemica spesso indicante una diminuita tolleranza glicidica e tendenza all'ipoglicemia nella seconda parte del test.

Una volta confermato che i sintomi riferiti dal paziente sono imputabili all'ipoglicemia e che questa ultima è causata da un'inappropriata secrezione di insulina è necessario procedere alla diagnosi di sede del tumore. L'arteriografia selettiva del tripode celiaco e dell'arteria pancreatica  permette la localizzazione del tumore nell'80% dei casi, ma può anche fornire falsi positivi. Più precisa, anche se meno agevole, è la venografia portale transepatica per via percutanea  che permette prelievi di sangue per il dosaggio dell'IRI a vari livelli dei tronchi venosi afferenti alla porta (vena splenica, vena mesenterica). L'esame necessita di una équipe di notevole esperienza. Tra le tecniche incruente, la tomografia assiale computerizzata  è quella di maggior affidamento, anche se la dimensione dei tumori in causa è spesso inferiore al potere di risoluzione dell'apparecchio (falsi negativi). Per lo stesso motivo, la mancata visualizzazione del tumore con l'ecografia o la scintigrafia pancreatica con seleniometionina non esclude la presenza dello stesso; al più il tumore è riconoscibile solo con la palpazione del pancreas in corso di laparotomia. Ad addome aperto, un'utile indicazione per l'individuazione del tumore può essere fornita anche dall'ecografia intraoperatoria.

 

Non si ha ancora esperienza, a quanto si sa, con la risonanza magnetico-nucleare.

Una volta posta la diagnosi di insulinoma in base ai risultati delle prove funzionali, è opportuno indagare anche sulla funzione della ipofisi, del surrene e su quella delle paratiroidi. Con la presenza di neoplasie a carico anche di queste ghiandole endocrine si configurerebbe, come noto, la sindrome da neoplasie endocrine multiple (MEN) tipo I.

 

 

Ipoglicemia postprandiale

 

Questa forma di ipoglicemia, tuttora incerta nella patogenesi e nella nosografia, si manifesta a distanza di 2-5 ore dall'ingestione di cibo, con una sintomatologia di tipo adrenergico (cardiopalmo, tremori, sudorazione, irritabilità, ansia) e-sebbene più raramente-di tipo neuroglicopenico.

Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, persistono tuttavia ancora numerosi problemi riguardo i criteri diagnostici, la classificazione e l'eziopatogenesi delle principali forme di ipoglicemia postprandiale.

Un primo punto controverso riguarda la validità dell'OGTT come test diagnostico nonché l'interpretazione dei risultati che si ottengono con questa prova. L'OGTT rappresenta, secondo alcuni Autori, un test di stimolo non fisiologico proprio perché basato sulla somministrazione di solo zucchero, mentre nella maggior parte dei casi un pasto è costituito da carboidrati, proteine e lipidi. Questi ultimi determinano, rispetto al pasto esclusivamente glucidico, risposte ormonali più complesse (le proteine, ad es., stimolano anche la secrezione di glucagone) ed un rallentamento dello svuotamento gastrico.Può così accadere che l'ipoglicemia si presenti dopo ingestione di glucosio, ma non dopo assunzione di un pasto misto e che-di conseguenza-i dati deducibili dall'OGTT non possano essere integralmente adottati per spiegare quadri clinici che si verificano dopo l'ingestione di cibo. Inoltre, il verificarsi di ipoglicemia durante il carico orale di glucosio è influenzato dal contenuto di carboidrati nella dieta nei giorni immediatamente precedenti la prova. In uno studio condotto da Permutt e coll. la somministrazione a soggetti normali volontari di una dieta pressoché priva di carboidrati per tre giorni comportava la comparsa di ipoglicemia durante l'OGTT eseguito al quarto giorno. Nonostante queste limitazioni, il test di tolleranza al glucosio per os protratto a 5 ore rappresenta a tutt'oggi l'indagine più appropriata per lo studio dei pazienti con sospetta ipoglicemia postprandiale, perché indica sempre un'abnorme reattività del pancreas endocrino e va eseguita dopo avere invitato il soggetto ad attenersi per tre giorni ad una dieta contenente 250-300 g di carboidrati. Nel corso della prova assai di rado si osserva - nei soggetti normali - una glicemia inferiore a 2,7 mmol/l (pari a 50 mg/100 ml). In uno studio condotto su un cospicuo numero di soggetti sani, glicemie inferiori a 2,7 mmol/l e 2,2 mmol/l (pari a 50 e 40 mg/100 ml) sono state riscontrate rispettivamente nell'8,4% e nell'1,6% della popolazione studiata.

Bisogna inoltre sottolineare che talvolta glicemie inferiori a 2,7 mmol/l non si accompagnano a sintomi evidenti e che la risposta glicemica e insulinemica allo zucchero per os è assai differente nei diversi soggetti e può variare in maniera significativa in uno stesso soggetto nel corso del tempo.

Al momento attuale, riteniamo che il dimostrare dopo carico orale di glucosio una glicemia inferiore a 2,5 mmol/l (pari a 45 mg/100 ml) in concomitanza con il manifestarsi di sintomi adrenergici e/o neuroglicopenici e con l'eventuale evidenza biochimica dell'attivazione degli ormoni della controregolazione permetta di porre diagnosi di ipoglicemia postprandiale con sufficiente probabilità di certezza.

Le ipoglicemie postprandiali vengono classificate sulla base dell'andamento delle curve glicemica ed insulinemica ottenuta durante l'OGTT (fig.09x).

 

 

Ipoglicemia alimentare

 

Si caratterizza per iperglicemia ed iperinsulinemia marcate nella prima parte della prova e successiva ipoglicemia in genere tra la seconda e la quarta ora. Nella maggioranza dei casi si tratta di soggetti che hanno subito interventi di gastrectomia e/o piloroplastica con o senza vagotomia nei quali l'accelerato svuotamento gastrico e forse una eccessiva liberazione di ormoni gastrointestinali aventi potere insulino-secretorio (polipeptide inibitore gastrico, enteroglucagone) provocano l'ipersecrezione insulinica che determina l'ipoglicemia.

La reale incidenza di ipoglicemia alimentare nei soggetti gastrectomizzati non è nota; tuttavia, il disturbo appare piuttosto frequente e va comunque differenziato dalla Dumping syndrome. Quest'ultima, come è noto, si manifesta entro 60 minuti da un pasto con diarrea, crampi addominali, nausea, astenia, cardiopalmo, sudorazione.

Rispetto alle altre forme di ipoglicemia postprandiale, quella alimentare comporta spesso glicemie inferiori e si accompagna con maggiore frequenza a segni manifesti di neuroglicopenia.

L'ipoglicemia alimentare è di possibile riscontro anche in soggetti che non hanno subíto interventi chirurgici sull'apparato digerente e non presentano alterazioni evidenziabili dello svuotamento gastrico. In questi casi, si suppone che l'iperinsulinemia possa essere causata da un aumento dell'assorbimento intestinale di glucosio.

 

 

Ipoglicemia postprandiale e ridotta tolleranza al glucosio

 

L'associazione tra ridotta tolleranza al glucosio e ipoglicemia è conosciuta da anni ed è stata attribuita ad un ritardo nella secrezione insulinica indotta dal glucosio. I sintomi sono in genere modesti e transitori e-come in altre forme di ipoglicemia postprandiale-non esiste sempre una netta corrispondenza tra valori glicemici e sintomatologia. Inoltre, si possono spesso osservare soggetti con ritardato moderato aumento della secrezione insulinica che non hanno ipoglicemia; d'altro lato, quest'andamento della curva insulinemica può essere riscontrato in soggetti normali che siano stati mantenuti per diversi giorni ad una dieta povera di carboidrati.   È possibile supporre che all'insorgere dell'ipoglicemia concorrano-in questo gruppo di soggetti- diversi fattori fra i quali anche il diverso grado di sensibilità periferica all'insulina.

 

 

Ipoglicemia postprandiale idiopatica

 

Questo gruppo comprende la maggior parte dei pazienti con ipoglicemia postprandiale. La diagnosi è di esclusione e, per definizione, i soggetti con ipoglicemia postprandiale idiopatica non debbono avere precedenti di interventi chirurgici sullo stomaco e duodeno né presentare iperglicemia nella prima fase dell'OGTT.

La secrezione insulinica può essere aumentata o non differire significativamente dalla norma. Nella valutazione di questi pazienti occorre tenere ben presenti le forme di ipoglicemia indotte da sostanze esogene, primo fra tutti l'alcool (etanolo) che è in grado di aumentare significativamente la secrezione insulinica glucosioindotta.

  È possibile che l'ipoglicemia sia attribuibile a diversi fattori, per esempio un'aumentata sensibilità periferica all'insulina e, in taluni casi, favorita da alterazioni degli enzimi che regolano il metabolismo glicidico. Sono stati descritti casi con difetto parziale di glucosio-1-6-difosfatasi.

 

In alcuni soggetti particolarmente neurolabili si manifestano talvolta i sintomi adrenergici dell'ipoglicemia in concomitanza con livelli glicemici normali. Si parla allora di " non ipoglicemia " o di " sindrome postprandiale idiopatica " a sottolineare l'estraneità della ipoglicemia al manifestarsi del quadro clinico. Alcuni studi hanno messo anche in evidenza, in questi pazienti, una certa correlazione con tratti della personalità di tipo isterico.

In conclusione, i pazienti con ipoglicemia postprandiale idiopatica rappresentano un gruppo estremamente eterogeneo, nell'ambito del quale la diagnosi va posta solo dopo avere escluso le altre molteplici cause di ipoglicemia.

 

 

Ipoglicemia da farmaci

 

La causa più comune di ipoglicemia nella pratica medica è indubbiamente rappresentata dal sovradosaggio di preparati ipoglicemizzanti, in particolare insulina e sulfaniluree. L'esame delle crisi ipoglicemiche come complicanza della terapia del diabete mellito esorbita dai limiti di questo capitolo. Ricordiamo soltanto come l'ipoglicemia provocata dalle sulfaniluree sia più frequente nei soggetti anziani (diminuita efficacia degli emuntori), si verifichi più spesso in seguito alla somministrazione di farmaci a lunga emivita, come la clorpropamide, possa durare anche diversi giorni durante i quali il paziente deve essere tenuto sotto costante infusione di soluzioni glucosate. Talvolta essa è imputabile, più che al sovradosaggio del farmaco, all'interazione di quest'ultimo con medicamenti (aspirina, probenecid, inibitori della mono-aminossidasi, betabloccanti) in grado di provocare ipoglicemia con meccanismo spesso sconosciuto.

I salicilati, farmaci di largo impiego ed esenti da prescrizione medica obbligatoria, provocano ipoglicemie anche molto gravi con meccanismo non ben noto. In certe condizioni l'aspirina è in grado sia di stimolare la secrezione insulinica che di aumentare l'utilizzazione periferica del glucosio.

Il propranololo, capostipite della famiglia dei betabloccanti non selettivi, aumenta l'utilizzazione periferica del glucosio e inibisce indirettamente la gluconeogenesi. Gravi crisi ipoglicemiche provocate dalla somministrazione di propranololo sono state descritte in pazienti con quadri morbosi diversi (infarto del miocardio, insufficienza renale cronica) ed insorgono prevalentemente a digiuno e/o dopo una certa attività fisica. Il blocco indotto dal betabloccante sui recettori betadue-adrenergici rende la crisi più pericolosa, prolungata e grave perché attenua fino ad abolire sia i segni della reazione adrenergica (tachicardia, ansia, palpitazioni) sia la glicogenolisi adrenalina-indotta. Tra gli altri farmaci la cui assunzione può provocare ipoglicemia, ricordiamo il triptolano, il propossifene, la pentamidina, l'acido paraminosalicilico, alcuni farmaci chelanti (THAM, EDTA, BAL).

 

 

Ipoglicemia da alcool

 

L'associazione tra alcool ed ipoglicemia è nota da diverso tempo. La forma più nota è quella che può essere riprodotta nel soggetto normale somministrando 50-100 g di alcool dopo un digiuno di 36 ore. Per intuibili motivi socio-culturali è di frequente riscontro nel sesso maschile e tra le classi disagiate. Il quadro clinico, che si manifesta a distanza di 6-24 ore dall'ingestione di una certa quantità di alcool, si accompagna a glicemie in genere inferiori a 1,7 mmol/l, alcolemia superiore a 10 mmol/l, tachicardia, ipotermia, acidosi metabolica con iperlattacidemia. I livelli di insulina sono in genere bassi, talvolta normali in risposta ad elevate concentrazioni di glucagone.

Il meccanismo patogenetico principale è indubbiamente rappresentato dall'inibizione della gluconeogenesi; tuttavia, in questi pazienti è spesso possibile riscontrare un'inibizione della secrezione di alcuni ormoni della controregolazione (cortisolo, ACTH, somatotropo).Inoltre, concentrazioni ematiche di alcool comprese tra 10 e 20 mmol/l sono in grado di aumentare la secrezione di insulina glucosio-indotta e, per questa via, di scatenare un'ipoglicemia postprandiale. Crisi ipoglicemiche indotte dall'alcool sono ovviamente di più facile riscontro in soggetti predisposti e/o sofferenti di ipoglicemia postprandiale.

Infine, ricordiamo l'effetto additivo tra alcol e farmaci ipoglicemizzanti che può portare all'insorgere di crisi ipoglicemiche gravissime e prolungate.

 

 

Tumori extrapancreatici associati ad ipoglicemia

 

Si tratta di una patologia piuttosto rara (sono stati al momento attuale descritti nella letteratura mondiale circa 260 casi, ma è probabile che la reale incidenza sia più alta) ed a patogenesi molteplice e per molti aspetti ancora oscura. I tumori extrapancreatici che più frequentemente si associano ad ipoglicemia sono, in ordine di frequenza, i tumori di origine mesenchimale (45% dei casi), prevalentemente sarcomi, mesoteliomi, emangiopericitomi, indi gli epatomi (23% dei casi), e infine gli adenocarcinomi del surrene ( 10% dei casi). Per i sarcomi la localizzazione prevalente è quella intratoracica o peritoneale: l'aspetto istologico non si differenzia nettamente da quello dei tumori omologhi che non si accompagnano ad ipoglicemia. Il disturbo a carico del metabolismo glicidico può manifestarsi in ogni momento del decorso della malattia fondamentale, ma è più frequente quando il tumore ha raggiunto dimensioni considerevoli.

Per quanto riguarda gli epatomi, alcuni studi condotti su popolazioni orientali (dove l'incidenza di questo tipo di tumori è particolarmente elevata), hanno evidenziato come l'ipoglicemia si accompagni preferibilmente ai carcinomi epatocellulari primitivi ben differenziati a lento accrescimento, mentre è rara nelle forme altamente indifferenziate ed a rapido accrescimento. Le cause dell'ipoglicemia vengono ricondotte a tre meccanismi fondamentali:

a. secrezione eccessiva di insulina o sostanze ad azione insulino-simile; b. eccessivo consumo di glucosio da parte della massa tumorale; c. diminuita produzione epatica di glucosio.

Il primo meccanismo, certamente molto suggestivo, è suffragato dal riscontro nel 40% dei pazienti di elevati livelli circolanti da alcuni principi aventi attività insulinosimile. Si tratta, in particolare, delle NSILA-s che constano di due suLcomponenti, denominate IGF I e IGF II, a struttura assai simile alla proinsulina. La prima delle due si identifica con la somatomedina C, uno dei fattori di accrescimento prodotti a livello epatico che fungono da mediatori delle azioni periferiche dell'ormone della crescita. Quando la massa tumorale raggiunge dimensioni cospicue, come è più facile osservare nel caso dei sarcomi, il consumo di glucosio da parte della neoplasia può diventare notevole rendendo la produzione epatica dello stesso insufficiente a mantenere una glicemia normale. Oltre a ciò, il quadro è talvolta complicato da una compromissione epatica così che l'ipoglicemia è provocata da meccanismi multipli.

La diagnosi di ipoglicemia associata a tumori extrapancreatici è una diagnosi di esclusione. Ogni altra causa di ipoglicemia va attentamente considerata e scartata ed in particolare bisogna sempre valutare la possibilità che il tumore abbia metastatizzato alle ghiandole surrenali e/o all'ipofisi e che quindi l'ipoglicemia rientri nel quadro di una forma endocrina, da difetto dei principi di controregolazione.

 

 

 

Altre condizioni morbose che si accompagnano ad ipoglicemia

 

Ipoglicemia autoimmune

 

La presenza di anticorpi anti-insulina nel siero di soggetti che non erano mai stati trattati con insulina esogena è stata inequivocabilmente dimostrata fin dal 1972. Successivamente, è stato osservato che alcuni di questi pazienti soffrono di crisi ipoglicemiche. Gli anticorpi in questione possiedono siti leganti l'insulina sia a bassa sia ad alta affinità e l'ipoglicemia si instaura quando, per motivi non noti, l'insulina legata -e quindi non attiva- si libera dal legame con l'anticorpo ed acquisisce così la capacità di esercitare il proprio effetto biologico. Se la quantità di insulina legata agli anticorpi circolanti è notevole, la dissociazione può portare alla liberazione di una quota ragguardevole dell'ormone. Al di fuori delle crisi ipoglicemiche, questi pazienti presentano alterata tolleranza glicidica e spesso i sintomi di altre malattie autoimmuni (M. di Basedow, ad es.). I livelli circolanti di insulina radioimmunologica sono alti a causa dell'interferenza nel dosaggio degli anticorpi, mentre i livelli di insulina libera -al di fuori delle crisi- sono normali o bassi.

Un'altra categoria di pazienti con ipoglicemia autoimmune è rappresentata da soggetti portatori di anticorpi diretti contro i recettori all'insulina. Il quadro clinico è piuttosto composito e può comprendere anche l'Acanthosis nigricans. La causa dell'ipoglicemia è l'attivazione dei recettori all'insulina da parte degli anticorpi circolanti. Si tratta, dunque, di una immunoreazione patogena analoga a quella in causa nel determinismo della malattia di Basedow, dove l'ipertiroidismo si instaura quando gli anticorpi si legano al recettore per il TSH sulla cellula tiroidea stimolandone la funzione.

A differenza che nell’altro gruppo di pazienti con ipoglicemia autoimmune, i valori circolanti di insulina dosati con metodo radioimmunologico sono normali. Talvolta, la comparsa di ipoglicemia è preceduta da un lungo decorso clinico caratterizzato da diabete mellito grave per controllare il quale sono necessarie elevate dosi di insulina. La patologia è comunque molto rara ed il decorso clinico vario, potendosi osservare crisi ipoglicemiche ingravescenti e non controllabili o remissione del quadro umorale e clinico a seguito di terapia medica. L'esiguità numerica dei casi descritti fino ad ora in letteratura non permette di trarre chiare conclusioni.

 

 

Ipoglicemia nefrogena

 

Crisi ipoglicemiche si osservano spesso in pazienti con insufficienza renale cronica di grado elevato sottoposti a dialisi e nei quali i sintomi della crisi ipoglicemica vengono talvolta erroneamente attribuiti alle gravi condizioni del paziente. L'ipoglicemia, che si accompagna facilmente ad acidosi ed iperlattacidemia, riconosce meccanismi fisiopatologici diversi: inibizione della gluconeogenesi, deficit di substrati, più raramente iperinsulinemia.

 

 

Ipoglicemta factitia

 

L'ipoglicemia secondaria all'autosomministrazione di insulina o di ipoglicemizzanti orali è più frequente di quanto non si ritenga abitualmente e si riscontra di solito nel personale sanitario o nei parenti di diabetici: evidentemente si tratta di pazienti con problemi psichiatrici talora molto importanti.   È chiaro che durante il ricovero ospedaliero il paziente deve essere attentamente sorvegliato per evitare che assuma farmaci. Nell'ipoglicemia causata dalla somministrazione di insulina i livelli plasmatici di insulina sono elevati mentre sono di solito molto bassi quelli del peptide C.; al contrario entrambi sono elevati nel caso di assunzione di sulfaniluree, che possono essere rilevate sia nel sangue che nelle urine. Ovviamente, per assumere valore diagnostico, le indagini di laboratorio vanno attuate su prelievi di sangue eseguiti durante le crisi.

 

 

Ipoglicemia in corso di malaria

 

Crisi ipoglicemiche gravi possono manifestarsi nell'8-10% dei pazienti affetti da malaria causata da Plasmodium falciparum (terzana maligna). Le indagini di laboratorio mettono in evidenza elevati livelli di insulina circolante, di lattato e di alanina, basse concentrazioni di betaidrossibutirrato. L'ipoglicemia è probabilmente il risultato di diversi meccanismi: l'aumento della secrezione insulinica provocato dalla somministrazione di alte dosi di chinino, inibizione della gluconeogenesi, elevato consumo di glucosio da parte delle emazie parassitate. Le crisi sono spesso ricorrenti e l'incidenza dalla ipoglicemia è maggiore nelle donne gravide.

 

 

Terapia

 

Nel trattamento delle sindromi ipoglicemiche accanto al trattamento causale, medico o chirurgico, trova un posto particolare, specie nell'emergenza, il trattamento sintomatico.

La terapia sintomatica, consiste esclusivamente nel ripristino dei normali livelli glicemici. Quando il paziente è in stato di semicoscienza possono bastare 30-40 g di glucosio per os sciolti in acqua. In caso di coma ipoglicemico si somministrano 30-40 ml di soluzione glucosata ipertonica al 40% per via venosa seguita da una infusione lenta di 250 ml di soluzione glucosata al 5%.

Nell'eventualità che l'ipoglicemia sia stata indotta da alcol, tossici, sulfaniluree o insulina ritardo è consigliabile mantenere il paziente sotto infusione costante di soluzione glucosata al 10% sorvegliandolo attentamente. In questi casi l'ipoglicemia si può protrarre per lungo tempo o aggravarsi tardivamente o serpeggiare subdolamente.

In taluni casi, la presenza di crisi convulsive, contratture o movimenti clonici muscolari non rende possibile praticare iniezioni e.v. Si può allora somministrare preliminarmente 1 mg di glucagone per via intramuscolare, ripetibile dopo pochi minuti. L'efficacia del farmaco, come è ovvio, dipende da presenza di riserve integre di glicogeno epatico. Allo stesso modo agisce l'adrenalina (0,5-1 mg s.c. ripetibile al bisogno anche dopo 1-2 ore) la cui somministrazione richiede però più cautela ed è nettamente controindicata nei pazienti cardiopatici o ipertesi.

Nei pazienti con ridotto glicogeno epatico o con gliconeogenesi difettosa è opportuno somministrare, insieme alle soluzioni glucosate, 100-200 mg, o anche più, di cortisolo emisuccinato endovena o intramuscolo.

Nell'ambito di un trattamento sintomatico a lungo termine un posto preminente spetta alla dieta. Questa dovrà essere composta da pasti piccoli e frazionati nel corso delle 24 ore per evitare lunghi periodi di digiuno. Nelle forme di ipoglicemia post-prandiale bisogna ridurre i carboidrati a non più di 100-200 g al dì, dando una netta preferenza alle proteine ed ai lipidi. La dieta deve essere isocalorica, suddivisa in tre pasti principali e due spuntini, pressoché priva di zuccheri a pronto assorbimento e contenente invece farinacei i cui polisaccaridi vengono assimilati lentamente.

 

Quando la sola dieta non è sufficiente ad eliminare i disturbi da ipoglicemia postprandiale, si può fare ricorso alle fibre indigeribili (farina di Guar, crusca, Psyllium idrocolloides, ecc.) che ritardano l'assorbimento del glucosio. In casi selezionati si può associare la fenformina, tenendo presente che questo farmaco, in alcune condizioni (ipossia, infezioni) può indurre acidosi lattica. Altra possibilità è la somministrazione di un bloccante colinergico, ad es. Ia propantelina alla dose di 7,5 mg ai pasti o anche di un betabloccante non cardioselettivo, entrambi capaci di ridurre significativamente la secrezione. Tassativa la sospensione del fumo, del caffè, dell'alcol; nei pazienti neurolabili sono utili l'uso di ansiolitici o sedativi ed eventualmente la psicoterapia.

 

Le forme di ipoglicemia post-prandiale che caratterizzano l'alterata tolleranza glicidica dei soggetti obesi si giovano della riduzione ponderale e della eventuale somministrazione di biguanidi.

Nei pazienti portatori di insulinoma, la terapia di elezione è quella chirurgica con l'exeresi del tessuto neoplastico. Quando non è possibile individuare il tumore all'intervento, è meglio rinviare l'intervento a quando sarà possibile localizzare con chiarezza dove è situata la neoplasia. In ogni caso, la pancreasectomia totale alla cieca va evitata. I problemi del monitoraggio preoperatorio della glicemia possono esser brillantemente risolti usando un pancreas artificiale (Biostator). In tale maniera, si ha un controllo continuo dei valori glicemici e si può documentare la netta ascesa della glicemia conseguente all'asportazione del tumore, senza intralciare minimamente il lavoro dell'équipe chirurgica.

In caso di nesidioblastosi, l'asportazione dell'80% del pancreas comporta di solito un netto miglioramento del quadro clinico.

Nei casi di tumori secernenti insulina in cui non possa essere attuato o debba essere procrastinato l'intervento chirurgico, il medicamento di prima scelta è il diazossido per os ad una dose di 200-800 mg/die. Si consiglia di iniziare la terapia con 25 mg in 4 somministrazioni nelle 24 ore, in genere prima dei pasti, e di aumentare gradualmente la dose fino a trovare la minima dose efficace. Effetti collaterali indesiderati sono la ritenzione idrica e l'irsutismo, più raramente disturbi gastroenterici e leucopenia. Utile può essere la contemporanea somministrazione di un diuretico tiazidico (25-75 mg/die) che agendo in sinergismo col diazossido sui livelli glicemici, può consentire di ridurre la dose del farmaco. Solo nel caso in cui non sia possibile somministrare diazossido si può tentare una terapia con difenilidantoina (400-600 mg/die) o clorpromazina (fino a 500 mg/die) o propranololo (la dose sarà in relazione alla diminuzione della frequenza cardiaca che non deve scendere sotto i 60 al minuto primo).

Altri tentativi terapeutici di inibire la secrezione insulinica usando i calcio-antagonisti (Verapamil) o la somministrazione per via sottocutanea di analoghi della somatostatina a lunga emivita non hanno sortito risultati tali da consigliare il loro uso. Nella nostra esperienza, la possibilità di inibire la secrezione insulinica tumorale con diazossido o somatostatina è apparsa correlata al tipo istologico di insulinoma.

Diverso è il trattamento che va applicato in caso di carcinoma insulare con metastasi diffuse. In questi pazienti il farmaco di prima scelta è rappresentato dalla streptozotocina, antibiotico estratto dallo Streptomyces achromogenes, dotato di selettiva azione necrotizzante sulle cellule beta insulari. La dose varia da 0,6 a 2 g/m^2 di superficie corporea a settimana per infusione lenta, monitorando la funzione epatica e renale. Altra possibilità consiste nell'infusione lenta intra-arteriosa del farmaco mediante cateterismo selettivo del tripode celiaco. Tra i farmaci antiblastici più noti, dopo la streptozotocina il più efficace negli insulinomi maligni è il 5fluorouracile (dose media 0,5 g/m^2 di superficie corporea): ma come è noto il farmaco ha notevoli effetti tossici. Non si hanno ancora notizie sugli effetti della epirubicina o del mitoxantrone.

 

 

D. ANDREANI

Professore Ordinario

di Medicina Costituzionale ed Endocrinologia

Università “La Sapienza”, Roma

 

G. TAMBURRANO

Professore Associato di Fisiopatologia del Ricambio

Università “La Sapienza”, Roma

 

A. LALA

I Cattedra di Medicina Costituzionale ed Endocrinologia

Università “La Sapienza”, Roma

 

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